DI ANONIMO NAPOLETANO

La guerra di camorra nella periferia orientale di Napoli, dopo le bombe, le sparatorie e i ferimenti, ha segnato mercoledì un terribile salto di qualità. Un incensurato di 23 anni, Carmine D'Onofrio, è stato massacrato con sette colpi calibro 45 sotto casa, davanti agli occhi della compagna ventenne, all'ottavo mese di gravidanza. Secondo i Carabinieri, il ragazzo non c'entrava con i business criminali, si arrangiava con lavoretti saltuari, ma è rimasto vittima di una vendetta trasversale, “colpevole” solo di essere il figlio illegittimo del boss Giuseppe De Luca Bossa, assieme al fratello Antonio, detto “Tonino 'o sicco”, a capo del clan egemone a Ponticelli. Clan che però, assieme alle famiglie alleate dei Minichini e dei Casella, è sotto l'attacco degli emergenti De Micco, detti “Bodo”, e De Martino, detti “Xx”. 

Tra i due cartelli criminali è in atto da anni una faida violentissima. Iniziata nel 2013 con il duplice omicidio di Antonio Minichini e Gennaro Castaldi, la guerra si è trascinata fino ad oggi con alti e bassi. Ma nell'ultimo anno ha avuto una impennata senza precedenti di attentati e vendette che hanno causato in soli dodici mesi tre morti, Giulio Fiorentino, Salvatore e Giulio De Martino, e sei feriti. Senza contare le sparatorie dimostrative e le bombe. Una escalation che, secondo gli investigatori dell'antimafia, dipende anche da recenti scarcerazioni eccellenti. Ad ottobre 2020 è uscita di prigione la madre dei fratelli De Martino, che assieme al figlio minore a piede libero avrebbe ora le redini del clan. Nel marzo 2021 è uscito per fine pena, dopo otto anni di carcere, Marco De Micco, detto “Bodo”, capo dell'omonima cosca. Proprio sotto l'abitazione di De Micco, la settimana scorsa, è stato fatto esplodere un potente ordigno che ha ferito due passanti innocenti, una madre col suo bambino. L'omicidio di mercoledì, ragionano gli investigatori, sarebbe proprio la risposta a quella bomba. E ora la paura domina il quartiere di Ponticelli: a chi toccherà la prossima volta?

Le ragioni della guerra sono facili da comprendere: in ballo c'è un fiume di denaro derivante dalle estorsioni e soprattutto dal “pizzo” imposto a tutte le piazze di spaccio dell'area orientale. Il pentito Tommaso Schisa, dell'omonimo clan legato ai De Luca Bossa-Minichini, ha messo a verbale che nelle casse comuni delle tre famiglie entrano 150mila euro al mese. È immaginabile che una somma altrettanto grande vada ad arricchire i rivali De Micco-De Martino. 

Ma accanto alle questioni economiche, in ballo ci sono anche equilibri di potere. I clan dell'area orientale sono legati a due opposti cartelli che si spartiscono il resto della città e della provincia. 

L’attuale geografia criminale, ricostruita dalla Dia anche grazie ai collaboratori di giustizia, conferma il ruolo dominante del clan Mazzarella, che estende il suo dominio dal centro della città fino all'area orientale, ai Mazzarella sono legati i gruppi D’Amico del Rione Villa, Montescuro di Sant’Erasmo, Luongo di San Giorgio a Cremano, De Bernardo di Somma Vesuviana e Formicola di San Giovanni a Teduccio. È con loro che si sono schierati i ponticelliani De Micco “Bodo” e De Martino “Xx”.

Sull’altro fronte, le famiglie de Luca Bossa-Minichini-Schisa di Ponticelli si sono federate con i clan Rinaldi-Reale e Silenzio di San Giovanni a Teduccio, il cartello Cuccaro-Aprea di Barra, la famiglia Sibillo della zona centrale dei Decumani, tutti a loro volta alleati dei Contini e di quel che resta della storica Alleanza di Secondigliano.

Questi sodalizi diventano ancora più importanti in tempo di guerra, quando servono molte armi, munizioni e soldi per combattere i rivali, e si fa affidamento sui rifornimenti che possono essere assicurati dai clan amici. La faida di Ponticelli, insomma, rischia ora una escalation dagli esiti imprevedibili. Che potrebbe anche coinvolgere altre aree della città di Napoli. Intanto, nella periferia orientale la gente vive nel terrore, chiedendosi, dopo l'omicidio eccellente del figlio di uno dei boss, quale sarà la risposta della camorra. E sperando, con scarso ottimismo, che anche lo Stato decida di far sentire la sua voce e manifesti la sua presenza per interrompere la scia di sangue che, altrimenti, si prevede molto lunga.

Poche ore prima dell'omicidio la clamorosa sentenza sul boss De Micco 

Dall'ergastolo all'assoluzione per il 

duplice delitto che diede il via alla faida

Forse è solo una coincidenza. Forse no. Poche ore prima della clamorosa escalation di violenza a Ponticelli, con l'omicidio del figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, il clan rivale dei De Micco aveva incassato una clamorosa ed inaspettata assoluzione di due suoi elementi di spicco. Gennaro Volpicelli e il ras Salvatore De Micco, fratello del capoclan Marco, sono stati completamente scagionati dalla corte d'assise d'appello di Napoli dopo una condanna all'ergastolo in primo grado. E il processo in questione riguardava proprio un duplice omicidio eccellente che aveva dato il via alla faida nella zona orientale di Napoli. Era il 29 gennaio 2013 quando due giovanissimi caddero sotto i colpi di spietati killer. A morire furono Gennaro Castaldi e Antonio Minichini, quest'ultimo appena 19enne, figlio del boss Ciro Minichini e di Anna De Luca Bossa, dell'omonima famiglia camorristica a cui i De Micco avevano dichiarato guerra. Due pentiti, Domenico Esposito “’o cinese” e Gaetano Lauria, zio e nipote, si autoaccusarono di aver partecipato al delitto e puntarono il dito contro Gennaro Volpicelli e Salvatore De Micco: sarebbero stati loro a fare fuoco contro i rivali. Salvatore De Micco si diede alla latitanza ma fu catturato al termine di un rocambolesco inseguimento per le vie della sua Ponticelli: era il 19 febbraio 2015. Il processo che seguì vide la condanna all'ergastolo per il fratello minore di Marco De Micco. Martedì scorso però, ecco il verdetto di appello che ha cancellato il carcere a vita. Secondo i giudici, i due pentiti si sarebbero contraddetti su varie circostanze riguardanti le ore precedenti l'omicidio e le circostanze attraverso le quali i killer avrebbero appreso l'esatta posizione delle vittime. Contraddizioni tali da minare la credibilità dei collaboratori di giustizia.

Una sentenza importante per il clan De Micco, già rafforzato dalla recente scarcerazione del suo capo, Marco, detto “Bodo”, tornato nell'area orientale di Napoli lo scorso mese di marzo. Una sentenza da festeggiare per la nota famiglia criminale di Ponticelli. 

La notte stessa è caduto sotto i colpi dei killer di camorra il figlio incensurato di Giuseppe De Luca Bossa, fratello del boss rivale dei De Micco, “Tonino 'o sicco”. Solo una coincidenza?