“Ahi, Sudamerica!, “Oriundi, tango e futbol” è il nuovo libro del nostro editorialista Marco Ferrari (Laterza, 264 pagine, 18 Euro, acquistabile in ebook o tramite Amazon o Ibs) che racconta storie e leggende tra l’Italia e l’Argentina, tra Genova, Montevideo e Buenos Aires sempre legate dal sogno del calcio. Sono storie, esilaranti, malinconiche e struggenti, a cavallo tra le due sponde dell’oceano, con in mente i personaggi strampalati di Osvaldo Soriano e come colonna sonora le note intense di Astor Piazzolla. All’inizio del Novecento nascono squadre mitiche, dagli xeneizes del Boca Juniors ai millonarios del River Plate, dal Peñarol all’Audax Italiano di Santiago del Cile. La febbre del calcio si trasmette a tutto il continente e gli italiani sono sempre i portatori sani di questa epidemia, da San Paolo del Brasile a Caracas, Asunción e Montevideo. Scopriamo così le imprese e le avventure improbabili di calciatori geniali e destinati a segnare la storia: dal trio delle meraviglie del Torino fino al grandioso Guillermo António Stábile, El Filtrador. Così, tra i tangueros della Juventus, il Bologna uruguagio voluto da Mussolini, i romanisti in fuga dal regime fascista, i cinque “bidoni” uruguayani comprati dall’Inter, ci sorprenderemo e commuoveremo di fronte alle vicende di quelli che Borges chiamava i «figli dell’Europa rovesciata e depositata dall’altra parte dell’Atlantico». Storie malinconiche e surreali in cui pure Lionel Messi, La Pulga, ha qualcosa in comune con Giacomo Leopardi. Pubblichiamo parti del libro di Marco Ferrari.

 

DI MARCO FERRARI

Quando l’Unione Calcio Sampdoria nacque al Bar Roma di Sampierdarena – era il 12 agosto del 1946 – dalla fusione fra le due società genovesi Andrea Doria e Sampierdarenese, ereditando la serie A delle due compagini, si trasformò in una fabbrica di oriundi bidoni. In loro, nel loro modo di giocare e vivere a Genova, si diceva che albergasse «l’abitudine alla scon- fitta», sentimento tipico degli emigranti, ben testimoniato dal testo di Ma se ghe penso del genovese Mario Cappello. 

Il primo presidente ufficiale della Samp fu Piero Sanguineti, il primo allenatore Giuseppe Galluzzi. Il primo campionato disputato dai liguri fu quello del 1946-47, in cui si piazzarono al decimo posto. Sanguineti, avversato da Amedeo Rissotto, riuscì a strappare la tessera numero 1 della neonata società. Per rafforzare la propria immagine in quell’anno i dirigenti blucerchiati cercarono il colpo in Argentina. Fu proprio Rissotto a inviare i propri emissari dalle parti di Buenos Aires per trovare i giusti appoggi a quello che veniva chiamato l’«attacco atomico» guidato da Adriano Nane Bassetto, autore del primo gol in serie A nella storia della compagine blucerchiata, e Giuseppe Pinella Baldini, il primo sampdoriano a vestire la maglia azzurra. 

Con grande risalto di stampa e d’immagine nell’estate del ’47 sbarcarono a Genova Óscar Lucas Garro, Juan Francisco Calichio e Juan Carlos Bello. Tre bei giovanotti dall’aria esotica e intrigante con facce da fotoromanzi e curriculum fantasiosi e gonfiati. Passavano per grandi firme del calcio porteño, finirono per collezionare tutti assieme solo sette presenze. 

Il primo, Garro, aveva alle spalle un modesto curriculum di 12 partite e tre gol nell’Estudiantes de La Plata nella stagione 

1943. La sua migliore prestazione si ebbe allo stadio Gigante de Arroyito dove segnò un gol al Rosario Central. Ma già nella stagione successiva al Tigre non collezionò alcun gettone. Nonostante l’assenza di performance, la Samp riuscì a collocarlo, l’anno seguente, al Celta Vigo dove giocò 11 partite segnando tre volte. Basso, capelli riccioli e baffetti alla Charlie Chaplin, Garro era nato a Córdoba nel 1923. Attaccante assai focoso e irruente, disordinato e confusionario, ebbe dei diverbi nello spogliatoio doriano e così restò in disparte. Si rifece in qualche modo l’anno seguente al Celta debuttando il 3 ottobre ’48 contro il Siviglia e districandosi a meraviglia tre turni dopo contro il Barcellona, giocando una delle migliori partite della sua carriera. Da allora diventò un calciatore con la valigia pronta. Ceduto al Lucense in serie B, l’anno successivo passò, sempre nella stessa categoria e poi in Primera, allo Sporting di Gijón giocando col contagocce. Venne acquistato dal Porto, anche lì senza troppo brillare, prima di finire nello Sporting de Espinho in Portogallo, nella stagione 1952-53, per terminare la carriera nel 1955 in Turchia. 

Juan Francisco Calicho divenne un calciatore importante, ma non alla Samp bensì a Empoli. Con i blucerchiati si limitò a sparute presenze (quattro con un gol) per passare poi alla compagine toscana dove riuscì a lasciare un discreto ricordo tra i tifosi: in due stagioni registrò 63 presenze segnando ben 23 gol. Passò quindi in Francia vestendo le maglie di Rennes, Red Star e Rouen. 

La parabola di Bello fu davvero poco esaltante. Scoperto nel Club Franja de Oro, formazione giovanile del Boca Juniors, a Genova si presentò in campo solo tre volte segnando una rete. Nelle discese ardite del pallone finì parcheggiato al Sestri Levante e poi all’Arsenal Taranto dove giocò una decina di match. La sua carriera degradò ancora in squadrette infime della Francia, della Svizzera e infine del Portogallo salazarista. 

Smerciati sbrigativamente i tre “pacchi” italo-argentini, i blucerchiati rivolsero lo sguardo e il portafogli di nuovo a Buenos Aires. E l’estate successiva ecco arrivare José Osvaldo Curti. Nato a Buenos Aires da genitori di Corigliano Calabro, Curti si fermò un anno solo a Genova nonostante lo scoppiettante debutto. Sceso dal transatlantico il giovedì mattina, la domenica successiva, il 17 ottobre 1948, segnò due pappine nel derby col Genoa. Il lunedì mattina i titoli dei giornali locali erano tutti per lui. Nei bar del ponente genovese il suo nome circola- va di bocca in bocca. «José Osvaldo Curti era predestinato ad essere una bandiera della Sampdoria» scrisse un cronista. 

Quando il mister doriano, Adolfo Baloncieri, sì proprio lui, si vide comparire all’allenamento il calabro-platense lo vide pimpante e voglioso di mettersi in mostra. I due parlarono a lungo, in castigliano. Baloncieri si fidò di quel ragazzo dai capelli scuri che, dopo aver mietuto successi con il Banfield e il Ferro Carril Oeste, si era arenato al River Plate, oscurato nel ruolo di regista dal nazionale José Manuel Moreno, il famoso e mitico El Charro. Quando entrò nel catino di Marassi, Cur- ti era più di un anno che non disputava una partita ufficiale. Fu baciato dalla classica fortuna del debuttante perché dopo appena sei minuti segnò un meraviglioso gol. Non contento, concesse il bis al 18° del secondo tempo fermando il risultato sul 5-1, facendo segnare il maggior scarto di gol nella storia del derby della Lanterna. Per Curti sembrava si aprisse l'autostrada del successo. Invece l’oriundo italo-argentino collezionò solo 16 partite e alla fine della stagione venne venduto al Padova. Nel 1960 tornò in Argentina, allenò un anno in seconda divisione e infine trovò l’accasamento adatto nel 1970 a Medellín, in Colombia, chiamato là da un altro Moreno, il dottor Hernán Botero Moreno, presidente del Nacional. Era scaramantico e in panchina indossò sempre la stessa camicia gialla. In tasca aveva degli amuleti solo a lui conosciuti. 

Qualche mese dopo Curti, a stagione iniziata, sbarcò a Genova a passo di tango un altro oriundo, Juan Carlos Lorenzo detto El Toto. Un giocoliere che trascinò la Samp al quinto posto nell’anno della tragedia di Superga. Era la Samp dell’attacco a mitraglia: Bassetto ne fece quindici, Renato Gei quattordici e altrettanti Arnaldo Lucentini. 

Lorenzo era un uomo da teatro, istrionico e ciarliero, sguardo languido, grinta a sfare e plateali esecuzioni. Gambe arcuate, capelli scuri, sguardo profondo e ingannatore, i pantaloncini tirati su, giocava con un sinistro magistrale. Finalmente un acquisto vero! Proveniva dai genovesi del Boca e dunque era quasi un cugino per i doriani. L’Hombre Orquesta, come lo chiamavano, si ambientò bene e giocò da centrocampista a Marassi sino al 1952 prima di fare il girovago del pallone e diventare poi un famoso allenatore. Perduto Curti, come suo amico italo-argentino Lorenzo ne acquisì subito un altro, Mario Sabbatella, ala sinistra, che sbarcò nel ’49 dal River Plate rimanendo poi a vivere sotto la Lanterna, dove è deceduto nel 2012. 

( Continua)