di VITO MASSIMANO

In molti negli ultimi giorni si sono applicati ad analizzare la ormai conclamata crisi del centrodestra provando ad azzardare complessi teoremi e sofisticate ipotesi. ltri invece lo fanno in maniera strumentale e cioè per creare un fuggi-fuggi elettorale dalla barca che affonda e condizionare così l’esito del voto amministrativo. Voto amministrativo che probabilmente non andrà nel migliore dei modi ma che è soltanto un effetto collaterale di una crisi profonda di tipo più squisitamente politico. Le amministrative saranno forse deludenti per il centrodestra principalmente perché i candidati prescelti nelle città non sono candidati forti. E i candidati selezionati dal centrodestra non sono adatti a competere perché sono il frutto di una negoziazione in cui hanno prevalso i veti e le prove di forza più che la selezione dei migliori, un compromesso al ribasso insomma. Di qui si capisce che il problema è molto più profondo di una semplice competizione amministrativa e che esso affonda le proprie radici in una serie di complesse dinamiche di tipo politico. Quando il centrodestra aveva un assetto composto da un partito egemone (prima Forza Italia e successivamente la Lega), paradossalmente era più stabile e coeso fin quasi a rischiare di divenire una caserma. Non che non avesse problemi ma almeno all’esterno appariva un monolite rassicurante. Oggi, con il sostanziale testa a testa tra Lega e Fratelli d’Italia – con Forza Italia nei panni del cespuglio più o meno secco – prevale l’esigenza dei distinguo a capocchia, della gara per non farsi superare a destra (o a volte al centro), delle piccole schermaglie in luogo del ragionamento politico di prospettiva. Paradossalmente, essendoci troppi galli a cantare, si ode frastuono e nessuno indica l’ora esatta (la direzione). E così la coalizione si ritrova nuda e inerme davanti al mondo che è cambiato: prima bastava avere una linea sui temi fiscali, sull’immigrazione, sulla sicurezza delle città, sulla Legge Fornero o sulle opere pubbliche. Da un anno e mezzo a questa parte le parole d’ordine sono altre e – tranne frasi di circostanza – nessuno ha udito pensieri chiari da parte del centrodestra sul nuovo modello di società post pandemia, sulle priorità nell’utilizzazione dei fondi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), sulla conservazione dello smart working (a dispetto di ciò che chiedono la maggior parte dei lavoratori, Renato Brunetta vuole addirittura cancellarlo con la scusa di ridurlo), sul modello economico di domani, sulle crisi aziendali presenti in Italia, sui problemi energetici, su quelli ambientali o su quelli geopolitici . Sarebbe bastato guardare alla pancia del Paese su questi temi piuttosto che applicarsi alle menate del momento sul Green pass, agli slogan sulle riaperture repentine, alle polemiche sui vaccini. Il centrodestra va da una parte e la società va dall’altra: paradossalmente chi meglio sapeva interpretare le ansie del Paese ha perso la bussola lasciando campo libero a una sinistra a cui è bastato rimanere beotamente in silenzio per apparire più rassicurante. Dopo il danno anche la beffa: chi è entrato nel Governo per condizionarlo sui temi cari al centrodestra ha finito con il subire l’Esecutivo. Matteo Salvini – che con il primo Governo Conte guadagnò migliaia di voti condizionandolo in tema migratorio – oggi addirittura subisce la politica del ministro Luciana Lamorgese, mostrando quanto il colpo di teatro dell’ingresso in maggioranza lo abbia reso marginale, un ibrido né di lotta né di Governo. Il centrodestra appare spaccato in due: da una parte chi sembra non comprendere più i bisogni del Paese e dall’altra chi (come Forza Italia) sa di essere ormai allo sbando e si accuccia all’ombra del potente di turno facendo del filo-governismo di maniera. Forse è arrivato il momento di abbandonare la propaganda, le polemiche, i salotti televisivi, i bagni di folla e ricominciare ad ascoltare il Paese. Non sono i voti che mancano. Mancano le proposte, la visione prospettica. Quella roba che se perdi per troppo tempo poi il Paese non ti ascolta più. Matteo Renzi ne è fulgido esempio.