di Arturo Illia

La questione su chi dovesse subentrare al Senatore Cario (eletto in Argentina con voti contraffatti), e che si trascina da ormai 3 anni, si pensava fosse risolta con il voto della Giunta del Senato del 16 dicembre (che assegnava il seggio rimasto vacante a Fabio Porta del Pd), ma ancora non è diventata definitiva. Insieme al caso di quello che dovrebbe spettare al patron della Lazio, Claudio Lotito, la definizione di questi due seggi rischia di far ballare il voto per il Quirinale. 

Senatore Porta, ci può spiegare cosa sta succedendo?

La ringrazio, ma non sono ancora “senatore”; dopo il voto dell’aula sulla decadenza dell’ex Senatore Cario e quello successivo della Giunta per le elezioni con la mia indicazione a sostituirlo occorrerà aspettare che sia l’aula, com’è giusto, a esprimere l’ultima parola su questa lunga e complessa vicenda. Spetterà alla presidenza del Senato, una volta ricevuto il testo della delibera da parte del Presidente della Giunta, stabilire tempi e modalità di questo passaggio. Ovviamente spero che ciò avverrà a breve e coerentemente con i voti dell’aula e della Giunta. In tutti questi anni sono sempre stato rispettoso delle decisioni prese dal Parlamento e continuerò a esserlo fino alla conclusione del lungo iter del mio ricorso.

Le nostre comunità all’estero hanno preso molto a male l’intera vicenda, al punto di perdere fiducia nelle Istituzioni italiane, fatto dimostrato dalla scarsissima affluenza alle urne per le elezioni dei Comites. Ma come mai la politica ha affrontato la cosa con una leggerezza inversamente proporzionale alla gravità dell’accaduto?

Esiste un problema attinente a una crescente distanza tra la politica in generale e le nostre collettività che vivono all’estero; non è una questione riconducibile a questo singolo episodio, ma è chiaro che vicende di questo genere con al centro parlamentari eletti all’estero non hanno certo contribuito a rafforzare l’immagine della rappresentanza italiana nel mondo presso il mondo politico italiano. Devo però notare positivamente come proprio questa discussione, e mi riferisco al dibattito nell’aula del Senato sulla decadenza del senatore eletto a seguito di brogli elettorali, abbia evidenziato un interesse e una preoccupazione diffusa e trasversale sul futuro del rapporto tra l’Italia e le sue grandi comunità che vivono all’estero. Anche le elezioni dei Comites, con tutte le limitazioni alla partecipazione e le carenze organizzative delle quali si è ampiamente parlato, ci hanno indicato l’esistenza di una nuova “classe dirigente” italiana nel mondo con la quale interloquire per ridare nuova linfa a un sistema di rappresentanza in crisi, ma sempre essenziale per il futuro dell’Italia e non solo degli italiani all’estero. 

Nel corso della Conferenza Permanente del CGIE si è messa a fuoco la grandissima importanza della comunità italiana all’estero, ritenuta giustamente un cardine da sviluppare nell’immediato per godere dei benefici che essa può dare alla Madre Patria. Cosa pensa si debba fare in concreto per poter costruire finalmente un rapporto produttivo per tutti ma anche utile per il futuro del nostro Paese?

Sono convinto, lo ripeto, che ricostruire e rilanciare un rapporto costruttivo e virtuoso tra l’Italia e le collettività italiane e italiche presenti nel mondo sia un imperativo categorico e necessario; una scelta della quale dovrebbe farsi carico in primo luogo proprio la politica italiana con la “P” maiuscola. E mi riferisco alle grandi linee strategiche di politica interna ed estera, dall’approfondimento sul tema di una cittadinanza universale e inclusiva al rilancio del “Sistema Italia” nel mondo che veda le nostre comunità protagoniste dei Piani-Paese e dell’internazionalizzazione della nostra società oltre che dell’economia. Bisogna investire di più in scambi con l’Italia, borse di studio, promozione della lingua e non limitarsi solo al rilascio di passaporti o alla spedizione dei plichi elettorali. Numericamente all’estero vive la ventunesima regione italiana, lo si è detto più volte proprio all’ultima Conferenza Stato-Regioni-CGIE, ma questa regione vivrà soltanto se saremo in grado di mettere tutti i cittadini che la compongono sullo stesso piano di coloro che vivono dentro i confini italiani; ma per fare ciò occorre passare da un concetto e da politiche a volte ancora assistenzialiste e clientelari (in particolare in Sudamerica) a interventi attivi capaci di misurare l’effettiva rispondenza di questo universo al complesso di valori e comportamenti che fanno di una comunità non soltanto un elemento statistico, ma un soggetto partecipante e impegnato. 

Arturo Illia

(Il Sussidiario)