di Federica Olivo

"Chiarimento" è la parola che circola di più nelle dichiarazioni pubbliche del Movimento 5 stelle. Ma sembra solo un auspicio. Perché più che di chiarimento, in queste ore tira l'aria di resa dei conti. Da un lato Giuseppe Conte, dall'altro Luigi Di Maio. Dopo la faticosa settimana del Quirinale, il primo in un'intervista al Fatto accusa il secondo di "diverse condotte, molto gravi", di cui il ministro degli Esteri dovrà rispondere "non a Conte ma agli iscritti".

Il riferimento, per chi si è perso qualche puntata della saga, è alla linea tenuta da Di Maio durante i giorni delle elezioni del presidente della Repubblica. Diversa, per non dire lontana, da quella del presidente del Movimento. Il ministro degli Esteri, dal canto suo, non ha fatto mistero di non aver apprezzato la gestione contiana della partita per il Colle. Due esempi per tutti: mentre l'avvocato venerdì sera faceva una storia su Instagram con il solo hashtag "#UnaDonnaPresidente, Di Maio usciva con una nota nella quale definiva indecoroso il modo in cui il nome di Elisabetta Belloni (capo del Dis, tra i profili in corsa per il Colle qualche ora prima della conferma di Mattarella) era stato "buttato in pasto al dibattito pubblica". "Non è questo il metodo", chiosava. All'indomani, nel giorno dell'elezione del capo dello Stato uscente, mandava a dire a Conte: "Alcune leadership hanno fallito".

Con queste premesse, altro che chiarimento. Lo scontro tra i due nomi di peso del Movimento 5 stelle è scontato. Ma come si potrebbe consumare? Il barocco statuto M5s approvato nei mesi scorsi dà a Conte, in linea teorica, la possibilità di far fuori Di Maio. Ma esiste anche l'opzione contraria. Il problema è che si tratta di strade abbastanza tortuose, oltre che difficilmente percorribili in un soggetto politico spaccato a metà.

Opzione uno: come può fare Conte a cacciare Di Maio? Il riferimento dell'ex premier agli "iscritti" non è casuale, perché la testa di Di Maio può essere messa in gioco davanti all'assemblea. Secondo l'articolo 10 dello statuto, normalmente l'adunanza degli iscritti può essere convocata (in streaming o in presenza) con un preavviso di tre giorni. Se c'è urgenza bastano 24 ore di anticipo. Ma se l'ordine del giorno è la sfiducia di una figura apicale il preavviso deve essere di otto giorni. Luigi Di Maio fa parte di questa categoria, essendo componente del comitato di garanzia insieme a Virginia Raggi e Roberto Fico. Ammesso che Conte voglia porre la sfiducia a Di Maio davanti agli iscritti, dovrebbe sperare poi che all'assemblea partecipi "almeno la maggioranza assoluta degli iscritti aventi diritto al voto".

Sembra ancor meno percorribile la strada della deliberazione del collegio dei probiviri: bisognerebbe intanto individuare la "colpa" di cui si è macchiato il ministro degli Esteri. Lo statuto dei 5 stelle offre un elenco fantasioso di possibilità per le sanzioni: dalla mancanza di coordinamento con gli altri iscritti al compimento di atti diretti ad alterare il regolare svolgimento delle procedure per la selezione dei candidati, da comportamenti che frenano la partecipazione degli iscritti alla violazione degli obblighi assunti all'atto di accettazione della candidatura. Individuata l'infrazione che fa al caso di Di Maio, si aprirebbe una procedura, un processo vero e proprio. Non a un iscritto qualsiasi contro il quale puntare il dito è più semplice, ma contro uno dei profili più importanti del Movimento. Difficilmente, però, un iter così lungo - che peraltro dovrebbe essere affrontato da Fabiana Dadone e Riccardo Fraccaro, altri due volti storici dei 5 stelle - sarà considerato utile in vista di un redde rationem che, al più, può consumarsi nei prossimi giorni.

Opzione due: può Di Maio sfiduciare Conte? La risposta è che potrebbe anche provarci, il problema è che poi rischia di cadere pure lui. Sempre secondo le norme dello statuto, infatti, il comitato di garanzia - e quindi in questo caso la triade Di Maio, Fico, Raggi - può sfiduciare con una delibera il presidente. Nell'articolo 17 dello statuto si spiega, però, che questa delibera poi deve essere confermata dalla maggioranza dell'assemblea, a patto che si raggiunga il quorum dei partecipanti. Se l'adunanza degli iscritti - convocata "senza indugio" dal garante - non conferma la decisione del comitato di garanzia, l'organo decade immediatamente. Un'operazione piuttosto rischiosa, che presupporrebbe intanto che Fico e Raggi fossero d'accordo con Di Maio. Quanto a Fico, il suo ruolo di presidente della Camera in questi giorni gli sta imponendo il silenzio. Con la Raggi, invece, il ministro degli Esteri ha avuto un lungo colloquio oggi. L'oggetto della discussione, per ora, non è trapelato.

Mentre tra l'ex premier e il ministro degli Esteri si consuma uno scontro a distanza, a congelare tutto potrebbe pensarci un tribunale. Il giudice di Napoli esaminerà domani il reclamo presentato da alcuni attivisti M5s per ottenere la sospensione dell'efficacia delle modifiche statutarie e della elezione di Conte alla carica di Presidente del Movimento. La decisione dovrebbe essere adottata - spiega uno dei legali che rappresenta i ricorrenti, Lorenzo Borrè - presumibilmente nel giro due settimane. La pendenza del reclamo potrebbe mettere in stand-by il litigio nato a Roma.

Che si assuma la prospettiva di Conte o quella di Di Maio, comunque, l'impresa per tentare l'allontanamento del rivale è ardua. E non è solo una questione di procedure.