di MARCO FERRARI

Pier Paolo Pasolini continua a far parlare di sé, anche prima del centenario della nascita, previsto per il 5 marzo 1922. La premiata casa editrice Garzanti manda in libreria l'epistolario dello scrittore bolognese, intitolato semplicemente "Le lettere di Pier Paolo Pasolini", un corposo volume che ricostruisce per la prima volta in forma completa le missive dello scrittore-regista. I curatori Antonella Giordano e Nico Naldini – cugino di Pasolini, mancato il 20 settembre dello scorso anno, prima dell'uscita del volume – hanno interpellato per anni archivi di fondazioni, biblioteche e istituti culturali, contattato i destinatari dello scrittore o i loro eredi, consultato giornali e riviste riuscendo così a integrare con oltre trecento lettere il corpus finora conosciuto. Spiccano tra le inedite quelle indirizzate a Paolo Volponi, Attilio Bertolucci, Giorgio Bassani che arricchiscono una raccolta già tra le più ampie e significative della letteratura italiana. Ne scaturisce una sorta di autobiografia che ci fa capre la complessa figura dell'intellettuale, ma anche l'enorme mole di rapporti intessuta nella sua lunga attività di scrittore, poeta, regista, autore televisivo. A introdurre i testi, una nuova cronologia della vita e delle opere di Pasolini che segue l'impianto ideato da Nico Naldini, qui aggiornata e ampliata rispetto alla precedente edizione delle lettere pasoliniane, due volumi usciti da Einaudi nel 1986 e nel 1988, oramai introvabili se non dai librai antiquari. Il volume di Garzanti (pp. 1.496, euro 60) fa riemergere la voce di Pasolini variamente modulata a seconda delle persone a cui si rivolge. Si parte con le prime missive scritte negli anni giovanili da Casarsa da cui emerge l'amore per la terra friulana, come in queste righe inviate nella primavera del 1947 a un amico bolognese: «Ogni immagine di questa terra, ogni volto umano, ogni battere di campane, mi viene gettato contro il cuore ferendomi con un dolore quasi fisico. Non ho un momento di calma, perché vivo sempre gettato nel futuro: se bevo un bicchiere di vino, e rido forte con gli amici, mi vedo bere, e mi sento gridare, con disperazione immensa e accorata, con un rimpianto prematuro di quanto faccio e godo, una coscienza continuamente viva e dolorosa del tempo». Una volta trasferitosi a Roma Pasolini entrò nell'agone del mondo intellettuale. È una stagione fiorente di polemiche e confronti, in particolare nei riguardi del Pci, un partito a cui si sentirà sempre legato nonostante non apprezzasse l'ortodossia, lui che era un marxista eretico ed eterodosso. Così scrive nell'ottobre del 1964 a Mario Alicata, allora direttore dell'"Unità": «Fresco di Matteo ti ricordo la frase: "Dite sì se è sì, non se è no: tutto il resto viene dal Maligno. Devi dirmi con coraggio se tu e la tua cerchia, a me, dite sì o no. Non perché questo possa contare sulla mia reale e profonda ideologia e fede comunista, ma perché possa aiutarmi nella mia chiarezza e nei miei atteggiamenti pratici. Non c'è niente di più penoso di un ospite non invitato».

Le missive più interessanti sono quelle personali perché ci consentono di capire i suoi sentimenti, le tensioni, le emozioni. In primo piano il rapporto con l'attrice Laura Betti, amica stretta dello scrittore e regista, quasi sempre presente nelle sue pellicole, molto protettiva verso di lui. Parlando di lui era solito chiamarlo «mio marito». Quando Pasolini conosce Ninetto Davoli, Laura tradisce la propria gelosia. Lui le scrive, nel settembre del'64, descrivendo lucidamente la situazione: «Cara Laura, sarai certamente eroica ad andare per i negozi con Nino [Ninetto Davoli], a comprargli indumenti, ecc.: ma la realtà è che non lo puoi sopportare. La sua assurda, irrichiesta, arbitraria presenza, ottenuta da lui così facilmente, ti offende, lo so. E ti capisco. Tutto quello che per me è grazia per te è opera del Demonio – in lui. Hai capito che ribellarti è battere la testa contro il muro: e allora hai accettato». Il rapporto più stretto e intime resta con la madre, chiamata «picinina», alla quale scrive molte lettere, specialmente quando di trova in viaggio come il 6 gennaio 1973 dall'Asmara: «Cara Picinina, tanti saluti rapidissimi ancora da Asmara, pronto a andare a fare sopraluoghi in un vecchio convento... Tutto va molto bene, splende il sole dolcemente, gli Eritrei sono deliziosi. Stammi bene, picinina, mangia, bevi e non stare mai neanche un minuto in pensiero, ciao». L'ultima delle lettere di Pasolini è della metà di ottobre del 1975 (morirà assassinato il 2 novembre di quell'anno al Lido di Ostia). È indirizzata a Graziella Chiarcossi, sua cugina, che viveva a casa sua, alla quale parla di lavoro prevedendo «una pioggia di telefonate» in arrivo nel primo pomeriggio e un elenco di cose da seguire. Uno scritto rapido che non ha nulla di letterario al contrario ad altri trecento inediti che arricchiscono questa nuova edizione dell'epistolario di Pasolini. Un libro, insomma, con le sue millecinquecento pagine, che fotografa il tessuto delle relazioni di questo grande artista, da Elsa Morante a Paolo Volponi, da Elsa Morante a Gianfranco Contini, da Giuseppe Ungaretti ad Attilio Bertolucci, da Giorgio Bassani a Vanni Scheiwiller.