Ci sono giornate più complicate di altre e il secondo lunedì di ottobre è cerchiato di rosso, nel calendario dello Studio Ovale a Washington. Dal 1937, per volere di Franklin Delano Roosevelt, è il giorno in cui si celebra il Columbus Day, l’anniversario della scoperta dell’America, nonché giornata dell’orgoglio della comunità italo-americana. Da qualche anno, però, in molti Stati americani si celebra l’Indigenous People’s Day: la festa che ricorda lo sbarco di Cristoforo Colombo è diventata commemorazione per l’espropriazione delle terre e il genocidio dei popoli nativi. Joe Biden è il primo presidente che prova a conciliare l’inconciliabile, sancendo ufficialmente la coabitazione fra le due ricorrenze.

Per farlo il presidente ha firmato un documento in cui il bilanciamento appare piuttosto un esercizio di contorsionismo politico. “Facciamo in modo che oggi sia un giorno di riflessione, sullo spirito americano di esplorazione, sul coraggio e il contributo degli italo-americani attraverso le generazioni, sulla dignità e la capacità di reazione delle tribù dei nativi e delle comunità indigene, sul lavoro che ci resta da fare per realizzare la promessa di una Nazione per tutti”. Scrive Biden: “Il contributo che il popolo indigeno ha reso attraverso la storia è fattore integrante della nostra nazione, cultura e società - si legge nella dichiarazione diffusa alla fine della scorsa settimana - oggi noi riconosciamo i sacrifici significativi fatti dai nativi per questo Paese e riconosciamo i molti contributi che apportano”. Il presidente ha poi per la prima volta riconosciuto “la dolorosa storia di atrocità che molti esploratori europei hanno inflitto alle nazioni tribali e le comunità indigene”. Secondo il presidente “è una misura della grandezza della nostra nazione il non cercare di nascondere questi episodi vergognosi del nostro passato, che noi fronteggiamo con onestà, portiamo alla luce e facciamo tutto il possibile per affrontarli”.

Sono tantissime le città - tra cui Los Angeles, San Francisco, Seattle - e una ventina gli Stati - come California, Oregon, Louisiana - che hanno cancellato le celebrazioni del Columbus Day, lasciando spazio all’Indigenous People’s Day. E sono cresciute nell’ultimo anno in scia alle proteste del Black Lives Matter che hanno preso di mira non solo le statue dei protagonisti del Sud schiavista e razzista, ma anche i simbolo del colonialismo. Sono 33 le statue dell’esploratore italiano che finora sono state rimosse negli Usa, in molti casi si attende l’esito di una controversia legale per abbatterle.

In tempi di cancel culture, il tentativo di conciliazione di Joe Biden può apparire meritorio, ma quantomeno azzardato. Difficile conciliare un giorno di festa con uno di dolore, un giorno dell’orgoglio con uno della vergogna, difficile mettere insieme chi considera Cristoforo Colombo un sanguinario schiavista emblema delle nefandezze del colonialismo, con la statua del navigatore genovese a Washington, dedicata “alla memoria di Cristoforo Colombo, la cui fede elevata e l’indomito coraggio hanno dato all’umanità un nuovo mondo”.