di Giulia Belardelli

Concludere il G20 di Roma senza alcuna intesa su come arginare la crisi climatica sarebbe stato un fallimento storico. Così i grandi del mondo si sono messi d’accordo per trovare un compromesso che lascia aperti alcuni interrogativi, a cominciare dalla vaghezza sull’orizzonte temporale entro cui raggiungere la neutralità carbonica. La dicitura “entro o intorno a metà secolo”, infatti, è considerata da più parti un cedimento rispetto alla linea originale dell’asse transatlantico, che puntava a estendere a tutti la scadenza del 2050.

Se il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres lascia Roma “insoddisfatto” ma con “speranze non sepolte”, il giudizio degli ambientalisti è più severo. “Se il G20 è stato una prova generale per la Cop26, i leader mondiali non si sono dimostrati all’altezza. Nel loro comunicato hanno usato parole deboli, prive sia di ambizione che di visione, e non sono riusciti a cogliere l’importanza di questo momento storico”, afferma Greenpeace. “Il G20 sul clima ha scoperto l’acqua calda”, scrive su HuffPost il presidente di Legambiente Stefano Ciafani. Amnesty e Oxfam si dicono preoccupate e deluse per la mancanza di orizzonti temporali, mentre la ong Global Citizen boccia il comunicato finale come “non all’altezza”.

Fare di meglio, tuttavia, era difficile se non impossibile, data la rigidità di alcuni attori di primo piano del G20. Paesi come Cina, Russia e Arabia Saudita avevano già indicato il 2060 come orizzonte entro cui raggiungere l’equilibrio tra emissioni e assorbimento di anidride carbonica. Il premier indiano Modi è arrivato al vertice senza promesse, e né il corteggiamento di Biden né le attenzioni di Draghi sono bastate a strappargli un impegno per il 2050. Senza questi pesi massimi, la vaghezza della formula “entro o intorno a metà secolo” è stata l’unica via per uscire dall’impasse e poter dire al mondo di aver trovato un accordo.

Già così non è stato facile, come ha ammesso il presidente del Consiglio Mario Draghi nella conferenza stampa conclusiva. “Non è stato facile raggiungere questo accordo, ma è stato un successo. Di questo dobbiamo essere grati soprattutto agli sherpa, che hanno lavorato ai testi che poi sono stati approvati”. Alla vigilia, infatti, si temeva di peggio, ovvero un annacquamento dell’obiettivo – stabilito dagli Accordi di Parigi - di limitare il riscaldamento globale a 1,5°. Quell’obiettivo non solo è rimasto, ma per la prima volta è accompagnato da una deadline, cosa che a Parigi non c’era.

Altra nota positiva è l’impegno, sottoscritto da tutti i leader, a fermare il finanziamento di centrali a carbone entro la fine dell’anno. “Ci impegniamo a mobilitare finanziamenti internazionali pubblici e privati per sostenere lo sviluppo di un’energia verde, inclusiva e sostenibile e porremo fine alla fornitura di finanziamenti pubblici internazionali per la nuova e ininterrotta produzione di energia dal carbone all’estero entro la fine del 2021”, si legge nella dichiarazione finale del summit G20.

È ancora il premier Draghi a invitare a guardare il bicchiere mezzo pieno. Sul clima “il senso di urgenza c’è ed è stato condiviso da tutti e si vede nel fatto che l’obiettivo dell′1,5° è stato riconosciuto come scientificamente valido. C’è stato anche un impegno a non intraprendere politiche di emissioni che vadano contro il trend che tutti si sono impegnati a osservare fino al 2030. Si può pensare che questo impegno venga mantenuto. Dopo Parigi le emissioni sono aumentate, soprattutto dopo il Covid. C’è una certa preoccupazione e occorre ora dimostrare credibilità attuando le promesse fatte”.

E poi ci sono gli alberi: il G20 si impegna a piantarne 1.000 miliardi entro i prossimi nove anni. “Riconoscendo l’urgenza di combattere il degrado del suolo e creare nuovi vasche di assorbimento del carbonio, condividiamo l’obiettivo ambizioso di piantare collettivamente 1.000 miliardi di alberi, concentrandoci sugli ecosistemi più degradati del pianeta”. E ancora: “Sollecitiamo gli altri Paesi a unire le forze con il G20 per raggiungere questo obiettivo globale entro il 2030, anche attraverso progetti per il clima, con il coinvolgimento del settore privato e della società civile”.

Quanto alla finanza climatica, il G20 di Roma riafferma un impegno che però finora è stato disatteso dai Paesi più ricchi del mondo, che 12 anni fa – durante un vertice Onu a Copenaghen – promettevano di incanalare 100 miliardi di dollari all’anno alle nazioni meno ricche entro il 2020, per aiutarle ad adattarsi ai cambiamenti climatici e mitigare ulteriori aumenti della temperatura. Quella promessa è stata infranta, e questo ha sicuramente penalizzato le chance di ottenere un accordo più ambizioso. Il comunicato finale riafferma la promessa, nella parte in cui recita che “gli impatti del cambiamento climatico vengono sperimentati in tutto il mondo, in particolare dai più poveri e più vulnerabili […]; ricordiamo e riaffermiamo l’impegno assunto dai Paesi sviluppati per l’obiettivo di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 e annualmente fino al 2025 per rispondere alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo”.

La palla ora passa a Cop26, la Conferenza Onu sul clima che dal 1° al 12 novembre terrà i riflettori puntati su Glasgow. Il premier britannico Boris Johnson ha elogiato Mario Draghi per “il lavoro superbo” fatto al G20 di Roma nel “mantenere il focus” sul clima. Nel negoziato sulla lotta al riscaldamento globale “sono stati fatti ragionevoli progressi” al G20 ma “resta ancora molto da fare”, ha dichiarato in conferenza stampa. È suo ora il compito di alzare l’asticella dei negoziati di Glasgow, che si aprono con toni molto duri verso chi – da Pechino a Mosca, passando per Nuova Delhi – vuole spostare più verso il 2060 il range di quel “entro o intorno a metà secolo”. Non ci può essere alcuna “scusa per andare” oltre il 2050 sul contenimento dei cambiamenti climatici non oltre 1,5° in più, ha detto appena finito il G20. “Se la Cop26 di Glasgow fallisce, sarà un fallimento per tutto il mondo”, ha avvertito, imputando ad alcuni Paesi chiave di aver garantito impegni non “all’altezza”. “Se non agiamo ora, l’accordo di Parigi sarà visto in futuro non come il momento in cui l’umanità ha aperto gli occhi sul problema, ma come il momento in cui abbiamo sussultato e voltato le spalle”, ha detto il leader britannico.

Se il G20 non ha fornito a Cop 26 il “rimbalzo” in cui sperava Johnson, le cose potevano andare peggio. In caso di mancato accordo, il vertice di Glasgow sarebbe partito ancora più in salita. “Io penso che le chance di successo siano di 6 contro 10” ma sarà “molto difficile”, ha ammesso Johnson. Ora bisognerà vedere quali impegni – e quanto concreti – i leader partoriranno in Scozia sulla questione più delicata di tutte: come massimizzare la riduzione delle emissioni nei prossimi dieci anni, i più decisivi per contraddire le accuse di Greta sul “bla bla bla”.