di Vincenzo Nardiello

Tutti a cadere dalle nuvole. Tutti a chiedersi come sia possibile, da dove nasca questa deriva antiscientifica così forte che trova nell'opposizione ai vaccini anti-Covid il suo catalizzatore più potente. Semplice: arriva dalla nostra storia. E non riguarda solo le minoranze no vax e no Green pass, ma è il riflesso di un fenomeno molto più profondo.

La destra - questa destra - sembra aver già dimenticato che fu proprio negli anni del neoidealismo imperante di Giovanni Gentile, nella prima parte del '900, che in Italia avvenne un formidabile sviluppo delle discipline scientifiche e una proliferazione di scienziati che il mondo ci invidiò. Guglielmo Marconi è solo il nome più noto, ma in quegli anni nacquero l'Istituto dell'Enciclopedia italiana, l'Istituto di Storia delle scienze, quello di Sanità pubblica, l'Accademia d'Italia, il Consiglio nazionale delle Ricerche e di certo dimentichiamo qualcosa, a iniziare da Enrico Fermi e il gruppo di via Panisperna.

Le tendenze antiscientifiche nel mondo intellettuale italiano arrivarono dopo, inoculate come un virus nei decenni del marxismo culturale dominante. Furono i compagni che, in nome del sol dell'avvenire annunciato con messianica certezza, iniettarono nei ceti intellettuali il disprezzo per la «scienza borghese». Un movimento che ebbe il suo punto di svolta nel 1968, quando nelle università, oltre al libretto rosso di Mao, si agitarono i testi dei filosofi della Scuola di Francoforte. Erano i tempi del disprezzo per la scienza ridotta a «ragione calcolante», come la definirono Max Horkheimer e Theodor Adorno.

Un modo elegante per dire che lo sviluppo scientifico - pure quello - era al servizio del sistema dello sfruttamento capitalistico, perché complice di quell'«alienazione» dell'uomo operata dalla società industriale che già Marx aveva denunciato e condannato. Ragioni e concetti che poco più tardi avrebbe esplicitato ancora più duramente Herbert Marcuse, idolo dei contestatori sessantottini e degli orfani della rivoluzione mancata: non solo definì la scienza «oppio del popolo», ma si propose come ideologo di coloro che intendevano sostituire il pensiero scientifico col socialismo scientifico. Per costoro la scienza era nient'altro che «uno strumento di dominio» nell'ambito della più generale lotta di classe che si combatteva.

Crollato il Muro e implosa l'Urss, la supremazia culturale della sinistra marxista è però rimasta intatta. Anzi, paradossalmente si è rafforzata per l'incapacità della destra di organizzare una risposta all'altezza della sfida che si apriva. Se l'Italia è oggi agli ultimi posti per ricerca e brevetti - il Nobel Giorgio Parisi è stato il primo italiano premiato per ricerche scientifiche condotte in Italia dopo quasi mezzo secolo - lo dobbiamo anche a questa cultura che si è depositata, più o meno inconsciamente, in tutti i settori della società. Quando sulla scena sono comparsi i demagoghi a 5 Stelle, esponendo i capisaldi della loro "scienza democratica" hanno trovato un terreno già arato e pronto ad accogliere le peggiori fesserie: «uno vale uno», «la terra è piatta», «i vaccini sono solo un affare per le Big Pharma», «maschio e femmina sono costruzioni artefatte, indipendenti dal sesso biologico», fino ai complottismi più assurdi. Oggi hanno cambiato idea per amor di poltrona e non a caso i no vax li considerano dei "traditori".

Che cosa c'entra la destra con questa deriva? Perché ha scelto di strizzare l'occhio a no vax e no Green pass, deragliando dai binari della sua storia in questo modo? Proprio la pandemia avrebbe dovuto invece spingerla a recuperare l'antica battaglia per la scienza (ma contro lo scientismo neoilluminista), contrastando le idiozie diffuse da una parte dei "nuovi sinistri". Il risultato è un quadro desolante per la facilità con cui strampalate teorie, prive di qualsivoglia riscontro sperimentale, continuino a circolare nel dibattito pubblico. In tempi normali potrebbe anche essere tollerabile. In tempi come questi provocano danni incalcolabili.