di Angela Mauro

 

Il problema è che l’ambiguità la aiuta a vivere, proliferare, persino arrivare ad un passo dal governo del paese. È questo che fa dell’ultradestra italiana un caso a parte in tutta Europa. Parliamo innanzitutto dell’ambiguità degli alleati ‘moderati’ del centrodestra, così concentrati a tenere insieme la coalizione da non accorgersi che nel frattempo si è trasformata in un ‘destra-centro’, dove è l’idea più estrema a dettare la linea. E così succede che dal ‘destra-centro’ unito ancora non arrivi una condanna dell’assalto di sabato scorso alla sede nazionale della Cgil come un assalto di matrice ‘fascista’, per dire. In altri paesi d’Europa non succederebbe, benché tutti i paesi dell’Unione stiano conoscendo ormai da anni l’insorgenza di vecchi e nuovi movimenti e partiti di estrema destra.

 

Il problema è europeo, certo. E ha anche molto senso pensare che a livello europeo la competizione a destra sia stata risolta integrando nei sistemi democratici idee proprie dalla destra. Succede per esempio sull’immigrazione: in questo campo, la destra ha fatto scuola, la politica cosiddetta moderata ha praticamente fatto proprie le politiche della destra. Come per esempio la costruzione di muri ai confini esterni: ormai lo chiedono ben 12 paesi europei, tra cui persino la ‘civile’ Danimarca, e Bruxelles fa solo notare che non ci sono soldi, ma se vogliono prego, facciano pure con fondi nazionali.

 

Ma il successo della destra in quanto tale, nel suo solito brodo di cultura fascista che non è solo storia d’Italia ma anche presente, è cosa italiana. In Germania, quando l’anno scorso un pezzo della Cdu si è azzardato a fare accordi con l’ultradestra di ‘Alternative für Deutschland’ in Turingia, sono saltate diverse teste nel partito. A partire dalla guida, l’allora ‘delfina’ di Angela Merkel, Annegret Kramp-Karrenbauer. Per lei, carriera finita: prima del ‘fattaccio’, Akk era avviata a raccogliere il testimone della cancelliera, come candidata alle elezioni dello scorso 26 settembre. Invece l’ha pagata, eppure non era nemmeno direttamente responsabile dell’accordo, opera di esponenti locali della Cdu.

 

Insomma, almeno durante l’era Merkel certe ‘tentazioni’ non sono mai state permesse. L’Afd, pur forte nelle urne negli anni passati, ha continuato a restare isolata rispetto al centrodestra, di fatto trattata da ‘appestata’ dalla maggior parte dei suoi esponenti. A marzo 2020, l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (BfV) ha classificato la fazione ‘Der Flügel’, interna all’Afd, come ’un’organizzazione estremista di destra avversa all’ordine di base liberal democratico perciò non compatibile con la legge fondamentale della Repubblica Federale di Germania” e quindi attualmente posta sotto sorveglianza dell’intelligence. Nell’articolo 21 della Costituzione, la Germania ha piazzato una norma proibitiva contro i partiti anti-sistema, usata contro nazisti e comunisti negli anni ’50.

 

La Francia ha anticorpi politici. Alle presidenziali dell’anno prossimo, Marine Le Pen proverà ancora a piazzarsi al ballottaggio e a vincere contro l’avversario moderato chiunque sarà, ma il sistema dovrebbe garantire la sua estromissione dall’Eliseo. Finora è sempre andata così, come insegna la storica sfida a destra tra Jacques Chirac e il padre di Marine, Jean Marie Le Pen. Certo, un sistema del genere non assicura al cento per cento che le forze estremiste non prendano il potere: dipende dai voti, appunto. Ma in Francia il Rassemblement National è altra cosa rispetto ai Répubblicains, nessuna cinghia di trasmissione li collega, la distanza è tanto siderale da risultare quasi agli opposti del panorama politico.

 

La Spagna forse ha minori anticorpi. Ma anche lì, quand’anche i neo-franchisti di Vox, che ieri hanno ospitato e omaggiato Giorgia Meloni, diventassero alleati di governo del Partido Popular, lo sarebbero da partner di minoranza. Al contrario di quanto è (o era?) nei piani di Meloni o di Salvini rispetto alla debole, ma non per questo non responsabile, Forza Italia.

 

Per avere esempi di destra estrema di governo, bisogna andare nell’est Europa, come si sa. A partire dall’Ungheria di Viktor Orban, che pure è stato trattato con tanta ambiguità dai moderati del Ppe quando era nella famiglia popolare, coccolato nella loro grande cerchia europea, fino a quando le pressioni dei partiti del centrodestra del nord hanno vinto sulle reticenze del sud e il leader di Fidesz è finito fuori. Non a caso, ora Orban è punto di riferimento semi-esclusivo di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E indirettamente - qui sta il punto - anche di Forza Italia, per via di quella proprietà transitiva che in politica fissa le alleanze e anche le amicizie imbarazzanti.

 

Ci sono i polacchi del Pis, partito guida dei Conservatori e Riformisti europei di cui Meloni è presidente. Finora, l’Ecr non ha commento lo scandalo Fidanza, l’europarlamentare di Fratelli d’Italia ripreso in un’inchiesta di Fanpage a parlare di finanziamenti in nero, in compagnia non di nostalgici del fascismo, ma di gente orgogliosa di quel pezzo di storia d’Italia. Ma certo i polacchi che hanno appena sfidato Bruxelles con una sentenza della Corte Costituzionale che si erge al di sopra del diritto europeo non possono scagliare la prima pietra. Persino in Polonia però una grande manifestazione democratica ed europeista ha risposto alla provocazione ieri, piazza convocata dall’ex presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che pure non può dirsi innocente per come ha gestito la presenza scomoda di Orban nel Ppe negli anni scorsi.

 

L’Austria ha provato un governo di centrodestra, con l’ultradestra dell’Fpo in un ruolo dominante. Il cancelliere era Sebastian Kurz, moderato ma mica tanto, da farsi influenzare dagli alleati estremisti. Finì tutto con lo scandalo di Ibiza, sui contatti tra Fpo e Russia. Kurz ha fatto un altro governo con i Verdi, ora si è dimesso per un scandalo di corruzione molto pesante (accusato di aver usato di fondi statali per sondaggi politici).​

 

Si diceva della Danimarca, a proposito dei muri anti-immigrati. Anche questa vecchia socialdemocrazia europea ha i suoi problemi con l’insorgenza della destra estrema: il Partito Popolare Danese, alleato di Salvini alle europee del 2019, grande successo alle politiche del 2015 quando si affermò come secondo partito con il 21,1 per cento delle presenze con 37 seggi in Parlamento, flop 4 anni dopo quando perse 21 seggi e quasi due terzi dei voti. Anche lì nessuno l’ha vezzeggiata: gli altri partiti ne hanno sussunto le politiche sui migranti. Più o meno grave che sia, a seconda di come la si voglia vedere, nemmeno lì c’è la connivenza politica tipica dell’Italia.

 

È questa l’anomalia italiana nell’emergenza estremista europea. Un’anomalia che la rende più insidiosa rispetto agli altri movimenti e partiti nazionalisti del continente. Tanto che, non a caso, la marea sovranista di tutti i paesi Ue trova i suoi punti di riferimento proprio in Italia. Prima, Salvini, acclamato come leader da tutta l’Europa ‘nera’ a ridosso delle europee 2019, non più da quando appoggia il governo Draghi. Ora, Meloni, alla guida dei Conservatori e Riformisti, che finora ha conquistato anche le copertine di eminenti magazine stranieri come nuovo ‘fenomeno’ della politica, in più donna, roba che oggigiorno è capace di cancellare qualunque macchia. Finora. Da sabato scorso non più? Dipende da quanto i ‘nuovi’ fascisti finiranno isolati. Nel ventennio, anche Giolitti si era messo in testa di inglobarli per educarli. Finì male.