di UGO MAGRI

L'ultima cinica invenzione della politica è il Presidente che dura poco. Così avanti con l’età, e talmente pieno di acciacchi, da poter resistere sul Colle due o tre anni al massimo invece dei canonici sette. Un vecchione col timer incorporato: ecco l’identikit che circola nei piani alti del Palazzo da quando s’è capito come nessuno dei cosiddetti giovani abbia la strada spianata verso il Quirinale, a cominciare dallo stesso Draghi. Super Mario ha un handicap: personalità della sua statura andrebbero elette al primo scrutinio, praticamente acclamate, perché altrimenti tra deputati e senatori si insinuerebbero dubbi meschini, tipo “non è che se il premier diventa presidente rischiamo di precipitare alle urne, cosicché non verrei rieletto e perderei 12mila euro mensili di stipendio parlamentare?”.

Ma un plebiscito sul nome di Draghi è diventato improbabile da quando Berlusconi ha deciso di candidarsi. E non solo il Cav rappresenta oggettivamente un ostacolo, ma da quanto si racconta dei vari incontri con Salvini e Meloni è proprio lui a mostrarsi vecchio e malandato, sempre lui a sbandierare le 85 primavere sulle spalle come prova di una fragilità capace di farlo preferire a chi gode invece di ottima salute. Astutamente Silvio ha capito che - in caso di stallo, con i “franchi tiratori” scatenati a scrutinio segreto, con i partiti incapaci di venirne fuori e con il sistema istituzionale sull’orlo del collasso - potrebbe far comodo accontentarsi di un presidente provvisorio, passeggero, di transizione perché decrepito, quasi geriatrico, messo a tenere calda la poltrona nell’attesa di giorni migliori, con il contratto a termine per raggiunti limiti di età e dunque più precario di un CoCoCo.

Berlusconi è stato lesto a farsi avanti, ma a quanto pare non è il solo. Se fossero vere le indiscrezioni, un “dottor sottile” come Giuliano Amato (ottantatreenne ex premier, attuale vice-presidente della Consulta) si sarebbe reso anche lui disponibile. E nessuno si stupirebbe se scampoli di esperienza venissero richiesti al professor Sabino Cassese, 86 anni ma lucido come pochi. Qualcuno ha perfino gettato nel tritacarne una persona che merita ammirazione come Liliana Segre, classe 1930, sopravvissuta ad Auschwitz, candidata a sua insaputa ma decisa a non farsi usare come tappabuchi da chi finge di volerle bene. Idem Sergio Mattarella, per il quale sarebbe pronto un secondo mandato presidenziale a patto che lui lo accettasse breve, di transizione. Mattarella, al pari di Segre, non vuole nemmeno sentirne parlare. Rischierebbe la fine di Giorgio Napolitano il quale, anziché incassare la gratitudine dei partiti che a 89 anni suonati l’avevano supplicato di trattenersi, si sentì sopportato, capì subito di aver fatto un errore.

Ma di ottuagenari disponibili per una soluzione-ponte, con un ricco curriculum politico e magari molte patologie, se ne trovano finché si vuole nella logica del “finché le forze mi reggono”: concetto indefinibile, vago, che allude a un potenziale business, evoca un affare, una convenienza come in quegli annunci “Vendesi” dove il nonnetto mette all’asta la nuda proprietà fingendosi con un piede già nella fossa per attirare acquirenti. La finzione di un presidente con la valigia in mano consentirebbe ai leader di rinviare le scelte, a Enrico Letta per esempio di evitare una cernita tra gli aspiranti candidati che nel Pd superano la decina, tutti molto vendicativi e in cagnesco tra loro, tenendo accese le rispettive ambizioni senza deluderne alcuna. Tra i papabili nessuno verrebbe eletto, però tutti potrebbero riprovarci la prossima volta. Non solo. Puntare su un “grande vecchio” dalla salute malferma consentirebbe di eleggerne uno nuovo dopo le prossime elezioni politiche, quando questo Parlamento sarà già nel dimenticatoio e ce ne sarà un altro più conforme alla volontà popolare.

Chi vincerà nelle urne conquisterà il Quirinale. Poi c’è sempre il rischio che la Storia prenda pieghe diverse, imperscrutabili. Come annotava Prezzolini, in Italia “niente è più definitivo del provvisorio”, le transizioni diventano eterne, inamovibili i traghettatori. Non può esistere un presidente con la data di scadenza sull’etichetta, come gli yogurt. Se la durata è funzione della salute, del “finché me la sento”, l’ultima parola spetta a Madre Natura o alla Divina Provvidenza che spesso si dimostra capricciosa. La storia dei Conclave dovrebbe insegnare qualcosa. Nel 1958 i cardinali elessero Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, nella previsione che sarebbe campato poco. Speravano di toglierselo rapidamente di torno. Invece il Papa Buono visse altri cinque anni, abbastanza per convocare il Concilio Vaticano II e fare una rivoluzione che nessuno si sarebbe aspettato.