DI ALESSANDRO DE ANGELIS

Ops, lo statuto non c’è più, quello scritto di suo pugno dall’avvocato dal popolo, che prima di essere elevato a difensore dei poveri italiani, vantava lo sfolgorante curriculum di giureconsulto della Magna Grecia, da Volturara Appulia allo studio di Guido Alpa (chissà se gli ha dato una mano o confidava che l’allievo avesse superato il maestro), insomma roba seria, avvocato vero, civilista, docente che insegna agli studenti leggi e norme, libretto alla mano “promosso”, “bocciato”. Pure lo statuto per farsi nominare è riuscito a sbagliare, come un sarto che toppa il vestito per sé o per il figlio, il medico che canna la diagnosi su uno che gli sta a cuore, gli studenti da lui rimandati alla prossima sessione.

Magari la politica non si improvvisa, ma la professione, anni di studio, teoria e pratica, nella vita sono una certezza. Accade così per molti, ma non per tutti, ennesimo prodigio del casalinismo, il titolo ostentato come una pochette, effetti speciali l’eloquio pomposo che spiegò al popolo chiuso in casa che la nonna è congiunta la fidanzata no, ma i cani si portavano a spasso per andare dalla fidanzata.  Manco i garbugli azzecca, incarnazione vivente del contrappasso individuale e collettivo: l’incompetenza elevata a leadership, con buona pace anche di coloro che lo insignirono del titolo di “punto di riferimento dei progressisti europei”, pena accessoria, per loro, un sonoro vaffa. Eccolo qua, il gran finale: un Movimento, nato per processare il sistema e finito a carte bollate, che evidentemente con i tribunali ha qualche problema, a partire dal fondatore, vittima della principale norma voluta nella spazzacorrotti e lasciamo stare il figlio per carità di patria e garantismo, a chi non l’ha rinnegato.

Quando, come si suol dire, la realtà supera la fantasia, in quest’incrocio tra Hitchcock e Castellano e Pipolo, thriller e commedia all’italiana. Appena persa la causa, quando uno normale si sarebbe chiuso in casa dalla vergogna, si precipita a Otto e Mezzo per scolpire l’immortale dichiarazione: “La mia leadership non dipende dalle carte bollate, risponderemo con un bagno di democrazia”. Così disse il perenne nominato, che mai si è confrontato con la sovranità popolare, mai con un congresso, con un voto vero, messo a capo di una compagnia nata sulle carte bollate altrui al primo grado di giudizio, ignaro, in definitiva, di aver realizzato un sogno: quello delle origini di un non partito, con un non leader, con un non statuto realizzato. E a scriverle così, le norme, davvero “uno vale uno”, o “uno vale l’altro”, anzi tanto vale sorteggiarli a caso anche i leader come si propose, a un certo punto per i parlamentari.

Con un’alzata di spalle l’avvocato, dedito a scrivere di suo pugno, mesi di bozze, riflessioni, consigli rifiutati, lo statuto della sua incoronazione, liquidò il fatal ricorso: “Facciamo pure”. E il tribunale di Napoli ha fatto: leadership sospesa, azzerate le norme, un vero casino. Non solo il presidente, ma anche i vice, i comitati, compreso quello di garanzia e lo statuto stesso. Mica male, nel giro di 48 ore i due principali duellanti, si ritrovano senza incarichi di partito, il partito senza guida, perché – udite udite – non può neanche tornare il mitico Vito Crimi col mitico direttorio, ma – avvocà, carta canta – tocca a Grillo, unica carica in campo. Almeno così pare, dopo un pomeriggio in cui i primi a non capire il famoso “adesso che succede” sono proprio loro, ci vorrebbe proprio un avvocato di quelli bravi. Anche se, dopo approfondita riunione a casa dell’avvocato, il reggente che fu, Crimi, annuncia che Conte sarà rivotato a breve, con tanto di sberleffi in tempo reale della Casaleggio associati su questo spettacolo.

Chissà, litigheranno anche su questo. Nel frattempo si è capito che Grillo dovrebbe indire – occhio al gioco di parole – una nuova votazione, bene, per un direttivo, bene, ma col vecchio statuto, ecco. Insomma, abbiamo scherzato, ed effettivamente una risata li seppellirà, anzi li sta seppellendo, sempre meglio che piangere: a prenderla sul serio, è una tragedia a pensare a questo circo come al partito di maggioranza relativa che, nella sbornia collettiva, ha espresso per anni la guida del paese, e qualcuno li vota ancora. E qualcun altro parla di “campi larghi”, non da arare per trovare loro un’occupazione degna, ma politici per riportarli al governo a scrivere leggi, norme, decreti per sessanta milioni di italiani, altro che statuti. Ma veramente ridiamo per non piangere...