di Alessandro De Angelis

 

È, al tempo stesso, un bilancio anche orgoglioso, sia pur senza enfasi come nello stile dell’uomo, per come il paese ha reagito e per alcune scelte compiute, come l’indicazione di un governo di emergenza nel pieno della crisi. E una indicazione a non smarrire la strada intrapresa. Il titolo è nell’auspicio che “lo spirito costruttivo sia stabile”, che non è una formula politica, ma un potente richiamo alla realtà e alle sfide che il paese ha di fronte sia sul fronte dell’emergenza sanitaria sia della ricostruzione economia.

Questo il senso del discorso di Sergio Mattarella alle alte cariche dello Stato, tradizionale appuntamento di fine anno, l’ultimo del suo mandato. Come inevitabile che sia, la prepotenza della rottura del Covid trasforma il bilancio del settennato in una riflessione sulla fase inedita che si è aperta con la pandemia. E che non si è ancora chiusa perché è vero che “non ci sentiamo più in balia degli eventi”, grazie a “scelte coraggiose, ai progressi della scienza, al senso civico diffuso”, ma, insomma, non è finita.

Proprio questa consapevolezza spiega anche alcuni passaggi un po’ “indulgenti” e la lettura “armonica” di questi anni, tesa a sottolineare gli elementi positivi su cui far leva. C’è poco da fare: un capitano, nella tempesta, non guarda a poppa, ma indica la rotta, mantenendo alta la soglia di attenzione di tensione anche morale. Perché c’è un paese da riscostruire. E la parola “ricostruzione” del paese è sempre declinata nella sua accezione non solo economica, ma anche morale e materiale. Che rende innanzitutto necessario uno sforzo nella mentalità con cui si affronta una fase che non si è chiusa e il ripudio della pigrizia nell’approccio perché “la normalità che perseguiamo non è il ritorno al mondo di prima”.

In tal senso due sono le indicazioni del capo dello Stato uscente, nel momento del congedo. La prima è il richiamo, per il dopo, a quell’afflato unitario – “unità di intenti e unità di sforzi” – che si è realizzato finora, innanzitutto nel paese, responsabile di fronte all’ignoto e “esemplare” nel seguire le indicazioni della scienza, forse più avanti anche rispetto alle istituzioni nella prima fase della pandemia e oggi forse più avanti, unica punta polemica, a chi dà eccessivo risalto mediatico ai no vax, per esigenze di audience. Ma l’afflato si è realizzato anche nella tanto bistrattata politica e nei tanto bistratti partiti che, di fronte all’appello di un anno fa a formare un governo, lo hanno accolto “mettendo in secondo piano divisioni e distinzioni legittime”.

E se è non è peregrino vedere in questo passaggio nient’affatto scontato, in una legislatura segnata, insieme, dall’asprezza del confronto e dal trasformismo, anche una orgogliosa sottolineatura della responsabilità che Mattarella si è assunto personalmente e le istituzioni nel loro complesso, il messaggio riguarda non solo cioè che è accaduto. Ma il domani, quando le forze politiche sono chiamate a gestire una ordinata successione al Colle senza mettere a rischio una ordinata ricostruzione del paese. E per il dopo-domani, quando la pandemia sarà alle spalle, la cui cifra dipenderà anche dalle scelte che si compiono oggi.

E qui c’è la seconda indicazione per “la stagione dei doveri” delle classi dirigenti, che riguarda i diritti dei più deboli. La ripresa c’è, dice Mattarella, e i “dati sono incoraggianti” ma “i segnali sono ancora fragili”. Ovvero c’è una questione sociale che il capo dello Stato squaderna, in modo piuttosto crudo, ponendo l’enfasi sullo “scandalo” delle morti sul lavoro, sulle “diseguaglianze che feriscono la nostra comunità”, sullo “sfruttamento del lavoro precario”. Anche in questo caso, parole di equilibrio, tra le fanfare del va tutto bene, e poi non colgono i conflitti, e i professionisti del va tutto male, ignari che la catastrofe non c’è stata, ma questa è una aggiunta del commentatore, non del capo dello Stato.

Insomma, il senso è: vi lascio un paese unito, che nel suo insieme, ha fatto un mezzo miracolo a non essere sprofondato ed è nelle condizioni di guardare avanti. Fatene buon uso. Vale anche per il successore.