di Fulvio Abbate

Al tempo del covid, infine giunse il ravveduto. Tra le figure ulteriori più significative della cronaca epocale incerta e problematica del momento c’è modo di ravvisare, appunto, colui che infine prende atto d’avere vissuto, praticato, addirittura propalato l’errore, così sullo sfondo della pandemia. Il Ravveduto, sia detto proprio con l’iniziale maiuscola, proprio per il peso simbolico che assume la sua successiva talvolta perfino toccante presa di coscienza personale nella situazione tragicamente data del virus, si offre ormai consapevole della necessità del vaccino, un tempo indicato da lui stesso come assoluto crimine sanitario. Ciò avviene in extremis, se non quasi “in articulo mortis” (al fotofinish, direbbe invece il prosaico) su un fondale necessariamente ospedaliero: la bocchetta dell’ossigeno, se non il casco, e poi, su tutto, lo sguardo supplice di chi sembri ormai mostrarsi implicitamente come puro “ecce homo”, sì, ecco, ospedalizzato… Fra le righe, queste sue implicite, silenzione considerazioni: sì, mi vergogno un po’, sento di avere tradito il mio iniziale mandato, tuttavia credetemi, devo ringraziare il personale che si sta prendendo cura di me… E qui il Ravveduto è pronto a sciorinare l’elenco tutto dei presenti in forze al nosocomio, fino all’ultima infermiera Donatella, proprio lei, “… per come si sta prodigando”.

L’uomo, il Ravveduto va infatti ravvisato in terapia intensiva, luogo della salvezza, perfino a dispetto dei sospetti e delle titubanze iniziali, “… ma quali titubanze? Io ritenevo che la malattia fosse un’invenzione dei poteri occulti…”, precisa adesso il nostro, redento.

Se è concesso un raffronto, il Ravveduto dei giorni del Covid-19 rappresenta plasticamente, fatte le doverose proporzioni perfino iconologiche, aureola a fronte d’agocannula, ciò che nella storia del cristianesimo è stato costituito dalla figura di san Paolo, nel senso di Paolo di Tarso, già persecutore di cristiani, e infine divenuto devoto del Nazareno, cristiano anche lui, fino a conquistare convintamente, al punto da essere percepito come uno dei cardini, pietra angolare della narrazione cristologica, lo status di apostolo.

Come Saulo non ancora Paolo, anche il nostro infine Ravveduto, nonostante il volto comune dirimpettaio, inizialmente c’è modo di intuirlo perfino violentemente sguaiato in piazza, a sostenere ora l’inesistenza del morbo ora l’evidenza di una macchinazione “diabolica” delle industrie farmaceutiche planetarie: Big Pharma indicata come sorta di Baal, tra Bertolt Brecht, lo sceneggiato francese che prendeva appunto titolo “I compagni di Baal”, David Bowie, fino all’ultima possibile citazione millenaristica. Sia detto perfino a dispetto del modesto spettro culturale di coloro che dovessero evocarlo per sommi capi.

In breve, spinto dalle sollecitazioni della malattia, comprendendo il limite del corpo, il Ravveduto compie una pubblica abiura in modo struggente, implorando infine il ricorso a una mobilitazione generale verso i presidi sanitari, sperando di essere percepito nella sua infine pervenuta verità: potete credermi in parola. Sì, parola di convertito. Ciò che un filosofo esistenzialista, ricorrendo al pensiero agostiniano, definirebbe “immobilità delle cose vere”. Dunque, come spiega l’ambito merceologico, tutto questo implicherebbe immediata “fiducia”, se non abbandono alla certezza. Il Ravveduto perfino come una figura canonica del presepe napoletano, il cosiddetto “spaventato”, meglio, trasecolato del presepe: braccia sollevate al cielo a dimostrare di avere avuto, lui sì, finalmente, una rivelazione.

Riuscirà l’infermo nell’opera di convincimento, meglio, nel suo ormai evidente apostolato?

Purtroppo, osservate le molte categorie del possibile antagonismo antisistema raccolte intorno alla pandemia, vera e propria improvvisa babele ideologica, assodato l’humus ossessivo-paranoico che presidia ogni discussione, l’immagine stessa del Ravveduto, con buona pace delle sue stesse lacrime reputate magari infingarde, verrà meccanicamente riferita all’ennesimo espediente propagandistico messo in atto dal sistema d’informazione al servizio dei “sierati” (sic), “cavie umane” avviate al countdown di un sicuro decesso, così da regolare la sovrappopolazione planetaria. No, che non verrà creduto, ennesimo venduto al “giornalista terrorista… giornalista terrorista… giornalista terrorista…”, qualcuno lo riterrà addirittura piuttosto simile, e qui il discorso si sposta in un ambito cinematografico, alle vittime dell’“Invasione degli ultracorpi”. Del tutto inutile rilevare che in psichiatria certa distorsione della realtà è detta pensiero magico; pura regressione infantile, se non acefala; ed è incredibilmente un nodo sempre più politico o del fallimento del pensiero dialettico.Al tempo del covid, infine giunse il ravveduto. Tra le figure ulteriori più significative della cronaca epocale incerta e problematica del momento c’è modo di ravvisare, appunto, colui che infine prende atto d’avere vissuto, praticato, addirittura propalato l’errore, così sullo sfondo della pandemia. Il Ravveduto, sia detto proprio con l’iniziale maiuscola, proprio per il peso simbolico che assume la sua successiva talvolta perfino toccante presa di coscienza personale nella situazione tragicamente data del virus, si offre ormai consapevole della necessità del vaccino, un tempo indicato da lui stesso come assoluto crimine sanitario. Ciò avviene in extremis, se non quasi “in articulo mortis” (al fotofinish, direbbe invece il prosaico) su un fondale necessariamente ospedaliero: la bocchetta dell’ossigeno, se non il casco, e poi, su tutto, lo sguardo supplice di chi sembri ormai mostrarsi implicitamente come puro “ecce homo”, sì, ecco, ospedalizzato… Fra le righe, queste sue implicite, silenzione considerazioni: sì, mi vergogno un po’, sento di avere tradito il mio iniziale mandato, tuttavia credetemi, devo ringraziare il personale che si sta prendendo cura di me… E qui il Ravveduto è pronto a sciorinare l’elenco tutto dei presenti in forze al nosocomio, fino all’ultima infermiera Donatella, proprio lei, “… per come si sta prodigando”.

L’uomo, il Ravveduto va infatti ravvisato in terapia intensiva, luogo della salvezza, perfino a dispetto dei sospetti e delle titubanze iniziali, “… ma quali titubanze? Io ritenevo che la malattia fosse un’invenzione dei poteri occulti…”, precisa adesso il nostro, redento.

Se è concesso un raffronto, il Ravveduto dei giorni del Covid-19 rappresenta plasticamente, fatte le doverose proporzioni perfino iconologiche, aureola a fronte d’agocannula, ciò che nella storia del cristianesimo è stato costituito dalla figura di san Paolo, nel senso di Paolo di Tarso, già persecutore di cristiani, e infine divenuto devoto del Nazareno, cristiano anche lui, fino a conquistare convintamente, al punto da essere percepito come uno dei cardini, pietra angolare della narrazione cristologica, lo status di apostolo.

Come Saulo non ancora Paolo, anche il nostro infine Ravveduto, nonostante il volto comune dirimpettaio, inizialmente c’è modo di intuirlo perfino violentemente sguaiato in piazza, a sostenere ora l’inesistenza del morbo ora l’evidenza di una macchinazione “diabolica” delle industrie farmaceutiche planetarie: Big Pharma indicata come sorta di Baal, tra Bertolt Brecht, lo sceneggiato francese che prendeva appunto titolo “I compagni di Baal”, David Bowie, fino all’ultima possibile citazione millenaristica. Sia detto perfino a dispetto del modesto spettro culturale di coloro che dovessero evocarlo per sommi capi.

In breve, spinto dalle sollecitazioni della malattia, comprendendo il limite del corpo, il Ravveduto compie una pubblica abiura in modo struggente, implorando infine il ricorso a una mobilitazione generale verso i presidi sanitari, sperando di essere percepito nella sua infine pervenuta verità: potete credermi in parola. Sì, parola di convertito. Ciò che un filosofo esistenzialista, ricorrendo al pensiero agostiniano, definirebbe “immobilità delle cose vere”. Dunque, come spiega l’ambito merceologico, tutto questo implicherebbe immediata “fiducia”, se non abbandono alla certezza. Il Ravveduto perfino come una figura canonica del presepe napoletano, il cosiddetto “spaventato”, meglio, trasecolato del presepe: braccia sollevate al cielo a dimostrare di avere avuto, lui sì, finalmente, una rivelazione.

Riuscirà l’infermo nell’opera di convincimento, meglio, nel suo ormai evidente apostolato?

Purtroppo, osservate le molte categorie del possibile antagonismo antisistema raccolte intorno alla pandemia, vera e propria improvvisa babele ideologica, assodato l’humus ossessivo-paranoico che presidia ogni discussione, l’immagine stessa del Ravveduto, con buona pace delle sue stesse lacrime reputate magari infingarde, verrà meccanicamente riferita all’ennesimo espediente propagandistico messo in atto dal sistema d’informazione al servizio dei “sierati” (sic), “cavie umane” avviate al countdown di un sicuro decesso, così da regolare la sovrappopolazione planetaria. No, che non verrà creduto, ennesimo venduto al “giornalista terrorista… giornalista terrorista… giornalista terrorista…”, qualcuno lo riterrà addirittura piuttosto simile, e qui il discorso si sposta in un ambito cinematografico, alle vittime dell’“Invasione degli ultracorpi”. Del tutto inutile rilevare che in psichiatria certa distorsione della realtà è detta pensiero magico; pura regressione infantile, se non acefala; ed è incredibilmente un nodo sempre più politico o del fallimento del pensiero dialettico.