Caro Direttore,

Se nel 2006 gli italiani regolarmente iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) erano 3.106.251, nel 2020 hanno raggiunto quasi i 5,5 milioni: in quindici anni la mobilità italiana è aumentata del +76,6%. Una crescita ininterrotta che ha visto sempre più sottile la differenza di genere (le donne sono passate dal 46,2% sul totale iscritti 2006 al 48,0% sul totale iscritti 2020). Si tratta di una collettività che, rispetto al 2006, si sta ringiovanendo a seguito delle nascite all’estero (+150,1%) e della nuova mobilità costituita dai nuclei familiari con minori al seguito (+84,3% della classe di età 0-18 anni)  e da protagonisti giovani e giovani-adulti da inserire nel mercato del lavoro (+78,4% di aumento rispetto al 2006 nella classe 19-40 anni), però, la “comunità storica” delle prime e seconde generazioni invecchia  e dobbiamo aggiungere alcuni recenti fenomeni, come, ad esempio, quello dell’emigrazione previdenziale in primo luogo, che ha toccato il picco massimo nel 2018 e anche quelli del “migrante genitore-nonno ricongiunto” e del “migrante di rimbalzo” che fanno aumentare gli iscritti all’AIRE, con età superiore ai 65 anni dell’85,4% negli ultimi 15 anni.

Nel 2006, secondo dati ISTAT, il 68,4% dei residenti ufficiali all’estero aveva un titolo di studio basso, ossia licenza media o elementare o addirittura nessun titolo e solo il 31,6% aveva un titolo medio alto (diploma, laurea o dottorato).

Dal 2006 al 2018 si assiste alla crescita della popolazione in formazione e scolarizzazione: nel 2018, il 29,4% è laureato o dottorato e il 29,5% è diplomato, ma il 41,5% è ancora in possesso di un titolo di studio basso o semplicemente non ha nessun titolo. Peró, anche se, rispetto al 2006, la percentuale di chi si è spostato all’estero con titolo alto (laurea o dottorato) è cresciuta del +193,3%, per chi lo ha fatto con un diploma, l’aumento è stato di più il +292,5%. Questo elemento ci mostra quindi un costante errore nella mobilità recente che si racconta all’opinione pubblica come quasi esclusivamente composta da gente molto qualificata. Negli ultimi quindici anni la presenza italiana all’estero è prettamente euroamericana, ma con una differenza perché il continente americano, e soprattutto l’area latino-americana è cresciuta dall’interno (+1.130.883 unità per un totale, a inizio 2020, di poco più di 2,2 milioni di residenti grazie alle acquisizioni di cittadinanza, ovviamente frenata anche dalla burocrazia e dall’incapacità delle strutture consolari (+123,4% dal 2006), che sono, nient’altro che i  riconoscimenti per discendenza richiesti per via delle numerose crisi economiche e politiche registrate nei paesi latinoamericani e che sussistono in questa parte del mondo che ha ha avuto una fortissima emigrazione italiana tra la fine dell’Ottocento e il Novecento. Basti considerare i consistenti aumenti di iscrizioni registrati dal 2006 in realtà in tutto il continente sudamericano come, per esempio, il Brasile (+221,3%), l’Argentina (+114,9%), o il Cile (+123,1%) e, solo in parte, per via di una crisi molto piú recente, il Venezuela (+47,4%). Piú del 70%  delle iscrizioni totali avute in America dal 2006 sono state in Argentina (+464.670) e in Brasile (+329.206). L’Europa, invece, negli ultimi quindici anni, è cresciuta maggiormente grazie alla nuova mobilità (+1.119.432, per un totale, a inizio 2020, di quasi 3 milioni di residenti totali).

A dimostrarlo ci sono gli aumenti nelle specifiche realtà di ogni paese. I valori assoluti fanno emergere i paesi di vecchia mobilità come la Germania (quasi 252 mila nuove iscrizioni), il Regno Unito (quasi 215 mila) o la Svizzera (più di 174 mila), la Francia (quasi 109 mila) e il Belgio (circa 59 mila), sono gli aumenti in percentuale rispetto al 2006 a far emergere le novità più interessanti. Per gli stessi paesi si riscontrano le seguenti indicazioni: Germania (+47,2%), Svizzera (+38,0%), Francia (+33,4%) e Belgio (+27,3%). Per il Regno Unito, invece, e soprattutto per la Spagna, gli aumenti sono stati molto superiori, rispettivamente +147,9% e +242,1%. Le crescite più significative, comunque vanno dal 2006 al 2020 e possono essere chiamate “nuove frontiere”. Si tratta, ad esempio, di Malta (+632,8%), Portogallo (+399,4%), Irlanda (+332,1%), Norvegia (+277,9%) e Finlandia (+206,2%).

STEFANO CASINI