È un errore. Un lusso che non possiamo permetterci. Rallentare l’azione del Governo, rinviare le decisioni più importanti per non scontentare i partiti, frenare le riforme per non mettersi contro nessuno dei giocatori della partita per il Quirinale è profondamente sbagliato. Finora l’Esecutivo di Mario Draghi ha funzionato esattamente per la ragione opposta: perché non ha guardato in faccia a nessuno e si è preoccupato di mediare il minimo, assumendosi sempre la responsabilità delle scelte necessarie. Anche quando cozzavano contro gli interessi di parti della sua stessa maggioranza. Questo metodo ha permesso alla Nazione di portare a casa alcuni risultati che solo pochi mesi fa sembravano impensabili: il successo della campagna di vaccinazione; la riapertura quasi totale del nostro apparato produttivo; un rimbalzo del Pil ampiamente superiore a tutte le aspettative; la scrittura di un Recovery plan finalmente credibile; un rinnovato clima di fiducia interna ed internazionale che ha rimesso in moto investimenti e consumi.

Da alcune settimane, però, le cose sono cambiate. Decisamente cambiate. La confusa campagna per il Quirinale è in pieno svolgimento e sta avendo l’effetto di frenare l’azione di Palazzo Chigi. SuperMario punta al Colle e ormai non fa più nulla per nasconderlo. La prova sta proprio in ciò che sta accadendo: la legge sulla concorrenza al di sotto delle aspettative; il taglio delle tasse con risorse minime e rinviato alle decisioni del Parlamento (cioè alle spartizioni dei partiti); la riforma delle pensioni rimandata al prossimo Governo; nulla, neanche una virgola, sui tagli agli sprechi della spesa pubblica; un’implementazione del Recovery Plan la cui lentezza preoccupa, soprattutto al Sud, e potrebbe iniziare a turbare anche l’Europa che deve erogare i soldi; correzioni minime al Reddito di cittadinanza (bene l’addio ai navigator) che all’atto pratico serviranno a poco; l’attuazione della riforma del processo civile e di quello penale al palo. Si potrebbe continuare, ma l’elenco basta per intenderci.

Draghi è consapevole di non poter più strappare come ha fatto finora, e che se vorrà tentare la scalata al Colle dovrà mediare e cercare nuovi equilibri. Il problema, però, è che ciò rischia di accadere inevitabilmente a scapito dell’efficienza e dell’efficacia dei provvedimenti. I casi di Quota 100 e della riforma fiscale stanno lì a dimostrarlo in maniera plateale. Può darsi che, di fronte alla prospettiva che il premier possa diventare Capo dello Stato, fosse inevitabile entrare in una nuova fase. Ma l’interesse dell’Italia è accelerare sulla strada delle cose da fare, non frenare per evitare di creare eccessivi imbarazzi ai partiti che poi dovranno eleggere il nuovo Presidente. Il cul de sac nel quale rischiamo di entrare può essere risolto solo con un sussulto di responsabilità dei leader politici. Per una volta escano dal teatrino del comizio permanente a reti unificate e siano loro a candidare con chiarezza Draghi al Quirinale, con un patto che individui una figura terza che abbia il consenso di tutti e con cui proseguire il lavoro al governo fino al 2023.

Se non ne sono capaci, allora l’unica subordinata credibile appare oggi la riconferma a tempo del tandem Draghi-Mattarella. Poi, nel 2023, si tornerà al voto. Il nuovo premier sarà politico, espressione della maggioranza che avrà vinto le elezioni. Così facendo, chi prevarrà nelle urne potrà sperare di governare, invece di essere l’amministratore giudiziario di una Nazione in bancarotta. Vale appena la pena di ricordare che a marzo 2022 la Bce terminerà il suo piano di emergenza di acquisto dei nostri titoli di Stato, e che il solo annuncio in questi giorni ha già fatto lievitare i tassi d’interesse che paghiamo. Inoltre, la crescita dell’inflazione che appare sempre meno transitoria e la pandemia, in peggioramento anche a casa nostra, dovrebbero consigliare prudenza a tutti. Per farla breve, se non l’avete ancora capito qui si gioca col fuoco di un sistema indebitato fino al collo. Per i giochetti non c’è più tempo.

VINCENZO NARDIELLO