di Silvia Morosi

Il 25 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Ma da dove ha origine questa ricorrenza? 

Per scoprirlo, serve tornare indietro al 1960. Il 25 novembre di quell'anno, infatti, tre sorelle furono uccise dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo, a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana. Dopo essere state fermate per strada mentre si recavano in carcere a far visita ai mariti, furono picchiate con dei bastoni e gettate in un burrone dai loro carnefici, che cercarono di far passare quella brutale violenza per un incidente. All'opinione pubblica fu subito chiaro che le tre donne erano state assassinate. Patria, Minerva e María Teresa Mirabal — questi i loro nomi — erano, infatti, conosciute come attiviste del gruppo clandestino Movimento 14 giugno, inviso al governo. A causa della loro militanza, nel gennaio del 1960, furono anche arrestate e incarcerate per alcuni mesi.

Le tre sorelle sono passate alla storia anche con il nome di Las Mariposas (le farfalle), per il coraggio dimostrato nell'opporsi alla dittatura, lottando in prima persona per i diritti delle donne. Il 3 agosto 1960, in seguito alle pressioni dell'opinione pubblica e alle accuse di «violazione dei diritti umani» formulate dall'Organizzazione degli Stati Americani contro il regime, il presidente Héctor Bienvenido rassegnò le dimissioni a favore del vicepresidente Joaquín Balaguer, mentre Trujillo venne assassinato il 30 maggio 1961. Le tre sorelle sono state ricordate nel 1995 dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez ne «Il tempo delle farfalle», libro dal quale è stato anche tratti il film In the Time of the Butterflies con Salma Hayek nel ruolo di Minerva (qui il trailer).

Il 25 novembre del 1981 avvenne il primo «Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e caraibiche» e da quel momento il 25 novembre è stato riconosciuto come data simbolo. Nel 1999 è stato istituzionalizzato anche dall'Onu con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre, come ricorda questo approfondimento della Bbc. Un ulteriore passo in avanti è stato fatto con il riconoscimento della violenza sulle donne come fenomeno sociale da combattere, grazie alla Dichiarazione di Vienna del 1993.

Il simbolo delle scarpe rosse - Uno dei simboli più usati per denunciare la violenza sulle donne e sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema sono le scarpe rosse, «abbandonate» in tante piazze. Un simbolo ideato nel 2009 dall'artista messicana Elina Chauvet con l'opera Zapatos Rojas. L'installazione è apparsa per la prima volta davanti al consolato messicano di El Paso, in Texas, per ricordare le centinaia di donne rapite, stuprate e uccise a Ciudad Juarez. Con la sua arte Chauvet porta avanti anche una battaglia personale: ricordare, ogni giorno, sua sorella minore, uccisa dal compagno quando aveva 22 anni.

 

 

Il 62% casi in famiglia. Il 72% autori femminicidi è marito o l'ex

Violenza sulle donne, strage annunciata: sono 89 le vittime di abusi ogni  giorno

È quanto emerge dai dati diffusi per la presentazione a Catania di 'Questo non è amore', campagna di prevenzione della Polizia contro la violenza sulle donne, giunta quest'anno alla sua quinta edizione.

Nell'andamento degli omicidi di donne rispetto agli omicidi in genere è stato registrata una leggera diminuzione: se nel periodo gennaio-agosto 2020 le donne vittime di femminicidio erano il 48% di tutte quelle uccise, nell'analogo periodo del 2021 l'indice scende al 41%.

 

"Commentare un abuso fisico subito da una donna affermando che è meno grave perché gliatteggiamenti di lei, il suo abbigliamento o aspetto comunicavano che era 'disponibile' "; a pensarlo sono in maggioranza gli uomini (30%), ma anche la percentuale delle donne è significativa (20%). La ricerca, realizzata su un campione rappresentativo di mille italiani, è stata presentata in Senato. Circa 3 persone su dieci, emerge ancora dalla ricerca, non considerano violenza "Dare uno schiaffo alla partner se lei ha flirtato con un altro"; tra le donne, ne è convinto il 20%, mentre la percentuale sale al 40% per gli uomini.Ancora, un italiano su tre non considera violenzaforzare la partner a un rapporto sessuale se lei non ne ha voglia; lo pensano circa quattro uomini e tre donne su dieci. "Numeri - commentano gli stessi estensori della ricerca - che raccontano di un'Italia patriarcale, in cui c'è ancora tanto da fare in termini di informazione e sensibilizzazione. Una questione culturale che non è appannaggio dei soli uomini, ma che riguarda anche le donne".

 

 

'Spero la prossima settimana. Necessario un aumento della pena"

Lamorgese: "Un pacchetto con le nuove norme in Cdm"

Mediamente 89 donne ogni giorno sono vittime di un reato di genere, nel 62% dei casi l'autore è la persona con cui hanno o avevano una relazione. "È necessario proseguire nell'attività di prevenzione svolta dalle nostre Forze di polizia ed agire con norme più incisive", ha detto la ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese a Catania per la campagna della Polizia 'Questo non è amore'. Ha spiegato che sta prendendo forma un nuovo pacchetto di interventi, che potrebbero arrivare in Consiglio dei ministri la prossima settimana. "Certamente - ha spiegato - c'è l'esigenza di una modifica del minimo delle pene edittali per potere poi procedere con strumenti di prevenzione più efficaci". In questo modo sarebbe infatti possibile l'estensione ai violenti dell'arresto obbligatorio in flagranza (previsto dal codice nel caso di reati con una pena minima di cinque anni).

L'obiettivo delle nuove misure sulla violenza sulle donne cui stanno lavorando le ministre di Interno e Giustizia, Lamorgese e Marta Cartabia, insieme alle colleghe Mariastella Gelmini, Elena Bonetti e Mara Carfagna, è quello di prevenire le violenze rendendo complicata la vita a chi maltratta con misure effettivamente incisive, più che isolare le donne per tutelarle meglio. Uno dei punti è la possibilità di procedere d'ufficio per i reati che rientrano nel perimetro della violenza domestica, senza la necessità che la persona offesa sporga querela. E il braccialetto elettronico per chi è destinatario dell'obbligo di allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa: se il braccialetto viene rifiutato scattano gli arresti domiciliari. Sul tavolo c'è poi la proposta, avanzata nelle scorse settimane da Gelmini di assegnare una tutela simile a quella dei testimoni di giustizia alle donne che denunciano violenze. "L'attuale sistema incentrato sulle case rifugio e sui centri antiviolenza è importante, e il Codice Rosso è sempre più decisivo", ora però, secondo Gelmini, "è arrivato il momento di fare un passo in avanti, e prevedere a favore della vittima nuove misure di protezione, ma anche un supporto economico, sociale e lavorativo".

Sono in aumento quest'anno gli omicidi in cui la vittima è donna: 109 dal primo gennaio, contro i 101 dello stesso periodo dell'anno scorso (+8%), le donne uccise dal partner o dall'ex sono 63, erano 59 lo scorso anno (+7%). In un caso su due è stato utilizzato un coltello, quattro donne su 10 hanno lasciato figli piccoli. Secondo i dati della Direzione centrale anticrimine, diffusi alla vigilia della Giornata internazionale per l'eliminazione delle violenza contro le donne, nel 34% dei casi di violenza di genere l'autore è il coniuge o il compagno, nel 28% l'ex, nel 13% su tratta di un genitore o del figlio. La più alta incidenza di donne che denunciano di aver subito maltrattamenti o altri delitti di genere viene registrata in Sicilia (172 ogni 100mila abitanti), seguita dalla Campania (152), e secondo la Polizia viene smentito il luogo comune che al Sud ci sia una scarsa propensione a rivolgersi alle forze dell'ordine. Sempre di più provano a fermare la violenza: lo scorso anno le chiamate al numero antiviolenza e antistalking 1522 sono aumentate dell'80%. E questa è "la sfida più grande", come ha sottolineato il Capo della Polizia, Lamberto Giannini: convincere ogni singola vittima di violenza "ad uscire dal silenzio": "Dobbiamo impegnarci affinché la denuncia sia un fatto normale".

 

Le istituzioni siano dalla parte delle donne, sempre

di Andrea Catizone

Cammino per ore, a casa no. Mi ritrovo, all'improvviso davanti al palazzo della Questura e resto appoggiata per non so quanto tempo al muro davanti al suo ingresso, vedo persone che entrano...penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora. Penso alle domande, ai mezzi sorrisi penso e ci ripenso, poi mi decido e vado a casa. Li denuncerò domani". 

Con queste parole Franca Rame chiude lo straziante monologo "Lo Stupro" nel quale rappresentava quello che le accadde nel marzo del 1973 in cui venne sequestrata e stuprata da quattro uomini fascisti. In quegli anni, insieme al marito Dario Fo, svolgeva attività per i detenuti, in particolare  quelli di estrema sinistra, dentro le carceri milanesi, quando venne, in via Nirone a Milano, fatta salire a forza su un furgone, seviziata, violentata carnalmente e successivamente abbandonata in un parco.

La potenza di quelle parole fa eco fino ai giorni nostri: il tema dell'approccio del sistema giudiziario e di polizia nei confronti della violenza contro le donne, a partire dal primo atto che la fa emergere, la denuncia appunto, risente di un portato culturale ancorato ancora troppo a una visione della donna ancora parzialmente colpevole e responsabile di quanto le accade, soprattutto nella sfera personale.

In questo senso è estremamente interessante, per una ricostruzione storica dell'evoluzione del diritto nel riconoscimento della violenza verso le donne, mettere a confronto il monologo della Rame con l'arringa della grandiosa Avvocatessa Tina Lagostena Bassi, nel noto processo per stupro del 1978, in cui per la prima volta venne filmato un processo di quel tipo in un'aula di Tribunale che poi divenne un documentario premiato.

In quell'arringa memorabile la Lagostena Bassi descrive con una chiarezza esemplare quanto pre-giudizio ci sia nella società e nella magistratura, inquirente e giudicante, ma anche nell'avvocatura nei confronti delle donne. Ed è per questo che esordisce, lei come donna e come avvocatessa, dicendo che le donne sono in quel processo per chiedere Giustizia, specificando che questa non coincide con l'irrogazione di una pena gravissima, non solo quanto meno, ma con l'affermazione piena della libertà della donna e il superamento della concezione, non più accettabile, che la donna sia un oggetto verso il quale l'uomo abbia un potere assoluto, anche di vita o di morte.

Un potere che si estrinsecava in un ordinamento giuridico in cui era ammesso il delitto d'onore, in cui lo stupro era un reato contro la morale, in cui alle donne venivano negati molti dei diritti costituzionali che per più di quarant'anni erano rimasti congelati per l'assenza di norme ordinarie che consentissero la loro applicazione e la rimozione degli ostacoli alla loro realizzazione.

Del resto bisogna aspettare il 1981 per eliminare la rilevanza penale nel delitto d'onore, il 1996 per rubricare lo stupro come delitto contro la persona e non contro la morale e i giorni nostri, dopo la ratifica della Convenzione di Istanbul da parte del Parlamento italiano del 2013, per riconoscere la violenza come un violazione dei diritti umani ed introdurre importanti disposizioni contro la violenza e a tutela delle donne.

L'avvocatessa Lagostena Bassi parla di "solidarietà maschilista" che vena tutti i processi per violenza in cui sul banco degli imputati insieme agli stupratori, ai violenti, siedono anche le parti offese dal reato, ovvero le donne che vengono interrogate sul loro comportamento, sulle loro scelte, sui loro abiti, sul loro approccio alla vita, su tutto quanto possa essere capziosamente interpretato come atteggiamento tentatore.

Il monologo di Franca Rame e l'arringa della Lagostena Bassi, entrambi della fine degli anni '70, affrontano con la stessa prospettiva il grande tema di come la cultura occidentale ha interpretato, fin dal diritto romano, la sfera sessuale femminile e il corpo delle donne affermando, in ogni ambito, la tutela ed il controllo dell'esclusività maschile.

Le difficoltà che le donne vittime di violenza incontrano a denunciare, ben tradotte nella frase lapidaria "li denuncerò domani" della Rame, per indicare un tempo indefinito, e nella dichiarazione emblematica e di rottura "siamo qui, noi donne, perché chiediamo giustizia" dell'Avvocatessa Lagostena Bassi, trovano la loro evidenza nel susseguirsi ormai quotidiano di femminicidi che contengono tutti la stessa matrice di pensiero: donna uguale oggetto. È nell'affermazione del dominio assoluto dell'uomo sulla donna che ancora oggi, in cui si stanno organizzando i viaggi su Marte per i civili, questo pesantissimo retaggio culturale tribale resiste con una forza inspiegabile. Un macigno di arretratezza che attraversa non solo il tempo in maniera verticale, ma anche la società in maniera trasversale, perché non legato, non sempre legato a una emancipazione culturale e sociale degli uomini.

Certo molto è stato fatto e molti passi in avanti sono stati compiuti -sarebbe davvero scorretto non ammetterlo-, ma tuttavia se le istituzioni come strutture portanti delle regole e del vivere democratico non scendono direttamente nel campo di battaglia della lotta contro la violenza verso le donne, le ragazze e le bambine, la lentezza con la quale si sdradicheranno certe assurde convinzioni costerà la vita ancora a tante donne: e di questa lentezza e delle sue conseguenze ci si deve assumere la responsabilità. Serve una più pronta applicazione della normativa vigente per innestare quel cambio di passo che permetta di proteggere la donna che ha denunciato, di prenderla in carico come richiede la legge dello Stato, di isolare e di controllare l'uomo violento e con intenti assassini e di formare tutta la filiera dei presidi democratici alle quali le donne che hanno subito violenza, insieme ai figli, si rivolgono.

Il cambiamento culturale, di cui tanto si parla, non avviene se intanto ci si occupa di altro e si considera la violenza un tema secondario: al contrario si avvia con interventi normativi che agevolino il cambiamento che è già in atto e che deve essere portato a compimento.

Solo così si giungerà a sconfiggere la violenza come mezzo per affermare il predominio maschile sulle donne.