L’Italia è un Paese che non fa più figli e se il trend continuerà a scendere ci saranno ripercussioni sull’economia. L’allarme è stato lanciato dal presiedete dell’Istat Gian Carlo Blangiardo sulle colonne del Il Sole24Ore. Secondo Blangiardo, a porre rimedio a questa drastica situazione deve essere tutto il sistema, “Il sistema politico e quello economico devono muoversi per tempo, la prospettiva non è solo l'invecchiamento generale, ma anche un serio rischio per l’economia". Nel 2020 in Italia si sono registrate 404mila nuove nascite. Secondo i primi dati relativi al 2021, invece, la previsione degli esperti è ancora peggiore rispetto all’anno precedente e potrebbero esserci solo 385mila nascite. Il dato più significativo è quello legato alla frequenza delle nascite che è sceso sotto la soglia simbolica di mille unità al giorno. Se nel 2020 la frequenza è stata di 1159, nel 2021 la media è ferma a 992. In 12 anni si è passati da un picco di 577mila nati agli attuali 404mila, ovvero circa il 30% in meno. “Siamo un popolo potenziale di 32 milioni di abitanti, con tutte le conseguenze del caso in termini di lavoro, PIl e consumi”, ha spiegato il presidente dell’ISTAT Gian Carlo Blangiardo. Uno dei motivi principali di questo calo demografico è certamente quello che le coppie scelgono di fare figli sempre più tardi, ad una età molto avanzata rispetto al passato. Secondo l’ISTAT, infatti, l’età media del parto oggi è 32 anni, mentre nel 2002 era di 30. La naturale conseguenza di ciò è che le donne oggi partoriscono maggiormente tra i 35 e i 39 anni, con tutte le conseguenze del caso. Particolarità di questa situazione è che non tocca solo una parte del paese ma è un calo generalizzato, da nord a sud. Nonostante il settentrione mantenga una natalità più elevata rispetto al resto del paese, anche qui la situazione sta peggiorando progressivamente, come nel mezzogiorno e nel centro Italia. Secondo Blangiardo, infatti, il problema della natalità non è stato affrontato in maniera serie come in altri paesi europei e occorre quindi un’azione complessiva che coinvolga tutte le forze politiche e non solo.