Anche il Po ha i suoi colori. Anzi , secondo il più grande fotogiornalista italiano – cioè il veneziano Gianni Berengo Gardin (spesso accostato al mitico Henri Cartier-Bresson, teorico dell’istante decisivo del clic) – il Grande Fiume “ i colori più belli li ha tutti. A cominciare dal rosso africano di certi suoi tramonti“.

Cesare Zavattini un giorno, sul terrapieno che lega Dosolo a Pomponesco, confidò a Erminio Canova ed a me. “Mi chiedete di disegnare i confini della nostra pianura e io vi rispondo così. La Padania è quella che va dal profumo del pane al sapore del salame, per finire al colore del Lambrusco “.

Sorgente di ispirazione artistica, il Po è pure una fonte di nuove invenzioni, nuovi ardimenti. Dai suoi colori primari – il rosso della sera, il giallo del mezzogiorno, il blu del suo cielo nei giorni del broncio – discendono tutti gli altri.

Con le loro sfumature e temperature . I colori caldi cui associamo un certo benessere, quelli freddi-pastello che ci invitano alla calma, quelli neutri, come il bianco o il grigio dei giorni nebbiosi, che consigliano prudenza, financo umiltà.

Ecco perché qui sono nate le pagine più nostalgiche di Giovannino Guareschi. I voli intellettuali di Attilio Bertolucci. L’ampollosa verbosità di Riccardo Bacchelli. Le rime metafisiche di Alberto Bevilacqua.

Del Po Bevilacqua ha cantato la magia. E in “ Una scandalosa giovinezza “ (1978) ci ha raccontato gli “strioni del Po“ che sono ilari e tragici, astuti come volpi o ingenui come fanciulli. Gente che al cambio delle stagioni, attraverso la matematica del futuro, indovinavano catastrofi e le epoche felici.

Strioni e streghe al cospetto di barcari, paratori, venditori ambulanti di libri e cappelli, piccadori, brentatodori e navaroli.

Ma quanti colori ha il Po? I cineasti stregati dalla musicalità dal fluire del fiume. E non solo loro. Basta osservare il popolo al Lido Po, immancabile anche in questi giorni di pandemia e vaccini. Lo “sciacquo delle onde“ (come diceva Mario Soldati) li seduce. Li strega. È la forza maliosa e incantatrice che chiama sempre al rito collettivo ogni giorno, in estate e inverno, con la pioggia o il sole, in spider o carrozzina.

Ne so qualcosa. Qui Lattuada e Bolchi hanno ambientato la saga dei mugnai (che volentieri applaudiamo alla Gnoccata). Qui Michelangelo Antonioni da Ferrara ha saputo evidenziare il vigore della gente del vecchio, caro Eridano.

Sul Po Carlo Rambaldi , il papà di E.T., ha iniziato i suoi primi esperimenti di effetti speciali inventando pesci meccanici, trovando la chiave che lo ha poi portato a Hollywood (tre Oscar).

E sempre su queste rive e golene Mario Soldati con “ La donna del fiume “ (1955) ha fatto decollare il mito di Sophia Loren, la prorompente e bella mondina di un ardito contrabbandiere. Ricordo ancora Moravia, Flaiano, Pasolini che hanno saputo raccontare la simbiosi dell’uomo col fiume e i suoi colori.

E gli attori? Sono tanti. Gino Cervi, Ugo Tognazzi, Gerard Depardieu, Robert De Niro, Romolo Valli, Dominique Sanda, Stefania Sandrelli, Burt Lancaster, Donald Sutherland.

Ma il Grande Fiume non vaga più come un tempo. Una volta il Po aveva ampi giri rassicuranti. Le esondazioni inattese l’hanno cambiato.

Ha scritto nel 1999, sul Venerdì di Repubblica, un indignato Giorgio Bocca: “Il Po non è morto ma è saccheggiato“. L’antropologo e scrittore Giovanni Tassoni, nostro dirimpettaio, replicava: “ Il Po dà e prende“.

Aggiungeva Zavattini: “Può darsi che con le alluvioni porti via della terra. Ma tirate le somme chi ha il bosco sta bene perché c’è pioppo, salice, rubino. E quando si taglia son sempre soldi“.

Molte cose sono cambiate. Sulle rive , in golena, sul fiume. Ma i colori no. Son sempre gli stessi. Sono i più belli che la natura ci potesse dare.