Il dissesto idrogeologico in Italia ha numeri da record e minaccia la vita di tante persone. Secondo uno studio di Legambiente, ben 7,5 milioni di italiani sono a rischio, perché vivono in case ubicate in zone pericolose per frane e allagamenti. Molto di più del 10% della popolazione. E il dato non deve stupire se si pensa che i Comuni classificati come ad alta pericolosità idrogeologica sono 7.145 su un totale di 7.903, ovvero circa il 90% dei centri abitati italiani (dati Ispra, “Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale”).

Nel 70% di questi comuni ci sono case costruite in aree a rischio. Nel 27% dei Comuni si tratta non di singole abitazioni ma di interi quartieri edificati dove non era prudente costruire. E oltre alle abitazioni, in pericolo ci sono anche edifici industriali e persino scuole e ospedali: sono il 15% dei casi totali e si trovano nel 50% dei comuni esaminati. Si dirà: è il retaggio degli anni '60, '70 e '80, quando la consapevolezza ambientale era più bassa di oggi e le politiche di tutela del territorio erano pressoché sconosciute. E invece non è sempre così. Ben il 9% dei Comuni “pericolosi”, cioè 136 enti locali, ha consentito di costruire nuovi edifici in zone ad alto rischio idrogeologico nell'ultimo decennio, e la maggior parte di questi lo ha fatto infischiandosene del fatto che le aree in oggetto fossero soggette a vincoli idrogeologici.

Non solo. Ci si potrebbe aspettare che in questi anni le amministrazioni locali abbiano investito in politiche di prevenzione, specialmente nella messa in sicurezza dei fiumi e dei torrenti. Invece il 9% dei Comuni a rischio ha dichiarato, rispondendo ad un sondaggio di Legambiente, di aver “tombato” (leggi cementificato) tratti di corsi d'acqua sul proprio territorio e di aver consentito la urbanizzazione delle aree sovrastanti. Eppure, secondo uno studio del Cnr (Centro nazionale ricerche), nei sei anni che vanno dal 2010 al 2016 in Italia 145 cittadini italiani hanno perso la vita a causa di inondazioni e disastri idrogeologici, mentre oltre 40mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case.

E non si pensi che sia un problema di scarsità di risorse se non si mettono in campo misure di prevenzione dei rischi. C'è un fondo di 10 milioni di euro stanziato dal ministero dell'Ambiente per delocalizzare le abitazioni costruite in zone a rischio, vale a dire abbatterle e ricostruirle altrove. Ebbene, i soldi sono rimasti fermi nelle casse del ministero: dai Comuni di tutta Italia sono arrivate soltanto 17 domande.