DI ANONIMO NAPOLETANO 

Viene dalla Calabria il pericolo numero uno per lo Stato italiano. La 'ndrangheta è diventata l'organizzazione criminale di gran lunga più potente e pericolosa. Lo scrivono nero su bianco i vertici della Dia (la Direzione investigativa antimafia) nella relazione semestrale presentata al Parlamento la scorsa settimana: «Gli esiti delle più importanti inchieste concluse nel semestre restituiscono l’immagine di una ‘ndrangheta silente e più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale, nonché saldamente leader nei grandi traffici di droga». Una forza, quella delle “ndrine” calabresi, dovuta anche alla «forte connotazione familiare che l’ha reso fino al recente passato quasi del tutto immune dal fenomeno del pentitismo». Anche se, annotano gli investigatori antimafia, negli ultimi tempi questo muro di omertà ha cominciato a scalfirsi, grazie alle condanne pesanti e al regime di carcere duro, e si registra qualche prima collaborazione da parte di detenuti eccellenti. 

Due sono i principali business tradizionali, il narcotraffico e le attività imprenditoriali apparentemente lecite. Ma accanto a queste, la 'ndrangheta ha sviluppato una enorme capacità di penetrare le amministrazioni sanitarie locali, per controllare appalti, forniture e assunzioni. Sono due le Asp (Autorità sanitarie provinciali) commissariate per infiltrazioni mafiose. E questo inquinamento è diventato particolarmente preoccupante in tempi di Covid-19. Come pure l'usura, che con il lockdown ha permesso alle “ndrine” di correre in “aiuto” degli imprenditori in crisi per strozzarli e, spesso, acquisirne le attività. La pericolosità della 'ndrangheta è dovuta anche alla solidità del sistema di comando e alla capacità di espandersi fuori dalla Calabria mantenendo saldi i rapporti di gerarchia con le famiglie rimaste sul territorio. La 'ndrangheta è oggi presente in tutto il Centro-Nord del Paese, con ben 46 “locali” (si chiamano così i gruppi strutturati in una determinata area) dalla Valle d'Aosta al Trentino Alto Adige, dalla Lombardia, al Veneto, l'Emilia Romagna, il Lazio e la Toscana. Non solo. La 'ndrangheta è anche l'unica organizzazione criminale che ha un'espansione letteralmente mondiale, con solide basi in tutti i continenti.

Al suo confronto la mafia siciliana si trova attualmente in grandi difficoltà, dovute alle fortissime pressioni investigative e al fenomeno del pentitismo. La cattura di molti vertici, la difficile latitanza del padrino, Matteo Messina Denaro, attorno a cui è stata fatta terra bruciata, rendono impossibile per Cosa Nostra «ricostituire un organismo di vertice per la definizione delle questioni più delicate», così che deve limitarsi a «un coordinamento basato sulla condivisione delle linee di indirizzo e della ripartizione delle sfere d’influenza tra esponenti di rilievo dei vari “mandamenti”». Attualmente Cosa Nostra è presente solo nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento, mentre nelle province centro-orientali della Sicilia prevale la “stidda”, inizialmente nata in contrapposizione a Cosa Nostra: tra le due organizzazioni oggi vige una sorta di pax mafiosa. La “stidda” «risulta caratterizzata dalla coesistenza di gruppi operanti con un coordinamento di tipo orizzontale». Quindi niente padrini e mammasantissima. Tuttavia gli affari prosperano, e accanto ai business tradizionali (droga, estorsioni, gioco d'azzardo) la mafia siciliana infiltra particolarmente le attività imprenditoriali nei settori dell'edilizia, movimento terra, raccolta dei rifiuti, servizi cimiteriali e trasporti.

Passando alla Campania, la camorra presenta sempre più un carattere «pulviscolare-conflittuale» con numerosi gruppi autonomi e assenza di gerarchie consolidate. Fino al punto di presentare anche mini-clan a carattere familiare o babygang, che si contendono porzioni piccolissime di territorio, sviluppando fenomeni di gangsterismo urbano con sparatorie indiscriminate (le “stese”) e caroselli di uomini armati in motocicletta. Se questo porta ad una elevata conflittualità, rende però la camorra un fenomeno più flessibile e capace di profonde «interpenetrazioni» con la società. I clan tradizionali ancora in vita cercano di mantenere la pace per curare i propri affari, e questo ha portato a un calo evidente degli omicidi, limitati per lo più proprio ad eliminare “elementi di disturbo”. A fianco al narcotraffico, alle estorsioni e all'usura, la camorra campana ha sviluppato i business delle scommesse illegali e della contraffazione di marchi e prodotti, la truffa nei confronti delle assicurazioni o delle persone anziane, le rapine di banche o gioiellerie e di orologi preziosi, con bande specializzate di elevata “professionalità”. Quanto alle attività imprenditoriali, i camorristi sono molto presenti sia nell'edilizia, nelle onoranze funebri e nei trasporti, ma anche nelle attività turistiche e della ristorazione, non solo in Campania ma in tutto il Centro-Nord.

Le “ndrine” calabresi hanno solide roccaforti in Sud America

La 'ndrangheta è riuscita ad infiltrarsi silenziosamente nelle economie legali di mezzo mondo. Per gli investigatori della Dia, è l'unica organizzazione criminale con caratteristiche davvero “globali”. Al di fuori dell'Italia, la presenza delle “ndrine” calabresi è monitorata da anni in tutta Europa, con particolare forza in Germania, Spagna, Svizzera, Francia e Belgio. Ma anche al di fuori del Vecchio Continente, la 'ndrangheta ha saputo creare “colonie” e stringere rapporti con la malavita di mezzo mondo. 

In particolare ha creato solide roccaforti in tutto il Sud America, finalizzate prevalentemente al traffico di droga, di cui la 'ndrangheta è diventata leader in Italia. L'arrivo dei carichi provenienti dall'America Latina è agevolato dal controllo che le “ndrine” esercitano sui maggiori porti italiani. La Dia elenca, tra quelli a forte infiltrazione 'ndranghetista, gli scali di Gioia Tauro, Genova, La Spezia, Vado Ligure e Livorno. 

A testimonianza della presenza di basi e coperture in America centrale e meridionale, vanno ricordate le recenti catture di esponenti di primo piano di famiglie di 'ndrangheta in Costarica, a Santo Domingo, in Argentina, Brasile e Uruguay. Emblematico è il caso di Rocco Morabito, per la Dia il secondo latitante più pericoloso d'Italia dopo Matteo Messina Denaro: originario di Africo, minuscolo comune in provincia di Reggio Calabria, divenuto a Milano il “re della cocaina”, condannato a 30 anni di carcere, venne scovato una prima volta nel settembre del 2017 in Uruguay, a Punta del Este. Ma due anni dopo, nel giugno 2019, proprio quando il Tribunale penale d'appello dell'Uruguay ne aveva confermato la sentenza di estradizione in Italia, il boss era riuscito ad evadere clamorosamente dal carcere “Central” di Montevideo. Solo nel maggio scorso, i carabinieri hanno scovato e ammanettato Rocco Morabito nel nord del Brasile, a Joao Pessoa, dove conduceva una vita sfarzosa, tra spiagge dorate, locali e ristoranti di lusso.