di Paolo Della Sala

La natura è al centro di un discorso continuo ma inconcludente, forse perché l’ambientalismo riguarda solo le élite. Chi ha fame non si fa scrupoli nell’ammazzare un pollo per dare da mangiare ai figli. Oppure chi sta su un monte non dice “viva il lupo” invece di “crepi”, visto che quell’animale gli mangia agnelli e pecore. Nelle città occidentali dove si intravvede una natura più virtuale che reale si cominciano a vendere cibi vegani per cani e gatti. Può essere giusto che almeno le élite si pongano il problema, ma finora l’ambientalismo è stato soprattutto una crociata… quella per i pannelli solari e fotovoltaici; poi quella dell’idrogeno predicato da Jeremy Rifkin; arrivarono poi l’eolico e l’elettricità universale (senza dire come produrla). Adesso siamo nel pieno della crociata per l’auto elettrica.

Le élite, orfane della caduta del marxismo e della fede, usano l’ambientalismo come una nuova religione. La parola d’ordine è “salviamo il mondo”. Forse servirebbe – oltre a un approccio più scientifico – un concetto meno disneyano di ambiente. Sono pochi gli artisti e gli intellettuali che hanno parlato di natura senza tener conto della sua crudeltà. Jean-Jacques Rousseau è il Dante Alighieri di una cancel culture in cui i cani “non possono” ammazzare un bambino, in cui un’alluvione o una mareggiata sono colpa dell’uomo e non della realtà. Johann Wolfgang von Goethe e Giacomo Leopardi consideravano la natura come “matrigna”, e contestavano l’ingenuità di Rousseau e il cauto ottimismo illuminista, ridimensionato dagli esiti della Rivoluzione francese. Samuel Taylor Coleridge ne “La ballata del vecchio marinaio” dà il via alla poesia del Male con la descrizione dell’uccisione di un albatro, simbolo di innocenza. Herman Melville è più esplicito: “Moby Dick” è il segno di un regno anti-edenico dove il male esercita il suo potere con figure abissali. Il poema “Christabel” di Coleridge ripropone una natura demoniaca che ha ragione di una giovane vergine, con la voce e i modi di una ammaliante strega lesbica.

“La maschera della morte rossa” di Edgar Allan Poe è di una attualità sconcertante: il re Prospero (nomen oppositum omen) si rinchiude con la corte nel suo castello, sperando invano di evitare una epidemia che sta uccidendo tutti gli abitanti del regno. Il compositore russo Alexander Skrjabin a inizio Novecento ha scritto: “Ho cercato consolazione nella nuova primavera, nei fiori appena aperti, ma non l’ho trovata”. La sua risposta sarà: può esistere una musica in grado di distruggere il Mondo? L’idea di Skrjabin era quella di creare una musica per distruggere il Mondo salvandolo dall’umanità. Skrjabin un secolo fa annotava che l’apocalisse planetaria sarebbe stata causata dal riscaldamento globale. Era molto mistico, così da essere un seguace della teosofa Madame Blavatsky. Quando morì – nel 1915, nel mezzo del Primo macello mondiale – Skrjabin stava lavorando ad alcuni accordi e melodie in grado di condurre l’ascoltatore verso l’equivalente dell’“Apocalisse di San Giovanni”. Skrjabin non fece in tempo a completare il suo Mysterium, equivalente inverso dell’Arca di Noé in cui uccelli, felini, bovini, insetti, uomini si sarebbero auto-immolati radunandosi alle falde dell’Himalaya per un concerto rituale di sette giorni, che avrebbe distrutto l’universo. Prefigurava così un Isacco che si auto-immola, perché forse ha visto nel fondo della Storia gli abissi di Auschwitz. Skrjabin morì giovane e lasciò solo una parte del Preludio del Mysterium. Il compositore Alexander Nemtin riprese quel preludio incompiuto in una sua opera nel 1996. Non successe niente di grave.

In Russia è diffuso l’autolesionismo di massa. La setta degli Chlysty praticava l’auto-evirazione o l’erotismo collettivo contro il sesso di coppia, ritenuto fonte di ogni male. Gli skopcy nel Settecento affermavano che il pene ricorda il serpente della genesi, e quindi andava estirpato dal corpo. Ancora nel 1929 erano presenti in Urss 2000 skopcy, poi eliminati dalla apocalisse stalinista. Episodi di autocastrazione e asportazione dei seni si sono registrati nelle zone rurali sovietiche fino al 1951.

Salvare l’ambiente, o distruggere se stessi per salvarlo, sono parte di una comune forma di religiosità. Oggi la natura è reale e digitale, domani sarà solo virtuale? Le élite ecologiste tengono conto di ciò?