E se solo fosse il ritorno di un ennesimo, persistente, carsico “Boia chi molla!”? Riveduto, corretto, eppure intatto nella sua oscenità, semplicemente remixato rispetto alla situazione attuale data. Ciò che è accaduto l’altro giorno a Roma, l’irruzione violenta, squadristica, a testuggine dei fascisti di Forza Nuova nella sede nazionale della Cgil in corso d’Italia, aldilà del dato teppistico immediato, in chi ha contezza della storia civile, non può che rimandare a ciò che avvenne per lunghi mesi, tra il 1970 e il 1971, a Reggio Calabria, con appunto i moti del cosiddetto “Boia chi molla!”, slogan fortunato, caro alla destra missina populista avanti lettera, da opporre magari a chi scandiva invece lo slogan “Non è che l’inizio, la lotta continua”.

Allora, prendendo spunto da questioni, come dire, localistiche, e apparentemente secondarie, la scelta di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro e l’attesa di un centro siderurgico, si produsse un combinato disposto di violenza eversiva in grado di riverberarsi in modo tellurico e perturbante nell’intero Paese. A Catania, in Sicilia, poco tempo dopo quei fatti, il Movimento sociale italiano di Almirante, “fascista in doppiopetto”, che allora i socialisti raffiguravano sui manifesto con i baffetti di Hitler e la chiosa “Affidereste il vostro futuro a quest’uomo?”, ottenne il pieno di voti. In realtà, quella rivolta, che il Partito comunista italiano, meglio, la sinistra istituzionale tutta, assimilava, anche dal punto di vista linguistico e antropologico, alla prassi abituale della “teppa” sottoproletaria neofascista, in verità aveva anime e forme distinte: perfino i maoisti di “Servire il popolo”, nei loro comizi ne rivendicavano una parte in commedia politica, rendendo plauso ai “ragazzi sulle barricate di Reggio Calabria” (sic), così sulle affissioni elettorali di quei giorni scrissero perfino “Un voto per l’insurrezione”.

Questo per dire, altrettanto simmetricamente, che il popolo dei “No vax” e dei “No green pass”, che adesso prende spunto da una presunta “dittatura sanitaria” planetaria, ben al di là delle sue componenti più folcloriche, tra terrapiattismo e ossessione per il 5G, è ben più composito: le questioni investite sono assai più globali, planetarie, tuttavia l’aria è comunque la medesima: stesso tanfo di cucina militante in bomber o perfino birkenstock; si nutre insomma di una subcultura che prende spunti da insicurezze generali e fantasmi di un Virus trasfigurato in feticcio. Citando talvolta sui cartelli la parola “fascismo” con l’ambiguità di una possibile apologia, o le stelle di Davide impresse sulle mascherine; rovesciamenti di significanti in senso ambiguo, noterebbe un semiologo. Senza dimenticare che le destre ufficiali e ordinarie, Meloni e Salvini, affrontano il nodo dell’allarme con reticenza, quando non soffiano sul fuoco avendo cura, con i silenzi o spostando l’oggetto della denuncia, di blandire un possibile elettorato sempre più parte della genetica reazionaria antisistema dell’ondeggiante opinione pubblica nazionale.

Ciò non toglie che la cuspide principale cui fare attenzione è rappresentata proprio dalla tigre eversiva cavalcata dalla minoranza neofascista, giusto per fare un riferimento a Julius Evola, cui si aggiunge il teppismo acefalo da curva di stadio, ciò che produce la scintilla violenta occasionale, sebbene volutamente cercata. In questo genere di temperature, appare del tutto legittima e condivisibile la richiesta di chi propone siano bandite, sciolte, dichiarate fuorilegge organizzazioni quali Forza Nuova e affini, un atto dovuto in nome della Costituzione. Trattiamo di gruppi che ricercano, appunto, di dare un proprio “brand” nero mettendosi alla testa degli scontri, immaginando in questo, per se stessi, un’opportunità sia egemonica di piazza d’armi sia di palese ricatto nei confronti dei già menzionati partiti di destra, poco risoluti ai loro occhi nella lotta d’opposizione, Fratelli d’Italia e Lega di Salvini.

Assodato che questi ultimi, un po’ per comune patrimonio genetico e un po’ per conformazione sovranista, oltre a non prendere le distanze dalle loro appendici violente, mostrano anzi una reticenza sempre più palese, avendo, lo si è detto, da tenere d’occhio un possibile elettorato, talvolta espressamente eversivo, assai composito; i ballottaggi imminenti ne sono la carta tornasole più evidente. Chi ha memoria, per privilegio d’anagrafe, dei giorni di Reggio Calabria, ricorderà che anche allora sarebbe stata una manifestazione del sindacato unitario, a scendere fin laggiù in Calabria per manifestare la presenza dell’opposizione civile, democratica e, appunto, antifascista; Giovanna Marini per l’occasione compose anche una canzone “I treni per Reggio Calabria”, retorica da agit-prop militante e canora da “La Comune” di Dario Fo e Franca Rame: “Andavano col treno giù nel Meridione per fare una grande manifestazione, il ventidue d’ottobre del settantadue, in curva il treno che pareva un balcone…”.

Ora, in termini spiccioli, c’è da immaginare il teppismo neofascista ed eversivo pronto ad organizzarsi a testuggine nei loro nuovi, risorti, “covi” di un’ennesima via Paolo da Conobbio, magari trasferiti nei rioni più neri di Roma, a mostrarsi come avanguardia al fianco degli ordinari No Vax. Dell’altra sera in via del Corso, resta da una parte l’immagine della donna convinta, faccia da cartomante occasionale di piazza Navona, perché questa è la sensazione antropologica che suggeriva, con le mani alzate in segno di sfida suprema al cordone di polizia all’altezza di piazza San Lorenzo in Lucina, salotto cittadino romano dove si trovava a passare casualmente Jared Leto, divo di Hollywood in vacanza, pronto a restituire la scena sul suo Instagram. E poco oltre, tra piazza del Popolo e corso d’Italia, davanti alla sede della Cgil, le facce da casellario giudiziale dei mazzieri di Forza Nuova, compreso il troglodita a petto nudo che mostrava due grandi ali tatuate sulla schiena da ultrà. Comprensibile, che la polizia, per evitare che la situazione degenerasse ulteriormente, abbia lavorato in semplici termini di “contenimento”, si chiama riduzione del danno.

Resta però che chi non è preposto a un ruolo di immediata repressione, comprenda che oltre l’apparenza dei singoli episodi ciò che è accaduto, mostra, lo ripeto, simmetria tra le vecchie storia della jacquerie neofascista e l’aria che si respira attualmente, muovendo dal pretestuoso spunto della pandemia e le prassi di necessario obbligatorio anche in questo caso contenimento è parola d’obbligo. Occorre riflettere sui ricorsi della storia, siamo forse nuovamente a quel genere di punto di frattura? Chi minimizzando, ora per doppiopesismo ora per pure indifferenza o palese condivisione, non faccia velo a chi possiede invece contezza esatta dell’accaduto e delle prossime scene che si prospettano.

FULVIO ABBATE