Secondo un giudizio largamente diffuso, l’attuale classe politica italiana sarebbe una delle peggiori della nostra storia. Qualora, però, si dovesse chiedere quale circostanza dimostri questa tesi, si otterrebbe una risposta altrettanto corale: la scarsa competenza. Si tratta di un grande equivoco.

L’unica competenza veramente strategica per un uomo politico è essa stessa di natura politica e consiste nella capacità di conoscere attraverso la competenza tecnica altrui sapendola valutare, confrontare con altre e, alla fine, decidere. In questo senso, si può parlare di intelligenza politica così come parliamo di intelligenza astratta, analitica, motoria e così via. Anche il ceto sociale di provenienza non ha molta importanza poiché la classe dirigente, politica, è tanto più abile e stabile quanto più, come ci insegna Vilfredo Pareto, sa alimentarsi delle migliori energie provenienti dai ceti sociali sottostanti facendo quindi “circolare le élites”.

A tutto questo, c’è tuttavia un limite. Non è infatti il caso di pensare che, paradossalmente, l’incompetenza da un lato e la provenienza da un ceto inferiore dall’altro siano condizioni sufficienti o addirittura necessarie per ottenere una classe politica di buon livello. Che uno sia ingegnere o l’altro avvocato non è un fatto rilevante per mostrare abilità politiche, ma una laurea, bene o male, garantisce comunque un minimo di consuetudine con lo studio e dunque con la necessaria capacità di approfondire la conoscenza delle cose di questo mondo, per esempio attraverso la lettura consapevole delle relazioni fornite dagli esperti. Altrettanto, la provenienza da ceti inferiori o comunque esterni alla sfera politica esistente non garantisce, di per sé, una attitudine politica ottimale.

Se ciò fosse vero, l’oclocrazia, cioè il Governo direttamente nelle mani delle masse, sarebbe la soluzione ideale, mentre, storicamente, si è sempre dimostrata una pessima soluzione. Nel caso italiano attuale i presupposti sopra descritti forniscono effettivamente un quadro non esaltante. La laurea, intesa come “certificazione” dell’acquisita capacità di studiare e capire, è assente persino nel curriculum di segretari, ex segretari e dirigenti di grandi partiti come, per fare solo qualche esempio eclatante, Matteo Salvini, Nicola Zingaretti, Giorgia Meloni per non parlare di Luigi Di Maio – e dello stesso Beppe Grillo – attori politici senza alcuna competenza professionale per nulla bilanciata da provate abilità politiche di ampio respiro che non si riducano all’accaparramento elettorale. Quanto alla provenienza dal mondo esterno, basti pensare all’esercito, attualmente in disfacimento, dei Cinque Stelle.

Costoro avrebbero dovuto portare nella vita politica l’aria fresca e innovatrice del popolo italiano, succube di una insopportabile tirannia dei partiti, con l’ambizione di dare nuovo vigore al principio di rappresentanza ma finendo, in realtà, per mostrare una insulsa goffaggine senza né capo né coda. D’altra parte, la disponibilità di uomini politici di alto livello, come il buon vino, non si può programmare attorno a un tavolo, per cui non rimane che sperare in una stagione più generosa.

MASSIMO NEGROTTI