di Alessandro De Angelis

E vabbè, se c'è confusione, tocca fiutare l'aria. Ecco, Dario Franceschini è una vecchia volpe. La sua analisi l'ha spiegata nel corso del gabinetto del Pd, e dovreste vedere come l'ascoltano (Provenzano, ad esempio, va dicendo che, se dipendesse da lui, lo vorrebbe al Quirinale). In fondo, la tesi, è semplice: siamo tutti fatti di carne ed ossa, stomaco (magari infiammato) e nervi (magari a fior di pelle). Salvini rientra in questa tipologia: aveva in mano l'Italia solo due anni fa, ha subito il governo, è stato sorpassato dalla Meloni, lo scandalo di Luca Morisi non gli dà pace. Conclusione, poeticamente democristiana: "Con questa reazione così scomposta e nervosa, è stato il primo a presentarsi come sconfitto. Pare forza, ma non lo è".

Vedete, i democristiani hanno una marcia in più, perché avendo risolto a monte il problema dell'onnipotente, che per loro non alberga né su questa terra né a capo di un partito, conoscono gli effetti collaterali dell'onnipotenza terrena: "Questo non significa – ha chiosato – che non accadrà nulla. Io, al fatto che lui sosterrà il governo fino a fine legislatura, con la Meloni che gli prende i voti, non ho mai creduto". E se proprio vogliamo proseguire con l'ascolto delle vecchie volpi, rileggere oggi l'intervista di Giorgetti, lo inscrive di diritto alla voce Cassandra. Conoscendo bene fragilità e nervi del suo leader, la pochezza dei candidati, la sconfitta annunciata, ha capito che il minuto dopo le elezioni sarebbe partito il ballo, e dunque, nel timore che Draghi possa essere trascinato nel gorgo, ha pensato che la soluzione migliore sia eleggerlo al Quirinale.

Però calma, calma e gesso. Perché quel che sta succedendo ora è chiaro: su una cornice innocua e su un provvedimento tutto da scrivere – la delega fiscale – Salvini si è imbizzarrito, fino a dare sostanzialmente del bugiardo a Draghi, ha parlato, straparlato, ha imposto ai ministri di non partecipare al cdm, si è preso la scena conquistandosi l'apertura dei giornali con titoli che neanche ci fosse la crisi di governo, messaggio a suo giudizio utile a recuperare quegli elettori che sono stati a casa, eccetera eccetera. Crisi ovviamente negata il giorno dopo, con tanto di "io non esco, escano loro".

Però, se è vero che Salvini ha portato la campagna per i ballottaggi nel governo, il prossimo capitolo di questa storia dipende proprio dai ballottaggi. Non è ininfluente, se sarà cappotto o quasi pareggio. E il primo a conoscere la differenza tra una simil crisi rappresentata e una crisi davvero consumata è proprio il leader leghista, il quale sa che, se mette in discussione il governo Draghi, si ritrova un plotone di imprenditori del Nord che aspettano il suo atterraggio a Malpensa muniti di forconi, e con essi buona parte degli amministratori leghisti. Insomma, al momento c'è solo da registrare (poco non è) l'inizio di un gioco pericoloso se, per la prima volta anche i più moderati, come il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari in un'intervista al Corriere, annoverano tra le ipotesi quelle di un'uscita dal governo.

È un gioco che il Pd osserva quasi auspicando un nuovo Papeete che lo tolga dall'imbarazzo: "È iniziata da parte di Salvini – sostiene il vicesegretario del Pd Provenzano – la 'montizzazione' di Draghi, la rappresentazione di Draghi come Monti, ma è un gioco che non possiamo tollerare, per cui occorrerà un chiarimento vero dopo il ballottaggio, perché non è accettabile la narrazione che Draghi fa le cose e i partiti fanno casino, visto che i partiti non sono tutti uguali". Ed effettivamente questa montizzazione c'è, almeno nella sua rappresentazione, con non poche contraddizioni: il governo amato dal partito del Pil è diventato quello che aumenta le tasse. E a sentire i leghisti, va tutto male. Parlando con qualche collega alla Camera, Edoardo Rixi sembrava tornato indietro ai tempi del Conte 1: "Se i cantieri sono fermi, i soldi si ingolfano, i commissari non funzionano, mi chiedo: che ci stiamo a fare al governo?", con gli altri che annuivano.

Morale della favola, dopo una giornata nei Palazzi. Sul taccuino si può annotare questo: non c'è un disegno di Salvini, ma la fastidiosa sensazione di essere in una trappola, da cui è difficile uscire. Se avesse la bacchetta magica, manderebbe Draghi al Colle, non per andare a votare (con questi chiari di luna, meglio evitare), ma, con un altro colpo di bacchetta, farebbe nascere un altro governo sostenuto dalla famosa maggioranza Ursula. Che meraviglia, pensa: il quarto della legislatura non eletto, e lui che, per qualche mese, dall'opposizione recupera voti alla Meloni, ululando più forte di lei contro i parrucconi che non vogliono mollare lo stipendio. Se la bacchetta magica ce l'avesse il Pd, trasformerebbe Draghi, non altri (mica è differenza da poco), in una sorta di novello Conte con maggioranza rossa-gialla e "azzurro libertà", colore di Forza Italia, con Salvini che beve mojito sui suoi scranni. È evidente che, in assenza di bacchetta magica, il rischio è che questo "gorgo" finisca solo col complicare l'azione del governo. È altresì evidente che, almeno fino al Quirinale, non succederà niente.