di Fulvio Abbate

 

Periodicamente, il semiologo improvvisato che vive in tutti noi, è costretto a interrogarsi sul valore d’uso politico e soprattutto semantico della bandiera italiana, al di là, appunto, dell’uso che ne possano fare i fascisti di Forza Nuova o un tempo l’immenso attore Paolo Poli con le sue parodie gozzaniane. A chi insomma appartiene il “sacro” tricolore, nato a Reggio Emilia nel 1797, lo stesso elemento segnaletico che in queste recenti settimane abbiamo visto sovente innalzare dai contestatori del green-pass alle manifestazioni contro la (da altri) risaputa “dittatura sanitaria globale”? La bandiera nostra nazionale, inutile evadere l’interrogativo capitale non è mai stato un simbolo condiviso. Infatti, vederla sventolare, con provetta gestualità da sbandieratori calcistici, dai no-vax, i medesimi che imputano al green pass lo stesso marchio d’infamia della stella gialla imposta dai nazisti agli ebrei dei ghetti, non può che costringerci a riflettere sul caso.

 

Semplificando, ma forse non allontanandosi dal dato reale, qualcuno ha affermato che il tricolore serve a connotare in termini classicamente segnaletici soprattutto le manifestazioni della destra diffusa, così fin dagli anni del Movimento sociale italiano. Ricordiamo, con questi nostri occhi, gli attivisti missini e del Fronte della gioventù comporre un cerchio circolare davanti al palco di un Almirante per poi sollevare quel vessillo in modo coreograficamente notevole, quasi militare, in tempi in cui non era ancora stata mutuata dalle curve degli stadi quell’altra maniera.

 

Se è concessa una citazione storica e pittorica “alta”, sarà bene ricordare un quadro del 1915 di Giacomo Balla, “Dimostrazione interventista – Bandiere all’Altare della Patria”, dove il tricolore assume futuristicamente la forma di una cuspide, quasi un ghiacciaio bellico incombente, espedienti propri del futurismo, appunto. Tuttavia la domanda circa la sua rivelazione odierna in piazza rimane lì, intatta, inevasa: perché molti di noi, quando vediamo comparire il tricolore alle manifestazioni pensiamo si tratti di un elemento connotativo “di destra” o comunque qualunquistico o addirittura casuale, o comunque non impegnativo rispetto alle ragioni democratiche? Va detto che i comunisti italiani, nonostante vantassero l’internazionalismo proletario, addirittura piazzarono proprio il tricolore nel loro simbolo, sia pure in parte travisato dalla bandiera rossa con falce martello e stella: si trattava forse di un suggerimento di Togliatti dopo Yalta per marcare il dato della sua politica, le cosiddette vie nazionali al socialismo? Ricordiamo altrettanto che alle manifestazioni del Pci, colui cui spettava portare il tricolore, rispondeva malvolentieri, quasi con imbarazzo, al compito, ritenendo forse quel simbolo in qualche misura sminuente rispetto al drappo vermiglio della rivoluzione.

 

S’intende, che questa riflessione esclude l’ambito calcistico o delle competizioni olimpiche, dove il tricolore trascende invece l’idea stessa risorgimentale per affermarsi come puro brand visivo, sciarpa temporanea, incarnandosi nella pura ludica soddisfazione d’avercela fatta: post-nazionalismo da spogliatoio e palestra dove si è allenati o bordo piscina, da medaglia o coppa conquistate. Se è concessa un’altra memoria personale: la notte dell’82, dopo la vittoria degli Azzurri ai Mondiali di calcio, sempre ai nostri occhi accadde di scorgere avanzare su una jeep una famiglia di ex maoisti, i Franzella, lì a sventolare il tricolore con furibonda gioia, e non riuscivamo a credere al miraggio, dato che fino a anni prima costoro avevano caro, in pugno, unicamente il libretto rosso del Grande Ti

 

Sarà forse vero che il tricolore non è un valore condiviso? Sarà forse altrettanto certo che taluni nostri dirimpettai ne incollano l’adesivo sul muso posteriore delle auto invertendo l’ordine dei colori: non verde bianco e rosso, semmai l’esatto opposto? Va da a sé ancora che la nostra riflessione si porta dietro un discorso sull’empatia che le bandiere nazionali suscitano fino a trascendere il dato localistico, assodato che l’Italia non ha il privilegio né degli Stati Uniti, dove la bandiera cucita per la prima volta da Betsy Ross, sarta, vessillografa e patriota statunitense, nel 1777, ha un plusvalore iconico al punto finire sui quadri di Jasper Johns, maestro apripista della Pop Art. Ricordiamo, sempre a questo proposito, Patti Smith nel suo primo concerto italiano: quando la sollevò al termine di “Because the night” non immaginava che presso il pubblico italiano la “stelle e strisce” richiamava subito lo slogan “Yankee Go Home”, e dunque Patti si ritrovò sotto un lancio di lattine di birra. E neppure il valore che assume la bandiera brasiliana come simbolo di un’estate perenne sullo sfondo del sambodromo di Rio. O la stessa bandiera portoghese, nonostante i trascorsi colonialisti di quel paese.

 

Magari nella nostra riflessione va ricordato che l’Italia non è mai pervenuta alla condizione piena di nazione, dunque a dispetto di tutto, perfino degli apprezzabili tentativi del volenteroso Lapo Elkann, che l’ha imposta sulle Fiat 500, sulle montature degli occhiali, dandole perfino vestibilità post-dannunziana su giacche e infine sulle stesse felpe ancora Fiat, così come i britannici avevano fatto con l’Union Jack sui tettucci delle Mini Cooper. Insomma, a dispetto di tutto, la bandiera italiana continua ad essere reputata un simbolo “rionale”. Ancora Lapo, con il progetto Never Give Up (Non mollare mai), concepito dall’agenzia creativa Independent Ideas e dalla LAPS Foundation, la sua, si è posto l’obiettivo di supportare la Croce Rossa Italiana, impegnata nella difficile emergenza sanitaria Covid-19, con le mascherine altrettanto tricolori.

 

Là dove per rionale sembra di risentire l’antico sentore di fascismo. Strano a dirsi, così però sembra ancora adesso, vedendola apparire ai raduni di chi affermi un’ipotetica dittatura sanitaria. Insomma, non sembri un paradosso, tuttavia raggiungerà mai il tricolore la stessa esemplare attenzione devozionale che viene riservata, metti, dai Sardi alla bandiera con i quattro mori che sempre ai concerti, perfino di Vasco Rossi o del Primo maggio a San Giovanni, sventola accanto al bananone gonfiabile giallo Chiquita?

 

Lo scrittore italo-francese François Cavanna, certificato “ritals”, contrazione di italiano nell’argot dell’Esagono, riteneva che il nostro tricolore, con quel suo verde al posto dell’epico blu, fosse una parodia risibile della bandiera francese che Delacroix mette nel pugno della Libertà che guida il popolo. Appunti per una discussione sul tema.

 

P.S. Solo un caso se chi applaude insieme a leghisti e Fratelli d’Italia la sconfitta del DDL Zan mostra l’icona della bandiera tricolore accanto al nome nel profilo? E se fosse la firma social certificata del clericofascista?