di Federica Fantozzi

“Giorgetti è venuto a Torino un giorno per metterci il cappello, per avvalorare la narrazione giornalistica che il Nord sta con lui e i governatori e non con Salvini…”. Dal Piemonte alla Lombardia fino alla Liguria e persino al Friuli, fatto salvo forse il Veneto di Zaia, l’ala salviniana della Lega ribolle di rabbia. Si sente maggioranza, e non può dirlo, stretta tra la marziale consegna del silenzio che il Capitano ha imposto al partito e l’intervista che il numero due ha concesso alla “Stampa”. Deflagrante sulle comunali: a Roma lodi per Calenda che al ballottaggio con Gualtieri potrebbe vincere, Michetti considerato perdente praticamente con tutti (solo la Raggi non è menzionata), era meglio Bertolaso; su Milano Sala potrebbe farcela al primo turno. Dichiarazioni che provocano una scia di sgomento. “Ha rivelato il segreto di Pulcinella – si mastica amaro negli ambienti salviniani – Ma stasera c’è il comizio a Milano, la chiusura della campagna elettorale con tutti... Dirlo oggi, in questo modo, non è opportuno. Non è un grande segno di lealtà”.

Trapela la forte, fortissima “irritazione” del segretario, preso alla sprovvista. Frena l’orgoglio dei suoi ma è costretto a un comunicato di presa di distanza: “La voglia di cambiamento a Roma e a Milano è tantissima e i due candidati scelti dal centrodestra unito Michetti e Bernardo vinceranno”. Moltiplica gli sforzi e la passione, promette “dieci incontri tra oggi e venerdì” nelle due città. E sebbene Meloni scelga un freddo silenzio, pare che anche lei abbia incassato con notevole disappunto. “Un endorsement ai candidati sbagliati” è il gelido commento dei FdI impegnati per la campagna elettorale. Basiti anche gli alleati di Forza Italia: “In pratica Giorgetti dice che Michetti ha già perso, che Calenda è bravo il che significa via libera a Gualtieri – commenta sconfortato un parlamentare - Se aggiungiamo il caso Morisi la frittata è fatta. A questo punto, il Pd ha dinnanzi a sé un’autostrada...”.

Nel centrodestra si alternano stupore, spaesamento e sospetti. Le letture del pesantissimo giudizio giorgettiano sulle imminenti comunali si mescolano con l’esito del voto tedesco – che ha premiato la Spd e penalizzato la Cdu – e con le ricadute politiche (ancora in embrione) della vicenda che vede Luca Morisi, ex guru social di Salvini appena dimessosi, indagato per cessione di stupefacenti. E’ la prima volta che, dopo mesi di “illazioni” e “presunte storytelling” puntualmente smentite, tra il leader e il capo-delegazione si arriva allo scontro frontale. Ma le comunali, oltre che un evidente punto di ricaduta politica, sono un tema delicato. Perché, come ritorce un senatore: “Lo ha detto anche Giancarlo, lui fa il ministro e si occupa d’altro, allora perché è entrato a gamba tesa nella partita, e pure al novantesimo minuto?”.

A far saltare i nervi, da via Bellerio in giù, raccontano che sia stata proprio l’immagine dell’imprenditore “civico” Paolo Damilano come candidato “in quota” Giorgetti. Perché è l’unico (insieme al sindaco uscente Dipiazza a Trieste) che – stando ai sondaggi - potrebbe farcela nelle grandi città. Così come a Varese, feudo giorgettiano, dovrebbe vincere Matteo Bianchi. L’implicito è facile da mettere nero su bianco: è il Nord sulla linea “governista” quello che che vince.

Insomma, una miscela che, a una settimana dal voto, ha fatto fare molti salti sulle sedie. Al sindaco uscente di Novara Andrea Canelli, salviniano doc, che si prepara al bis. Al segretario lombardo Fabrizio Cecchetti, entrato in carica da meno di un anno (succeduto a Grimoldi) che per Bernardo è in trincea h24. Ma anche a quei deputati e senatori (ed eurodeputati, oggi in particolare fibrillazione) che temono il logoramento del Capitano. “Adesso Matteo è in ballo e non gli resta che ballare. Ma dal 18 ottobre, in un modo o nell’altro, tutto si chiarirà”. Dopo le comunali, il diluvio. E forse era proprio quello il messaggio che Giorgetti ha inteso mandare nell’intervista: aprite gli ombrelli.