di ANTONIO SACCÀ

Gli antichi crearono delle mitologie, delle narrazioni fantasiose riguardanti l’esistenza di ciò che esiste. Premesso che tutti i popoli inventarono concezioni che supponevano cambiamenti, trasformazioni, reincarnazioni. Un uomo poteva diventare animale, fiore, stella, fiume, si reincarnava in successive entità. Come dicevo, metamorfosi (cambiamento) e metempsicosi (reincarnazione) furono convinzioni diffuse nell’antichità. Indiani induisti e greci, e anche i romani, credettero alla metamorfosi o alla metempsicosi o a entrambe. Fanno eccezione gli ebrei. Nei testi sacri del giudaismo e segnatamente in Genesi è netta la precisazione: ogni specie resta eternamente quella specie, non vi è né metamorfosi né metempsicosi, e ogni individuo della specie vive e muore come individuo, quel singolo individuo, e non si trasforma e si reincarna. Questa concezione, almeno nella cultura monoteista, durò per millenni.

Nel XVIII-XIX secolo l’idea di una Natura come terreno di lotta rispecchia l’idea di una Società in concorrenza come prospettata da Adam Smith. In quel tempo vi furono varie concezioni riguardanti il conflitto, l’antitesi, la lotta, dicevo. Concezioni che esasperavano la potenza del Male e la disfatta del Bene, come in De Sade; concezioni che vedevano la Natura come Male, così in D’Holbac, in Leopardi; concezioni che vedevano nel conflitto il progresso, il superamento, così in Hegel e perfino in cattolici come Manzoni. Non c’è dubbio che il movimento rivoluzionario impresso dal capitalismo, dalle invenzioni tecniche, l’ansia del profitto, lo scontro concorrenziale influirono sulla concezione che la lotta pervade società e natura, e ciò, per taluni, a fini di miglioramento, per altri in forme distruttive.

Un apporto significativo alla teoria del conflitto venne da Thomas Malthus, il quale ritenne che esiste una disarmonia tra risorse e popolazione, le risorse non bastano a tutta la popolazione, si che solo pochi o non tutti riescono a procurarsele, chi se le procura, sopravvive e si riproduce, ma ciò comporta accrescimento della popolazione, il numero eccessivo di figli rende di nuovo carenti le risorse. Al dunque, vi è costante disarmonia tra risorse e popolazione e lotta per procacciarsele. È la lotta per la sopravvivenza. Non c’è dubbio, ripeto, che quest’insieme teorico e reale abbia influenzato la più organica concezione sulla evoluzione della Natura, vegetale, animale, umana formulata in seguito da Charles Darwin.

L'indagine sulla Natura come terreno di lotta e di cambiamento è legata a un’epoca nella quale, dentro la Società, si verificavano lotta e cambiamento. Al dunque, non ci fosse stata la rivoluzione del capitalismo, la competizione concorrenziali, la vittoria del più forte (ma preciseremo) non avremmo avuto la teoria evoluzionista, forse. La spiegazione più affermata del modo in cui le specie mutano, al tempo di Darwin, era quella del francese Lamarck. Tra il Settecento e l’Ottocento le antiche concezioni materialistiche avevano ripreso attualità, Lamarck espone una visione che sembra la più naturale concepibile: al mutare dell’ambiente gli animali, per adattarsi, sviluppano organi adeguati che vengono ereditati, la così detta ereditarietà dei caratteri acquisiti.

Indubbiamente Lamarck coglie aspetti reali dell’evento mutativo. Innanzi tutto, che vi è un’evoluzione e le specie non sono fisse, inoltre che l’ambiente determina o contribuisce al mutamento. La teoria si completa con l’aggiunta che la funzione crea l’organo. Per dire: un pesce nel caso l’acqua viene a mancare crea organi che gli consentono di respirare e di muoversi sul terreno. Nel lungo periodo, evidente. La teoria ebbe ampie adesioni, ripeto: sembrò evidente, una conferma al materialismo. Ma vennero obiezioni decisive: non è dimostrato che i caratteri acquisiti siano ereditati. Né che la funzione crea l’organo. Al dunque, la concezione evoluzionistica rispondeva soltanto alla mentalità dell’epoca.

Presso che tutti, scienziati e pensatori, ritenevano che Natura e Società cambiavano e progredivano, ma, per quel che si riferiva alla Natura, non si comprendevano le cause del mutamento. E le cause proposte da Lamarck risultavano, a lume di scienza, invalidabili, i caratteri acquisiti non sono ereditati. Fu, invece, Charles Darwin, a fornire una giustificazione del mutamento, a tutt’oggi ritenuta appropriata o in ogni caso probabile più delle altre, anche se non mancano i negatori. Premettiamo talune constatazioni incontrovertibile: tutto ciò che vive in Natura è soggetto alla temporalità ossia, per esempio, sono esistite specie ora estinte dalle quali vengono specie oggi esistenti. Per essere espliciti: l’uomo come si presenta adesso è un ente che viene dopo i primati, non è contemporaneo, per dire, ai dinosauri.

Vi è, insomma, in Natura una successione di esistenti e spesso una gradazione di esistenti, ciò appare manifesto nell’uomo, il quale non è comparso come è oggi ma a seguito di molti cambiamenti. E questi cambiamenti sono di una entità che era già “uomo” o si passò da un ente che non era uomo all’uomo? Al dunque, dal primate si passò all’uomo? E i motivi di questa evoluzione sono da ricercare nell’adattamento all’ambiente secondo la teoria di Lamarck, la funzione crea l’organo, o sono dovuti ad altre ragioni? Abbiamo detto che la scienza nega l’ereditarietà dei caratteri acquisiti, anche se nel periodo dell’Unione Sovietica si ritenne provata questa ereditarietà, ma erano prove false, e di recente si è riproposta la questione. Fu, lo accennavo, Charles Darwin a fornire una spiegazione, convincente per la maggioranza degli scienziati, delle ragioni che rendono possibile l’evoluzione.

Per Darwin in situazioni ambientali date l’organismo attua dei cambiamenti genetici che consentono a un soggetto di avere vantaggi rispetto ad altri soggetti che non hanno tali favorevoli mutamenti genetici. Chi ha tali mutamenti vantaggiosi prevale e si riproduce nella lotta per la sopravvivenza e per l’accoppiamento, come sosteneva Malthus che accadesse tra gli uomini, e tramanda i vantaggi genetici. Nel processo di milioni di anni l’accumulo di tali scarti genetici suscita addirittura soggetti diversi dai precedenti, specie distinte. Si spiegherebbe in tal modo perché una specie provenga da un’altra specie e perché esiste differenza nella stessa specie.

La causa è dovuta ai vantaggi di sopravvivenza di chi per scarti genetici, appunto, è più adatto all’ambiente. Se una tartaruga in una zona delle Galapagos è diversa da una tartaruga della stessa specie in un’altra zona delle Galapagos, la ragione è semplice: i mutamenti genetici permettono a un tipo di tartaruga di sopravvivere in un luogo anziché in un altro che esige altre caratteristiche. Darwin capovolge Lamarck: il mutamento non è dovuto a un organo creato per adattarsi all’ambiente, non è dovuto all’ambiente, l’organo nasce al nostro interno, è genetico, e ci consente un migliore adattamento all’ambiente, quindi sopravvivenza e riproduzione. Ma la teoria di Darwin, è necessario insistere, non concepisce un “diritto” o perfino un “dovere” del più forte a prevalere.

Prevale il più adatto all’ambiente, il quale non è necessariamente il migliore, piuttosto chi in un ambiente dato ha caratteri che gli permettono la sopravvivenza, potrebbe essere una entità violenta, schifosa. Lo scarafaggio ha grandi capacità di sopravvivenza in ambienti degradati ma è uno scarafaggio. Al limite potrebbe accadere, ed è opinione sostenuta, che i batteri o taluni insetti o animali siano più duraturi dell’uomo ma è problematico definirli migliori di noi. E in una stessa specie possono affermarsi “tipi” violenti, astuti, omicidi. Come accennavamo occorre distinguere, la sopravvivenza di chi ha organi più adatti a sopravvivere non è la sopravvivenza del più forte meno che mai del migliore. Ne vedremo le conseguenze sociali. Karl Marx e Friedrich Nietzsche si disputeranno in forme antagoniste la concezione di Charles Darwin.