di Franco Esposito

La questione da seria diventa serissima. Tolti veli e veti, i verbali di Giuseppe Graviano, uomo di mafia, diventano di pubblico dominio. Depositati dai pm di Firenze, (Giuseppe Creazzo procuratore capo e gli aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli) che indagano su Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi, sono datati 20 novembre 2020 e 1° aprile 2021. L'ipotesi tutta da dimostrare è di una partecipazione dell'ex premier e dell'ex senatore, nel ruolo di presunti mandanti esterni nelle stragi del 1993. Momenti rimasti a lungo oscuri costarono la vita a dieci persone negli attentati contro le Basiliche e contro il giornalista e conduttore televisivo Maurizio Costanzo, a Roma. 

I pm hanno sentito il boss Giuseppe Graviano come "persona condannata per reato connesso". Gravi le affermazioni dell'uomo di mafia, ovviamente tutte da riscontrare. "C'è la carta del patto firmato da Berlusconi", avrebbe affermato Graviano. Affermazioni ampiamente contestate dal legale di Berlusconi, l'avvocato Nicolò Ghedini, nel febbraio 2020, al processo "'Ndrangheta Stragista". Dichiarazioni definite "totalmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà e palesemente diffamatorie". 

Nel condannare Graviano per altri fatti, la Corte di Reggio Calabria in sentenza definì  le dichiarazioni del mafioso sul Cavaliere "prive di riscontro". Il dovere di cronaca impone di riportare comunque quanto Graviano ha dichiarato su Berlusconi, candidato alla Presidenza della Repubblica. Il magazine l'Espresso diretto da Marco Damilano ha anticipato alcuni passaggi della deposizione del 20 novembre 2020. I pm chiedono a Graviano, "Riferisca in ordine a eventuali rapporti economici con Berlusconi e Dell'Utri". 

Immediata la risposta del boss. "Mio nonno Quarataro Filippo, lavoratore nel settore ortofrutticolo, mi raccontò che aveva conosciuto Silvio Berlusoni attraverso un tramite il cui nominativo non conosco. Berlusconi gli aveva richiesto di operare un investimento di venti miliardi di lire". Milioni forse? "No, miliardi, venti per le sue attività, con l'intesa di una partecipazione al venti per cento a tutte le attività e ai proventi derivanti da tale investimento". 

Il nonno – riferì Graviano – non disponeva della somma richiesta e si rivolse ad alcuni conoscenti, coinvolgendoli nell'operazione. 

"Mio nonno investì l'importo di 4,5 miliardi di lire; le altre persone che investirono denaro insieme con lui erano Alfano Carlo, per dieci miliardi, Serafina moglie di Salvatore Di Peri, Antonio La Torre detto Nino il pasticciere, e Matteo Chiazzese, per l'importo residuo (...)". 

Prosegue Graviano: "Mio nonno mia ha raccontato di tale vicenda dopo la morte di mio padre avvenuta il 7 gennaio 1982. Mi disse che mio padre non aveva voluto sapere nulla di questa situazione e mi chiese di occuparmene insieme a mio cugino Salvatore Graviano, morto nel 2002". 

"Io e mio cugino ci siamo rivolti a Giuseppe Greco, papà di Michele (detto il Papa, condannato al maxiprocesso contro le mafie) per essere consigliati da lui. Fummo invitati a coltivare il rapporto iniziato dal nonno". 

Il seguito, anch'esso tutto da provare, è più pesante dell'inizio. Graviano semina mine. "Mio nonno portò me e Salvatore a Milano ad incontrare Silvio Berlusconi. L'incontro avvenne all'hotel Quark. Presso tale hotel sono tornato per festeggiare il cenone di fine anno 1990-1991, nel corso del quale vi erano ballerine sudamericane (...). Mio nonno ha consegnato a mio cugino Salvatore una carta firmata da Berlusconi e da tutte le persone che avevano effettuato l'investimento. La carta era stata predisposta da un professionista di fiducia, l'avvocato Canzonieri. L'intenzione mia e di mio cugino è stata semptre quella di ottenere da Berlusconi la formalizzazione dell'accordo". 

Ci fu o non ci fu la formalizzazione? Graviano cita un altro passaggio identificabile come sconcertante. E compromettente per Belusconi e Dell'Utri, se dovesse risultare vero alle verifiche. "L'ultimo incontro che ho avuto con Silvio Berlusconi è avvenuto nel dicembre 1992. Nel corso del quale ci accordammo per formalizzare l'accordo di partecipazione societaria davanti a un notaio per la data, mi sembra, del 14 febbraio 1994. Tale incontro avvenne in un appartamento presso Milano 3, che Berlusconi aveva messo a disposizione di mio cugino Salva". 

Il boss non riferisce episodi che hanno avuto altri come protagonisti. Il protoganista sarebbe stato lui in persona. Graviano teorizza: "Sono convinto che io e mio cugino Salvatore siamo stati arrestati per imedirci di formalizzare l'accordo economico con Silvio Berlusconi; le stragi sono cessate per addossare tutte le responsabilità a me". Affermazioni gravissime che pare stiano seminando forte apprensione tra Milano 2 e Arcore. 

I pm chiedono poi a bruciapelo: "Ci dica se Berlusconi è stato il mandante delle stragi". E qui Graviano si limita con un breve "non so se è stato lui". Il seguito avviene in cella a Terni, il 1° aprile. Secondo interrogatorio, i pm chiedono dove sta "la carta dell'accordo firmato da Silvio Berlusconi e dagli altri imprenditori, di cui ha parlato nel precedente verbale?". Graviano riferisce che il documento era in possesso del cugino Salvatore. "Mi devo mettere in contatto con i miei parenti che devono mettermi nella condizione di recuperare il documento. Non ho interesse a recuperare il denaro, ma solo a far rispettare l'impegno e a far emergere la verità". 

I pm incalzano il boss. Tornano a parlare del nonno di Graviano. "Come furono consegnati a Berlusconi i soldi? Berlusconi era a conoscenza della provenienza di tali soldi?". E qui Graviano denuncia attimi di esitazione, tentenna prima di rispondere. "Non lo so, io sono intervenuto soltanto nel 1982; mio nonno non penso abbia conosciuto direttamente Berlusconi; ha avuto un tramite. Anzi in sede riassuntiva preciso che il tramite è la persona che ha fatto conoscere a mio nonno Berlusconi". 

I verbali sono stati depositati al Tribunale del Riesame. L'avvocato Mario Murano ha impugnato i decreti di perquisizione nell'interesse dei fratelli Nunzia e Benedetta Graviano, terzi non indagati.  

Per il momento è tutto. O forse ancora niente, forse poco. Una cosa è certa: ne vedremo di belle fino all'elezione del Presidente della Repubblica. La macchina del fango ha ripreso a funzionare.