di Juan Raso

La notizia é di questa settimana, anche se i fatti sono accaduti ad agosto. La societá Xsolla, filiale russa di una compagnia di software con sede a Los Ángeles, ha provveduto ad una moderna ristrutturazione del suo organico con il licenziamento di 150 dei suoi 450 dipendenti degli uffici di Perm e Mosca. 

La novitá sta nel fatto che la scelta dei 150 lavoratori da buttar fuori é stata presa da un algoritmo, che misura la resa sul lavoro e che quindi ha posto fine ai contratti di quei dipendenti che considerava improduttivi e poco impegnati con gli obiettivi della compagnía.  

Confesso che mi hanno riempito di stupore le dichiarazioni del Direttore Generale e fondatore della azienda, Alexander Agapitov, che con evidente commozione, ha detto alla revista Forbes Rusia, che lui non era d’accordo con la decisione della macchina, ma che purtroppo doveva accettarla, perché cosí lo stabilivano i protocollo interni approvati dalla Giunta di azionisti. Sempre con tono triste, ha aggiunto che la maggior parte dei lavoratori licenziati sono “bravi professionisti”.

Che meraviglia! Quante cose da vedere e da commentare mi offre la assurda realtá del secolo XXI! I licenziamenti non sono responsabilitá di Agapitov; la sua coscienza é tranquilla e se vi é qualche perturbazione o ingiustizia, chiederne conto all’algoritmo. 

Per colpa della ipocrisia aziendale nel futuro si potranno licenziare quanti lavoratori se ne voglia, senza dover darne conto né alla propria coscienza, né a nessun altro, perché – dietro il messaggio del Direttore di Xsolla – appare un idea pericolosa: il licenziamento é stato deciso da una intelligenza artificiale, che ragiona in modo obiettivo, senza preferenze e senza discriminare tra gli uni e gli altri.

Ma il ragionamento non é tale, perché l’algoritmo non ragiona, ma esegue. Se la macchina ha deciso l’espulsione degli uni e non degli altri, é perché esseri umani hanno alimentato la decisione con dati e criteri di selettivitá, in questo caso la produttivitá sul lavoro. 

Il secondo motivo di turbamento che accompagna il mio commento di oggi é che gli algoritmi cominciano a licenziare in base a criteri vincolati alla resa dei lavoratori. Riferisco il commento della revista tecnologica The Verge, che informa dei licenziamenti avvenuti nei centri di lavoro di Amazon, basati in parametri di produttivitá eseguiti da algoritmi. “Il sistema di Amazon – dice The Verge – misura i livelli di produttivitá di ogni individuo e automaticamente emette prima un avvertimento e poi direttamente licencia, senza la partecipazione di alcún supervisore”. 

A sua volta, il sito di notizie Bloomberg aggiunge che per controllare la produttivitá in Amazon, l’algoritmo misura i “tempi morti nel lavoro” (time off task). Ció fa sí – conclude l’informazione – sia aumentato anche il tasso di lesioni in Amazon in rapporto al resto dell’industria della logistica. Alcuni impiegati hanno addirittura spiegato a Bloomberg che il rapido ritmo di lavoro é un fattore che contribuisce alla fatica e allo stress, ed hanno aggiunto che l’algorimo considera tempo morto sul lavoro il tempo in cui si va in bagno.

Ho la sensazione che assisteremo nel futuro prossimo ad una dura lotta per la sopravvivenza nel mondo del lavoro, con obiettivi produttivi sempre piú alti e difficili da raggiungere, in una competizione di stile darwiniano, in cui solo i piú forti sopravviveranno.

Si produce cosí una mistura tossica tra produttivitá, algoritmi e licenziamenti, che contaggerá inevitabilmente le aziende, a loro volta impegnate in gare concorrenziali a livello globale. l’organizzazione algoritmica del lavoro finirá per premere in modo “disumano” – perché “la macchina sempre macchina é” – sui lavoratori ai fini dell’aumento della produttivitá. E non sará un caposquadra o un supervisore a controllare il volume e la rapiditá del lavoro, ma un sistema tecnologico che non ha momenti di distrazione o pausa. Naturalmente un sistema di tale natura produrrá situazioni di stress e danni alla salute, di cui dovremo anche preoccuparci.

Sono fatti nuovi, che presto atterranno anche nella nostra quotidiana realtá. E forse neanche ce ne accorgeremo.