di Enrico Pirondini

Gino Bartali sarà beato? Il processo di beatificazione è partito nel 2018, ha rallentato con la pandemia ma in questi ultimi giorni ha ripreso vigore.

A rilanciarlo è stato David Lappartient, francese, rieletto due mesi fa (per acclamazione) presidente dell’UCI, la massima istituzione mondiale del ciclismo.

Lappartient ha colto l’occasione per ricordare Gino Bartali trovandosi a Roma per consegnare all’Athetica Vaticana la certificazione della sua affiliazione (la prima del Vaticano) alla Unione Ciclistica Internazionale. Conta 200 federazioni affiliate, sede nella Svizzera Romanda, ad Aigle.

Dunque ora anche la squadra del Papa è a tutti gli effetti parte del mondo del ciclismo. E in questa gioiosa atmosfera è riemersa, prepotentemente, la storia del Ginettaccio, "il simbolo del legame fra la Chiesa è il ciclismo".

Erano presenti la nipote di Gino Bartali (Gioia), Norma Gimondi (la figlia di Felice) in rappresentanza del presidente del CONI Giovanni Malagò. Con loro il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Il prelato, ne siamo certi, che porterà a compimento il clamoroso processo. Atteso da molti.

In prima fila le suore di Firenze che hanno trascritto le 200 lettere che Gino ha mandato alla moglie Adriana firmando sempre, puntualmente, "Tuo nel Signore".

Ora è il caso di ricordare due o tre cose di Bartali che inquadrano meglio la sua figura. Anzitutto era un terziario carmelitano della Fraternità di San Paolino di Firenze. E pochi sanno che nel febbraio del 1937 prese l’abito del Terz’Ordine. E che a 22 anni entrò nell’Ordine Secolare col nome di Fra’ Tarcisio di S.Teresa di Gesù Bambino con rito solenne.

Più facilmente si ricordano i suoi atti di generosità e coraggio. Gino Bartali che portava i documenti falsi nel telaio della sua bici per sfuggire ai nazisti e consentire la salvezza di 800 ebrei. E salvati tra il 1943 e il 1944 grazie ai suoi “viaggi d’allenamento“ da Firenze ad Assisi (360 km, andata e ritorno in giornata). O il Ginettaccio che ospitava durante la guerra famiglie che rischiavano i campi dì concentramento. Bartali non ne ha mai parlato con nessuno. “Perché – diceva – il bene si fa e non si dice “.

Si era fatto costruire anche una piccola cappella nella sua abitazione (lo ha rivelato la nipote Gioia) “per non dare fastidio in Chiesa quando la sua presenza distraeva i fedeli e lui era costretto a nascondersi dietro l’organo“. Ora la cappella è conservata nel Museo della Memoria di Assisi (inaugurato nel 2011; una testimonianza di storia contemporanea su Shoah e Olocausto raccolta in cinque stanze).

Aggiunge la nipote Gioia a scanso di equivoci: “Diventare Beato o Santo non servirebbe alla sua memoria ma a tutti noi, alla nostra comunità, alle famiglie “.

Il Bartali campione è ancora ben presente nella memoria di sportivi e dintorni. Ginettaccio (1914-2000) ha corso vent’anni da pro, ha vinto 126 corse con 3 Giri d’Italia, 2 Tour de France, 4 Sanremo, 3 Lombardia.

Leggendaria la sua rivalità con Fausto Coppi di cui era più vecchio di cinque anni. Rivalità che ha diviso l’Italia nell’immediato dopoguerra. Ora sono miti. E Bartali diventerà Santo.

Papa Bergoglio vuole un "cammino" di Gino a Roma. Ne sta già parlando con Attilio Nostro, oggi vescovo di Mileto, un tempo sacerdote a Monte Mario (zona nord di Roma) dove è stato intitolato a Bartali un oratorio.

Il Santo Padre ha promesso al vescovo Nostro un pellegrinaggio simbolico da Monte Mario a S. Pietro. Toccando il Campidoglio, il Quirinale, la Sinagoga. Col motto di Bartali in evidenza: "Se lo sport non è solidarietà e scuola di vita, non serve a niente".