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di Massimo Adinolfi

 

D'accordo: non c’è più la nobiltà né il clero di una volta, e dall'antica pallacorda siamo passati al tennis professionistico (dài, Berettini: sarà per la prossima volta), ma la differenza principale con l’enorme tela incompiuta di Jean Louis David non è lì. Non è nemmeno nel centro della scena, nella folla di rappresentati del Terzo Stato che ha deciso di fare di testa sua, e che è dunque a un passo dalla rivoluzione (francese, 1789). È, semmai, alle pareti. David disegna grandi finestre, ampie tende agitate dal vento e soprattutto cittadini esagitati che dall'esterno si sporgono verso l'interno, per vedere coi propri occhi cosa accade nella grande sala, dove il giuramento sta per essere pronunciato.

 

Gli italiani, invece, hanno assistito allo spettacolo da casa, e il momento non è altrettanto solenne: proprio no. A pensarci, poi, nessuno vuol tagliare la testa al Re – si chiede al contrario all'inquilino del Quirinale di non fare fagotto e di restare ancora, tra i lampadari e gli stucchi –, ma questo Parlamento, via: si è preso la scena, e ci vorrebbe un pittore che immortalasse la grande giornata dell'orgoglio parlamentare. Della saggezza dell'istituzione, per dirla con Enrico Letta, se davvero si trattasse di saggezza del Parlamento e non piuttosto di insipienza dei leader, o presunti leader.

 

Sta di fatto che è andata così: i vituperati parlamentari,​ i peones chiamati in genere semplicemente a ratificare decisioni assunte altrove, la gran massa di deputati e senatori che qualunque sondaggio collocherebbe nel punto più basso della considerazione degli italiani, tutti costoro hanno suggerito - prima sommessamente, poi più decisamente, infine rumorosamente, con gran sfoggio di numeri - di prendere l’unica strada che i leader, o presunti leader, avevano escluso di dovere o potere percorrere.​

 

Sì dirà: che altro avrebbero dovuto fare, questi capitani di sventura, di fronte a un no così ostinato come quello che Mattarella ha pronunciato nelle ultime settimane? Direi: non quello che hanno fatto, segnalandosi vuoi per malinconica afonìa, vuoi invece per inconcludente chiassosità. Mettetevi nei panni di un Grande Elettore, che dovrebbe pendere dalle labbra del leader, o presunto tale, e che si sente suggerire il nome di Letizia Moratti, no di Marcello Pera, no di Carlo Nordio. Non fa a tempo a prendere nota, non ha ancora ritirato la scheda per votare che ecco: il leader, o presunto leader, gli cambia le carte in tavola e gli propone il nome di Maria Elisabetta Casellati. No, di Sabino Cassese. No, di Giampiero Massolo. L’elettore prova a prendere fiato, si arma di santa pazienza, ma c’è l'ultimo, spettacolare fuoco d'artificio, e gli viene servito ancora un nome, quello di Elisabetta Belloni. Però niente: non si vota nemmeno lei.

 

In Francia fecero la rivoluzione per molto meno. No, cambio idea anche io: per molto di più. Ma ce n'è comunque abbastanza per abbandonare al suo destino il leader, o presunto leader, e per mettere fine a questa vorticosa giostra. Dall'altra parte, altro stile, ovviamente, e molta più sobrietà. Ma diciamolo: anche una fragilità politica evidente, nel tentativo di governare i molti flutti delle correnti piddine – chi per Casini, chi per Amato, chi per Draghi, chi per Mattarella – e soprattutto nel correre dietro a Conte e alle sue indecenti scappatelle: Berlusconi no, la donna sì, Draghi proprio no, Belloni sì, Mattarella invece no, si sa che non si può. Però anche sì, se proprio mi ci devo accodare.

Sì capisce perché in questa festa dell'inconcludenza, in questo gran varietà dell'indecisione di leader, o presunti leader, le Camere abbiano potuto far sentire la loro voce. Però non moraleggiamo troppo, l’hanno fatta sentire non solo con lo scroscio di voti a Mattarella, ma anche mollando di brutto la Casellati: quelli erano franchi tiratori, e bisogna fare anche di loro l'elogio, se hanno permesso l'approdo a una soluzione condivisa, alla fine l’unica possibile.

 

Che istruttivo paradosso, comunque. Nella legislatura in cui primo partito sono i Cinque Stelle – di cui riassumo velocemente le principali posizioni in materia di riforme costituzionali: riduzione numero di parlamentari, riduzione indennità parlamentare, abolizione vitalizi parlamentari, abolizione libertà di mandato del parlamentare, e nel migliore dei mondi possibili abolizione del Parlamento tutto, perché tanto c'è la Rete – il Parlamento si è preso la sua superba rivincita. Ancor più paradossale è che ciò sia avvenuto anzitutto per mano loro, dei grillini stessi, che sono stati i primi a mettere nell'urna il nome di Sergio Mattarella. L'unica spiegazione possibile, che mi permetto di suggerire con maligna soddisfazione, è che esiste dopo tutto una pedagogia dell'istituzione, e che la teoria criminologica delle finestre rotte sarà anche semplicistica e discutibile sul piano sociale, ma vale qualcosa nel Palazzo, dove stare in mezzo a solerti commessi e seri funzionari, uffici studi e severi quadri alle pareti qualche effetto, evidentemente, lo fa. Controprova: l'intempestivo tweet di Grillo, rilasciato sull'onda dell'entusiasmo per il malaccorto endorsement di Salvini e Conte per la Belloni. Risultato: nessuna pedagogia istituzionale all'opera e vittoria del Palazzo sulla Rete per 3 a 0. Da oggi, i pentastellati che han votato il bis di Mattarella sono tutti ex-grillini: mi pare una degna conclusione della vicenda (mancano gli ex salviniani, ma penso arriveranno presto).

 

Cambio idea un'altra volta (sarò presto leader di qualche cosa?): no, non l'unica spiegazione possibile. Quella anzi più corrente è che il voto al Parlamento sia espressione di un mero istinto di sopravvivenza: i parlamentari tacchini hanno solo voluto spostare in avanti il giorno di Natale. Ma se anche così fosse – cambio idea: così è – non è proprio questo la politica, in linea di principio, e, oserei dire, universalmente parlando: modo di portare gli interessi particolari sull’interesse generale? Solo che questa operazione, che avrebbero dovuto condurre i leader, o presunti tali, l'ha fatta il Parlamento da solo, e tanti saluti ai leader. (A questo punto soltanto presunti: spero di averlo scritto, da qualche parte).