di Filippo Rossi

Alla fine lo ha detto. Traditore. "Mi hanno sempre considerato un traditore": Gianfranco Fini dopo un religioso e rigoroso silenzio di quattro anni si è confidato su La Stampa con Fabio Martini. Traditore, quell'accusa infamante è tornata sempre, potente e prepotente, ogni vota che qualcuno si azzardava ad alzare il dito con il coraggio dell'eresia e dire le cose come stavano: basta vi prego, basta con la politica come testimonianza di un mondo morto e sepolto, basta con i ridicoli saluti romani, basta con i "presente", con "e allora le foibe", con i "ma" e i "però", con i saluti legionari, con la battute antisemite...

E poi basta con i giri di parole, con i libri sul fascismo, con gli italiani brava gente e Mussolini brav'uomo, con i diari e ricordi di famiglia, con i padri fascisti, con i nonni podestà, con gli zii ragazzi di Salò. Basta con l'elogio del cattiverio, con il ribellismo individualista figlio della sconfitta politica. Basta con la politica come appartenenza familiare e familistica, con i cognomi che pesano, con le figlie di e le nipoti di. Basta con i piagnistei. Basta con i "traditore". Basta perché la politica è un'altra cosa: è decisione, creazione, futuro. Basta con - Gianfranco Fini ve lo ha ripetuto fino alla noia! - lo specchietto retrovisore.

E invece niente. "Traditore". Questo è stato ed è ancora il marchio d'infamia per chi ha provato e prova a costruire una politica capace di scollarsi di dosso le scorie radioattive di una storia degna di essere politicamente sepolta.

Niente. E nulla importa quali siano i rapporti con quello e quell'altro estremista di destra, e quanto quel saluto a mano alzata sia più o meno romano. La paccottiglia iconografica lasciamola agli antifascisti di professione. La questione è molto più profonda. Fratelli d'Italia è nata culturalmente e psicologicamente contro tutto ciò che Gianfranco Fini aveva rappresentato fino a quel momento: contro i ripetuti tentativi di smarcarsi al centro rispetto a chi voleva che i postfascisti facessero ancora i cani rabbiosi della destra estrema, contro il dialogo con i gollisti francesi, contro l'operazione liberale con l'elefantino di Segni, contro la visita in Israele, contro il "male assoluto", contro tutto ciò che vagheggiava il taglio definitivo di un cordone ombelicale non tanto con il fascismo ma con l'esaltazione autoreferenziale della propria ghettizzazione.

E allora veniamo al dunque. Giorgia Meloni e la sua famiglia hanno scelto da che parte stare, e lo scelgono ogni giorno. Giorgia Meloni ha scelto di riportare la sua destra nella palude putrida da cui Gianfranco Fini, tra tanti errori e forse troppi tentennamenti, avrebbe voluto salvarla. Una palude che c'entra poco, pochissimo, con quello che pensa una sinistra che continua a capire quasi nulla di queste cose, con il fascismo, con il neofascismo, con il mussolinismo, con il nostalgico. Questa roba è la scatola. Il contenuto è il vostro nuovo ghetto, il vostro estremismo di destra molto sfigato che vi fa applaudire un Bannon qualsiasi, che vi fa trasformare Putin in un eroe, che vi fa scodinzolare ogni volta che Orban apre bocca, che vi fa eccitare quando i polacchi sputano addosso all'Europa e ai soldi che anche noi italiani abbiamo dato loro, che vi fa cavalcare le paure della gente, che vi fa esaltare i sentimenti peggiori di tutti noi.

Alleanza Nazionale cosa avrebbe fatto di fronte al governo Draghi? Da che parte sarebbe stata? Da parte di chi sta provando a salvare il paese o dalla parte di chi, legittimamente, vuole conquistare qualche strapuntino in più in nome di un'opposizione dura e pura? Non rispondo io perché la risposta già la sapete. La sapete, cari Fratelli d'Italia, che, guarda caso, avete scelto di stare dall'altra parte. Ancora una volta nel ghetto dell'antipolitica.