di Daniele Oroni

Le più evidenti degenerazioni nella pratica sportiva sono quelle del mondo del calcio, dove gli intrecci fra riciclaggio, corruzione e mafie sono stati oggetto di indagini giudiziarie in tutta Italia, con partite truccate, gestione illecita delle scommesse, controllo delle scuole calcio e dei vivai delle squadre, estorsioni mascherate da sponsorizzazioni e minacce a giocatori, allenatori e dirigenti, utilizzo delle tifoserie per il controllo dei servizi e delle attività interne ed esterne agli stadi. Non mancano azioni in positivo per prevenire e contrastare il fenomeno.

Da quando la pandemia ha iniziato ad avere ripercussione anche sullo sport, "molti hanno provato a comprare piccole società di calcio che distrutte dai debiti, dalla mancanza di liquidità, erano obbligate a chiudere, cadendo nella trappola della mafia, nelle mani del crimine organizzato": è l'allarme lanciato da Franco Frattini, presidente vicario del Consiglio di Stato e da poche settimane rieletto alla guida della Sport Integrity Global Alliance (Siga). "Durante la pandemia, i criminali non si fermano – ha osservato l'ex ministro – Nella mia attività giudiziaria ho avuto l'esperienza di fronteggiare molti casi di mafia. In soli dodici mesi ho notato un aumento del 20 per cento dei casi di mafia sotto la mia giurisdizione. Questo conferma che Siga è stato in grado di tenere all'erta il resto del mondo".

Frattini ha spiegato che Siga sta "dimostrando che è possibile vincere la lotta contro la corruzione, nonostante una pandemia globale", anche grazie al progetto denominato Independent Rating and Verification System, con cui "molte importanti istituzioni sportive già hanno deciso di farsi esaminare". Già prima della diffusione del Covid la Commissione parlamentare antimafia, nella precedente legislatura, aveva approvato il 14 dicembre 2017 la relazione finale su mafia e calcio (Documento XXIII, numero 31). Il primo ambito che era stato individuato dalla Commissione è riconducibile al tema dell'ordine pubblico e della sicurezza negli stadi e ha avuto ad oggetto l'infiltrazione, o per meglio dire la contaminazione, da parte delle organizzazioni criminali di tipo mafioso delle tifoserie organizzate e, per il tramite di queste, le forme di condizionamento dell'attività delle società sportive professionistiche.

Le risultanze dell'inchiesta parlamentare hanno consentito di rilevare varie forme, sempre più profonde, di osmosi tra la criminalità organizzata, la criminalità comune e le frange violente del tifo organizzato, senza escludere l'estremismo politico. Il fenomeno della politicizzazione del tifo organizzato è un fenomeno antico ed è un dato di comune conoscenza la distinzione delle tifoserie sulla base dell'orientamento ideologico di estrema destra o di estrema sinistra. Crea inquietudine la presenza di tifosi ultras in tutti i recentissimi casi di manifestazioni politiche qualificate di estrema destra, a dimostrazione che le curve possono essere palestre di delinquenza comune, politica o mafiosa e luoghi di incontro e di scambio criminale.

Il secondo filone d'inchiesta ha riguardato il tema della proprietà delle società di calcio, del riciclaggio attraverso i club e delle altre forme di illeciti economico-finanziari perpetrati dalle organizzazioni criminali nel mondo del calcio. Le numerose vicende richiamate nella relazione e i procedimenti penali a esse connesse indicano come il crimine organizzato sia in grado di cogliere nel calcio e nelle attività collegate importanti opportunità, al fine di ampliare il panorama già vasto dei traffici illeciti, aprire nuovi canali per il riciclaggio e, non ultimo, perseguire strategie di acquisizione o consolidamento del consenso sociale in più o meno ampi segmenti della popolazione rappresentati dalla tifoseria della squadra oggetto di attenzione da parte di una determinata consorteria criminale.

A partire dagli anni Novanta, sotto la prepotente spinta di interessi economici legati ai diritti televisivi e alle sponsorizzazioni, il calcio professionistico ha scoperto un'improvvisa fonte di ricavo che ha condotto le squadre a mutare le logiche sulle quali impostare la propria attività agonistica. La possibilità di contare su un apporto finanziario notevole ha fornito i mezzi per intraprendere iniziative e compiere investimenti prima inimmaginabili. Parallelamente, la gestione del settore si è fatta più complessa. Divenute vere e proprie società commerciali, spesso quotate in borsa, le squadre di calcio devono ora fare i conti con i propri bilanci per sostenere una macchina organizzativa costosa ed esigente in fatto di risultati. In questo contesto, similmente a quanto avvenuto anche in altri ambiti dell'attività sportiva, assume rilievo l'ipotesi che la criminalità infiltri il tessuto di questo sport per investire e riciclare proventi di origine illecita.

Il terzo ambito di analisi individuato dalla Commissione antimafia è quello che riguarda il rapporto tra le organizzazioni criminali mafiose e i singoli calciatori. Sono almeno due gli aspetti che assume questo fenomeno: da lato, il calcio è veicolo di consenso sociale e, dall'altro, i rapporti con i giocatori possono essere sfruttati a fini illeciti, attraverso il cosiddetto match fixing, cioè l'alterazione del risultato sportivo al fine di conseguire illeciti guadagni attraverso il sistema delle scommesse. Dal primo punto di vista, la possibilità di avere libero accesso agli ambienti societari e, ancor di più, la frequentazione di un calciatore importante della squadra locale per un soggetto mafioso ha una duplice valenza. Innanzitutto, essa è certamente motivo di rafforzamento della propria immagine e del proprio prestigio personale all'interno del sodalizio mafioso e diventa, dunque, seppure in molti casi in maniera anche ingenua o inconsapevole da parte del calciatore, un veicolo di affermazione nel mondo della stessa malavita organizzata. La Commissione nel capitolo conclusivo offre una serie dettagliata di proposte che possono essere così sinteticamente riassunte:

- adeguamento degli impianti sportivi per garantire, tramite tecnologie avanzate, la formazione degli steward e il fermo temporaneo dei tifosi, il pieno controllo all'interno degli stadi e l'identificazione degli spettatori, introducendo anche il reato di bagarinaggio;

- rafforzamento del Daspo;

- revisione della disciplina sulla responsabilità oggettiva delle società di calcio per fatti attribuibili alle proprie tifoserie in relazione al contributo delle società stesse nella prevenzione e identificazione dei soggetti responsabili di illeciti;

- rafforzamento dei controlli – sia a livello internazionale sia da parte del Coni e delle federazioni – sulle transazioni finanziarie per assicurare il rispetto della normativa antiriciclaggio e la trasparenza delle operazioni finanziarie legate all'acquisizione del controllo delle società sportive;

- inasprimento delle sanzioni della giustizia sportiva con riguardo al match fixing e alle collusioni con la criminalità organizzata di tipo mafioso; rafforzamento del monitoraggio sulle scommesse illegali su siti non autorizzati o su siti stranieri; limitazione dei fatti sportivi su cui scommettere, vietando ogni forma di scommessa sul calcio dilettantistico.

Le radici dell'interesse mafioso nel calcio vanno però cercate più lontano: dagli anni 1980 infatti si registra una sempre maggiora presenza delle organizzazioni criminali nel mondo del pallone. Si ricorderà Diego Armando Maradona accanto ai boss di Forcella, Carmine e Raffaele Giuliano: non una semplice istantanea ma un sintomo della commistione tra i due mondi.

Guadagni insperati e posti di lavoro: per le mafie il calcio è un business in cui inserirsi. Difficoltà nei pagamenti, investimenti scarsi e sponsorizzazioni che tardano ad arrivare. Nelle serie minori il calcio non è un mondo roseo, i presidenti faticano a trovare i soldi necessari a mantenere in vita la squadra, e sono sempre di più le squadre costrette a sparire dal panorama calcistico per i problemi economici. A portare nuovi fondi nelle casse delle società ci pensano talora personaggi poco raccomandabili, prestanome di clan o addirittura soggetti appartenenti a essi. Una volta acquistata, direttamente o indirettamente, la proprietà di una società calcistica, essa diventa uno strumento nelle mani della criminalità organizzata per sfruttare l'enorme quantità di denaro che gira intorno ad essa: sponsorizzazioni, merchandising, biglietti e trasferimenti, un'economia importante ma poco trasparente.

Accanto alle varie forme di corruzione e illegalità economica e finanziaria che hanno coinvolto dirigenti e calciatori di squadre di alto livello, ci sono i numerosi casi di presenza delle organizzazioni mafiose nella gestione delle squadre di calcio appartenenti alle categorie inferiori. Attraverso il loro controllo diretto e indiretto, i boss di mafia, camorra, sacra corona unita e 'ndrangheta mantengono il controllo sociale del territorio.

Sono individuabili tre livelli problematici: l'infiltrazione mafiosa nelle società sportive di calcio dilettantistico e in alcune esperienze di calcio professionistico; il rapporto fra gruppi organizzati di tifoserie, il territorio e le organizzazioni mafiose, con riflessi sul condizionamento delle società di calcio, anche di alto livello; il concreto atteggiarsi di alcuni gruppi organizzati delle tifoserie come associazioni criminali che si muovono con il metodo mafioso, anche a prescindere dalle appartenenze a consorterie criminali tradizionali. Il tutto da leggere sotto la lente della valutazione dell'efficacia della normativa anticrimine nel settore (Daspo, disciplina della giustizia sportiva, regole sulla costruzione e sulla proprietà degli stadi ed altri strumenti).

La situazione è resa ancora più grave dalla pandemia. È difficile prevedere quante società nella serie A rischiano il dissesto finanziario, mentre le società di di serie B, C e della Lega Dilettanti a causa lockdown hanno perso già 260 milioni di euro. È una crisi inaspettata, che ha aperto una voragine finanziaria pronta a essere colmata dalla criminalità organizzata con liquidità. In questo complesso quadro si inseriscono le mafie, sfruttando ogni singola fragilità di uno dei settori economico- sociali più importanti del nostro Paese.

L'altro grande polo di analisi e di approfondimento è quello delle infiltrazioni nelle tifoserie organizzate. Il tema apre alla più ampia ed in parte diversa questione di talune tifoserie ultras e del concreto atteggiarsi di alcune di esse, o parti di esse, come autonome organizzazioni criminali volte al compimento di atti violenti, al controllo della curva come territorio su cui imporre regole che si qualificano spesso come illecite, all'imposizione di condotte e comportamenti agli adepti, alla gestione di affari ed interessi connessi al gioco del calcio. È ormai consolidata la giurisprudenza, che ha individuato in questi casi ipotesi di contestazione dell'associazione per delinquere, a cui ricollegare i reati fine, fra cui quelli di violenza privata e di estorsione, correlati all'esercizio delle modalità violente di imposizione di condotte in curva (la gestione dei posti, il canto dei cori, l'esposizione degli striscioni, l'organizzazione di proteste alla società, il lancio di petardi e fumogeni per influire sulla responsabilità oggettiva, l'abbandono polemico della curva con il presidio dei posti lasciati inoccupati) e ai giocatori (la consegna delle magliette, il plateale saluto ossequioso e le scuse sotto la curva dopo una sconfitta, la chiamata di giocatori a parlare con i capi ultras nel caso di problemi di ordine pubblico), nonché le ipotesi di minacce per ottenere vantaggi (biglietti, partecipazioni a trasmissioni televisive locali o ad inaugurazioni di negozi, gestione di aree parcheggio, gestione di attività connesse alle trasferte anche all'estero della squadra).

La complessità e gravità della situazione impone innanzitutto un'azione corale di distacco da logiche di compromissione, di connivenza o semplicemente di silenzio delle società calcistiche che troppo spesso, al di là di fenomeni di complicità, tengono comportamenti inerti e di mera adesione formale alle regole ordinamentali e sportive, così facilitando invece l'aumentare della forza intimidatrice delle organizzazioni di tifoserie malate. Sul punto, va ulteriormente studiata la funzione di un cardine della giustizia sportiva quale la responsabilità oggettiva, fonte fondamentale di deterrenza nei rapporti fra squadra e tifoseria criminale, ma al tempo stesso, e paradossalmente, fonte di ricatti con ricadute negative, anche indirette, nei rapporti con le tifoserie che minacciano azioni violente durante le competizioni sportive che possono portare significativi danni economici alle società.

Si rendono dunque necessarie azioni collettive delle società, incentivate ed eventualmente premiate da Federazione e Leghe, volte a marcare più nettamente la loro distanza dalle frange violente della tifoseria organizzata, attraverso dichiarazioni pubbliche, azioni positive di sostegno alla legalità e gesti simbolici, oltre, evidentemente, ad una cesura netta dei rapporti, spesso opachi e sotterranei, con gli ultras. In questo contesto, che chiama in causa anche la questione della gestione dell'ordine pubblico, con la positiva esperienza dell'Osservatorio per le manifestazioni sportive e della disciplina della tessera del tifoso che ha contribuito ad una prima disarticolazione della mentalità ultras, preminente rilievo nell'opera di repressione assume la questione edilizia degli stadi. Stadi fatiscenti, inospitali, privi di attrattive per le famiglie, costituiscono il luogo ideale e privilegiato per l'occupazione dei gruppi criminali e per la conseguente azione di ricatto nei confronti delle società. In effetti, tutte le legislazioni europee si sono ormai orientate, e da tempo, a investire direttamente le società calcistiche del problema della sicurezza all'interno degli impianti, varando tutta una serie di misure tese alla loro massima responsabilizzazione.

Il sistema poggia su alcuni assi portanti: 1) proprietà degli impianti sportivi in capo alle società, responsabili in via esclusiva della realizzazione e della manutenzione; 2) riqualificazione di quelli esistenti sotto il profilo della capienza, della separazione tra i settori, delle dotazioni tecnologiche idonee a consentire l'accesso selettivo agli utenti (tornelli elettronici con lettori di badge e di ticket) e l'identificazione dei medesimi all'interno delle aree dell'impianto (sistemi di videosorveglianza sui settori, sulle aree di massima sicurezza e su quelle di pre-filtraggio); 3) responsabilità dei servizi di ordine pubblico all'interno dell'impianto in capo alle società sportive, con obbligo di utilizzo di "steward" qualificati, con il compito principale di far rispettare ai tifosi il posto assegnato e corrispondente al biglietto; 4) responsabilità dei servizi di ordine pubblico al di fuori degli impianti in capo alle forze dell'ordine, con possibilità di intervento all'interno in situazioni di criticità o, in via preventiva, per incontri classificati ad alto rischio.