Di Andrea Cangini

Come spesso accade nel nostro complicato Paese, il combinato disposto di piccoli calcoli politici e della grande emotività che da sempre caratterizza il dibattito pubblico italiano, stiamo perdendo di vista la realtà. La realtà è che non incombe sull’Italia alcun pericolo fascista, e il paragone col 1921 è semplicemente ridicolo, oltre che irrispettoso per la memoria di chi il fascismo vero lo ha veramente avversato. La realtà è che Forza Nuova, cioè un manipolo di ultras da stadio inclini al crimine e senza onore, alle ultime elezioni cui ha partecipato, le europee di due anni fa, ha preso lo 0,15% dei voti. Questo è il loro seguito reale. Lo 0,15%. La realtà è quella rappresentata dal capo dello Stato, quando ha detto che nessuna tolleranza può esservi rispetto ai responsabili di fatti violenti come l’assalto alla Cgil. “Fatti che turbano, ma che non preoccupano” ha scandito Sergio Mattarella. È giusto turbarsi, è doveroso punire, ma è assurdo preoccuparsi. Questo ha detto il presidente della Repubblica. E sarebbe opportuno che almeno i dirigenti del partito di cui il presidente della Repubblica è espressione facessero proprie le sue parole, invece di soffiare sul fuoco di flebili fiammelle sperando che un improvviso incendio gli restituisca l’identità perduta. Ma non è finita. Sarebbe opportuno anche evitare di gridare al complotto evocando nientemeno che la strategia della tensione. Con tutta evidenza, il giorno dell’assalto alla Cgil i responsabili dell’ordine pubblico hanno commesso delle clamorose sottovalutazioni e degli errori gravi. È giusto denunciarli. Ed è logico che la responsabilità “politica” di quelle sottovalutazioni e di quegli errori sia in capo al ministro dell’Interno. Ma chiunque abbia senso della realtà e soprattutto senso dello Stato dovrebbe astenersi dal sostenere che quelle violenze siano state istigate o comunque volutamente consentite dagli apparati di sicurezza o addirittura dal ministro in persona. Chiunque sia il ministro in carica, è un’accusa troppo grave per essere mossa senza prove. È un’accusa grave perché delegittima non solo la persona, ma anche la funzione che la persona ricopre. Un’accusa che delegittima in radice il più delicato tra i ministeri della Repubblica, il Ministero dell’Interno, generando di conseguenza un pericoloso sentimento di sfiducia e di sospetto nei confronti di tutte le Istituzioni. Un’accusa grave anche perché offende i 41 uomini delle forze dell’ordine che il 9 ottobre hanno fatto il proprio lavoro riportando ferite in alcuni casi serie. Non esageriamo, dunque, e non perdiamo di vista la realtà. Domandiamoci: perché gli antifascisti hanno orrore del fascismo? Perché lo identificano con la violenza politica, col rigetto del pluralismo e con la prevaricazione. Racconto tre episodi avvenuti a Bo logna, in quella che è stata definita “la città più progressista d’Italia. Parlo di Bologna perché di quei fatti sono stato indiretto testimone, ma potrei parlare di altri fatti che sono avvenuti e che avvengono costantemente in tante altre città italiane. Protagonista è il Collettivo universitario autonomo (Cua). Il primo. Una trentina di autonomi del Cua fa irruzione nei locali del rettorato, interrompe una riunione del Cda, urla slogan politici, appende un cartello denigratorio al collo del rettore Ivano Dionigi mentre il poveretto, atterrito, li supplica: «Le mani addosso no, per favore». Il secondo. Per contenere l’accesso di sbandati, spacciatori e militanti dei centri sociali, vengono installati dei tornelli all’ingresso della biblioteca di Lettere. Per oltrepassarli occorre essere iscritti all’università. La reazione è violenta. Al grido «riprendiamoci la nostra biblioteca», i militanti del Cua divelgono i tornelli e devastano i locali della biblioteca impedendone l’uso agli studenti. Il terzo fatto è analogo al primo. Una squadraccia del Cua fa irruzione nella facoltà di Scienze politiche, interrompe la lezione del professor Angelo Panebianco, insulta e minaccia l’autorevole politologo di cultura liberale. Un nemico del popolo. In quello come nei casi precedenti il giornale della città, il Resto del Carlino, sollecita diversi professori dell’Alma Mater a prendere posizione in difesa della legalità, del diritto allo studio, del pluralismo delle opinioni. Nessuno accetta di esporsi. Qualcuno perché d’accordo con i violenti, la maggior parte per paura. Nessuna eco mediatica, ovviamente, nessuna richiesta di scioglimento del Cua, nessuna manifestazione di solidarietà. Non va bene. Non è intellettualmente onesto. Esistono, infatti, i fascisti neri ed esistono, come li chiamava il comunista Giorgio Amendola, i fascisti rossi: entrambi vanno puniti quando violano la legge, nessuno dei due può essere considerato una minaccia per la democrazia. Perciò io credo che la prevaricazione e la violenza vadano sempre censurate. Credo che chi commette reati “politici” come irrompere e devastare la sede di un sindacato o la sede di una Università vada condannato con il massimo della pena e con tutte le aggravanti di legge. Ma credo anche che sciogliere per decreto un’organizzazione politica, in democrazia sia sempre una scelta delicata e credo che, a maggior ragione nell’era dei social, lo scioglimento non pregiudichi la capacità di mobilitazione del disciolto, ma anzi ne rafforzi la popolarità e il carisma. Oltre che renderlo meno controllabile dalle forze dell’ordine.