di GIUSEPPE COLOMBO

A Cles, capoluogo della trentina Val di Non, è tempo di raccogliere le mele. Non è l’apice della stagione perché le SweeTango sono mature già a metà agosto e infatti ogni anno, in questo periodo, degli oltre cinquemila stagionali che si dedicano alla raccolta ne restano circa mille. Dal 15 ottobre saranno invece duemila per via di un clima benevolo, ma venerdì è anche il giorno dell’entrata in vigore dell’obbligo del green pass per lavorare. Oltre 2/3 di questi lavoratori sono stranieri, molti arrivano dai Paesi dell’Est Europa: alcuni sono vaccinati con Sputnik e quindi non possono avere il certificato verde, altri non si sono vaccinati. E così la provincia di Trento ha dovuto allestire a Cles un hub dove ci si potrà vaccinare con Johnson & Johnson o fare un tampone rapido senza pagare. Se le mele Fuji e quelle di molte altre varietà potranno essere raccolte dipende anche da quanti lavoratori no green pass si recheranno all’hub. Se quella delle mele fosse un’attività marginale, il danno sarebbe contenuto. Ma le mele che si producono ogni anno nella Val di Non e nella vicina Val di Sole sono più di 400mila tonnellate, il 20% di quelle di tutta Italia. E valgono centinaia di milioni. Quella che arriva dalla Val di Non è tutto tranne che una storia isolata. Le istituzioni locali provano a convincere i no green pass, ma l’incognita di come si comporteranno ha a che fare nel Paese con circa 2,5 milioni tra dipendenti di aziende, statali, partite Iva, autonomi e collaboratori domestici. Un censimento alla lettera non si può fare per diverse ragioni, a iniziare dalla privacy, ma incrociando i dati sulle vaccinazioni della struttura commissariale guidata dal generale Figliuolo e quelli del Ministero della Salute sui 93 milioni di certificati verdi scaricati emergono innanzitutto due elementi che possono introdurre a una mappa dei settori e dei territori che rischiano di pagare un prezzo economico importante se i no green pass dovessero restare della loro idea. Il primo elemento riguarda le somministrazioni per fasce d’età. Esclusa quella 12-19 anni, le fasce 30-39 anni, 40-49 anni e 20-29 anni sono quelle che registrano il minor numero di vaccinati. Il tasso di vaccinazione è rispettivamente il 73,8%, il 76,1% e il 78,5%. Percentuali alte, ma inferiori a quelle che riguardano gli over 50: tutte le fasce sopra questa età registrano una percentuale di vaccinati superiore all′80%, con le ultime due fasce (70-79 anni e over 80) che hanno valori superiori al 90 per cento. Dentro le tre fasce che non arrivano all′80% c’è una fetta importante dei lavoratori. Il secondo elemento è quello della differenziazione territoriale relativa al possesso del green pass, che non è legato solo ai vaccini ma anche ai tamponi, oltre che alla guarigione dal Covid. Va fatta ovviamente una proporzione rispetto al numero di abitanti e quello degli occupati, ma la Lombardia, con 16,5 milioni di green pass, è la Regione più blindata rispetto al rischio no green pass sul lavoro. La Sardegna e la Calabria, invece, sono le più esposte. Il 30% dei lavoratori della logistica non ha il green pass (in un Paese dove il 90% delle merci viaggia su gomma) La regionalizzazione del rischio deve essere calibrata anche sull’incidenza di alcune attività: la raccolta delle olive, per fare un esempio, pesa molto di più in Puglia che in Piemonte. Ma ci sono anche tendenze generali, quelle che intercettano un po’ tutto il Paese. Come la logistica e i trasporti. Il 90% delle merci in Italia viaggia su gomma e già questo dato spiega la dipendenza di questi due settori dagli autisti e dagli altri profili professionali impiegati. Come spiegato da Ivano Russo, direttore generale di Confetra - la confederazione che rappresenta un settore da circa 110mila imprese per 85 miliardi di valore (circa il 9% del Pil) - il 30% dei dipendenti delle aziende di trasporto e di quelli coinvolti nelle attività di magazzinaggio non ha il green pass. Sono decine di migliaia di lavoratori considerando che quelli occupati nel trasporto sono 400mila e altrettanti sono quelli che lavorano nei magazzini. C’è anche il trasporto locale e anche questo ambito è un banco di prova. Prendiamo Roma: secondo il sindacato Orsa se mancherà appena il 5-10% del personale ci saranno disagi e problemi sulla metro e a bordo dei treni locali. Dentro Atac, l’azienda che gestisce gran parte del trasporto locale, i non vaccinati sono tra il 15 e il 20 per cento. Anche nelle altri grandi città si registrano percentuali simili, comprese tra il 10 e il 20 per cento. I porti caldi di Trieste e Genova. Il 30% dei camionisti senza vaccino inguaia la filiera I porti fanno parte di un altro ambito lavorativo che genera preoccupazione. A quello di Trieste il 40% delle 950 persone impiegate nelle varie attività non ha il green pass. Qui il malessere è esploso da tempo. Un’immagine su tutte: 11 ottobre, più di 15mila partecipanti al corteo contro l’obbligo del certificato verde. La quarta manifestazione in un mese. A Genova la percentuale di chi non si è vaccinato è del 20 per cento. A Livorno e a Gioia Tauro, invece, i tassi sono molto più contenuti, mentre lo scalo di Venezia e quello di Napoli risultano in controtendenza con livelli di green pass vicine all′80- 90 per cento. A Palermo solo il 7% dei 450 lavoratori non è vaccinato. Ma a fronte di una situazione variegata è bene ricordare che Genova e Trieste sono tra i porti più pesanti in termini di movimentazioni di merci, con tutto quello che significa anche in relazione all’autotrasporto che fa da cerniera con gli scali. Martedì nel capoluogo ligure c’è stata una protesta molto partecipata dei tir al terminal più importante e le Rsu, in lotta per il contratto integrativo, hanno rigettato la proposta dell’azienda, confermando lo sciopero. “Il problema vero - dice il leader della Uil locale Roberto Gulli - sono i trasporti: il 30% degli autisti è senza vaccino, si rischia il caos”. Il settore dell’alluminio mette già in conto una sospensione della produzione L’alluminio è un altro comparto dove monta la preoccupazione. Danilo Amigoni è presidente di Centroal, la famiglia che riunisce le aziende più innovative del settore: 15mila addetti, con presenze che vanno dalla Lombardia al Veneto, passando per Toscana, Campania, Lazio e altre Regioni. In alcune delle imprese che aderiscono al circuito il tasso di non vaccinati è del 30% e questo per Amigoni può tradursi nel rischio di una sospensione o di un taglio alla produzione. Qui si pensa già ai correttivi rispetto all’impianto messo a punto dal Governo. La richiesta è quella di gestire il green pass all’interno dell’azienda, avvalendosi del personale che già oggi misura la temperatura e accompagna il lavoratore in tutti i passaggi previsti dai protocolli di sicurezza. “Acquistare il tampone - spiega Amigoni - non è come fare il tampone all’esterno: nel primo caso è come andare in un negozio dove si viene serviti, nel secondo è entrare in un self service. Gestire il tutto all’interno di un’azienda, consentendo al lavoratore di godere di un clima più rilassato e intimo, è una soluzione win-win per i datori di lavoro e per i lavoratori”. Nei campi in 100mila senza il pass. Dalla vendemmia alle olive: a rischiare di più sono Puglia, Toscana e Veneto L’agricoltura è un altro settore che balla. Non solo le mele. La vendemmia è in pieno svolgimento e da poco è iniziata anche la raccolta delle olive. Secondo un’analisi della Coldiretti sono circa 400mila i lavoratori impegnati nelle campagne: il 25% di questi, circa 100mila in tutto tra italiani e stranieri, non ha fatto il vaccino. Nel Veneto sono duemila, su un totale di circa ottomila lavoratori agricoli attivi, quelli che a un giorno dall’obbligo del green pass ne sono sprovvisti. Vale qui il discorso fatto per le mele in Val di Non: non è alta stagione, quella che impiega più di un milione di lavoratori, ma l’impatto dei no pass può essere imponente soprattutto in alcune Regioni. In Puglia ad esempio, dove la raccolta delle olive è un’attività di primissimo piano, ma anche in Toscana, in Veneto e in Lombardia dove si lavora molto nei vigneti. E anche il settore dell’agricoltura è caratterizzato da un alto tasso di lavoratori vaccinati all’estero, molti dei quali con Sputnik o con altri sieri incompatibili con il rilascio del pass in Italia. Chi controlla il certificato verde alle badanti? Il nodo dei collaboratori domestici stranieri vaccinati con Sputnik e Sinovac Lo stesso elemento riguarda i collaboratori domestici. A settembre, dopo l’approvazione del decreto che ha istituito l’obbligo del green pass per lavorare, Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, l’Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico, ha stimato in circa 1 milione (su un totale di 2 milioni) la quota dei domestici senza vaccino. Alcune Regioni, come il Lazio, hanno messo in piedi degli open day dedicati proprio a queste categorie, ma sono circa 50mila le domestiche che non hanno il green pass perché immunizzate con Sputnik o con il vaccino cinese Sinovac. Più in generale il 70% dei collaboratori domestici ha origine straniera e questo elemento si sviluppa in due criticità. La prima è che molti hanno difficoltà linguistiche e quindi non accedono facilmente alla campagna vaccinale, la seconda è un utilizzo importante dei social, dove si trovano moltissime informazioni no vax. Quella che potrebbe creare un grave disagio per questi lavoratori e per le persone che assistono è anche l’incertezza delle regole. Il Dpcm firmato martedì da Draghi e le Faq pubblicate da palazzo Chigi lasciano margini aperti sui controlli. La stragrande maggioranza dei collaboratori domestici lavora in sostituzione a un familiare, dalla baby sitter alla badante. Molto spesso gli assistiti sono persone non autosufficienti. Chi controlla il green pass? E poi c’è il lavoro in nero che riguarda il 60% dei collaboratori domestici. Chi dà lavoro a queste persone non lo dichiara allo Stato e quello che si potrebbe prefigurare è un atteggiamento simile in termini di non richiesta del green pass. Lo scudo della Lombardia e il nervo scoperto del Veneto artigiano Vaccini e green pass corrono in Lombardia: i primi hanno toccato quota 15,2 milioni, i secondi sono arrivati a lambire quota 17 milioni. Lo scudo può contare anche sulla composizione del tessuto produttivo che è più resistente ai no pass perché costituito da settori dove la percentuale dei non vaccinati è estremamente contenuta. La stima di Confindustria nel bresciano, uno dei territori più ricco di imprese, parla di una quota pari al 5-10 per cento. Ma il blocco del Nord produttivo presenta dinamiche non uniformi al suo interno. Nel Veneto che è arrivato a quasi 9 milioni di green pass, il peso dei circa 300mila lavoratori no pass preoccupa, e tanto, gli imprenditori. E preoccupa perché molti di questi lavoratori sono dipendenti delle 128mila imprese artigiane che costituiscono l’ossatura della piccola e media impresa, il fulcro dell’economia dell’intera Regione. Sono molte le imprese con meno di 15 dipendenti, quelle dove è prevista la possibilità di sostituire un lavoratore che non presenta il green pass per cinque giorni. Ma la sospensione del lavoratore inadempiente può durare al massimo dieci giorni, rinnovabili una volta sola. Trovare un sostituito, anche alla luce della carenza di manodopera specializzata, sarà molto complicato. Il rischio di un danno trasversale nelle Marche, dai mobili agli elettrodomestici Sono giorni che Claudio Schiavoni, presidente di Confindustria Marche, è in contatto con le imprese del suo circuito per capire quanto grande può essere il danno che i no pass potrebbero provocare alla produzione. “Al momento - spiega - supponiamo che non sia vaccinato un 10-15% della popolazione lavorativa considerando che la platea dei lavoratori che fanno capo a Confindustria sono 70-80mila dislocati in circa 1.600 realtà”. C’è fiducia sul fatto che le procedure di controllo del green pass possano ingranare dopo qualche complicazione inziale, ma si mette già in conto che “ci saranno danni se saremo costretti a mandare a casa i lavoratori senza pass”. Il problema anche qui è quello dell’intercambiabilità dei lavoratori nelle piccole aziende. La strategia è invece quella di tentare di limitare il danno. “Molti imprenditori - dice ancora il presidente di Confindustria Marche - confidano nel buon senso dei lavoratori, come è avvenuto dopo il lockdown, qualcuno ha deciso di pagare i tamponi per loro, altri di stipulare delle convenzioni per un prezzo più calmierato, qualcun altro ancora è più rigidi, ma tutti vogliono evitare che l’introduzione del green pass si trasformi in un blocco o in una limitazione delle attività”. Quello che gli imprenditori temono nelle Marche è la trasversalità dei no pass nei settori dell’economia locale. Più dei numeri è la possibilità di inceppare la produzione delle cucine e dei mobili che ha sede nel pesarese, ma anche quella metalmeccanica ad Ancona, anche le calzature nel maceratese, l’agroalimentare ad Ascoli, l’elettrodomestico a Fabriano. Ci sono 200mila lavoratori senza pass in Sicilia, la sofferenza dei servizi (turismo in testa) In Sicilia c’è circa un 20% di lavoratori, tra dipendenti privati e statali, non vaccinati. Sono 200mila, la metà dei 400mila che non si sono sottoposti all’immunizzazione. “Dopo il decreto che ha previsto l’obbligo del green pass per lavorare - dice Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Sicilia - c’è stata un’impennata dei vaccini, poi il trend ha registrato un calo”. La linea in vista del 15 ottobre è quella della fermezza: “Non tutti hanno preso sul serio l’obbligo, ma forse non hanno capito che i portoni delle fabbriche resteranno chiuse. Noi non faremo entrare nessuno senza green pass”. La conta dei danni guarda ai servizi, in particolare al turismo. “Se chi fa le pulizie negli alberghi si presenta senza il green pass o addirittura resta a casa, allora le stanze non vengono pulite e non facile tra l’altro trovare un sostituto”, dice ancora Albanese. Ma si guarda anche alle macchine a controllo numerico che richiedono una formazione di 5-6 anni e che quindi non contemplano sostituzioni al volo. C’è chi va in controtendenza al Sud. Aldo Ferrara, presidente di Unindustria Calabria, non registra situazione di allarme da parte degli associati. “Probabilmente ci sarà qualche criticità il 15 ottobre, ma è vero anche che abbiamo dato alle imprese linee guida puntuali e invitato tutti a comportamenti ferrei”. Certo la Calabria non è la Lombardia, le associate al circuito confindustriale sono circa duemila, ma il dato inedito è che l’avvio dei due mesi e mezzo del lavoro con il green pass non genera preoccupazione.