di Alessandro De Angelis

Le famose fonti del Nazareno, cioè lo spirito democratico in purezza, in attesa che qualche corpo parli, fanno sapere che, per quel che accade nei Cinque stelle, "c'è grande preoccupazione" - che un po' come il nero per le donne: "chic" ma non impegna – e che il Pd "non si intromette nelle dinamiche interne" – ci mancherebbe, gente educata – nonostante quel birbante di Casalino vada spinnando in giro "pensino alle loro di divisioni, che sennò avremmo eletto la Belloni". Preoccupazione, ca van san dire, aumentata dopo la sberla di Grillo, che lascia intendere in che diavolo di pasticcio si sono cacciati, altro che "facciamo un'assemblea e torna Conte". Sarà roba di mesi, e nel frattempo l'avvocato non è capo di niente, su Rousseu non si può votare, sull'altra piattaforma, se si vota, piovono ricorsi, e così via, si stanno liquefacendo.

Amletico dilemma, con chi fare il "campo largo", che nel frattempo si è ristretto? Nel frattempo Renzi maramaldeggia, Calenda se la gode perché "l'avevo detto che erano una banda di incapaci", se si votasse domani mattina ci sarebbe da tremare, meno male che Sparta, intesa come centrodestra, non ride. È pure finita la pandemia, almeno nella percezione collettiva, l'unico vero ubi consistam di un'alleanza mai nata, sotto il vaccino niente. What's the phone number of Cinque stelle? Grillo? Chissà. Di Maio, forse. Conte, magari trova un avvocato che l'aiuta. Nell'incertezza la linea del Pd è quella classica, stare fermi, così non si sbaglia mai: se vince Conte, bravo Conte; se vince Di Maio, bravo Di Maio, se non vince nessuno, "l'avevamo detto", secondo il noto andazzo per cui gli eventi si subiscono senza determinarli, come ai tempi del "Conte o morte", diventato "viva Draghi".

"C'è poco da gioire", dicono pensosi i dirigenti che giovedì si riuniranno in segreteria per un'analisi di fase: c'è la destra, comunque va tenuto il fronte, anche se alle scorse amministrative l'alleanza si è fatta solo a Napoli, dove i Cinque stelle furono irrilevanti, ora si vota in settecento comuni e nessuno sa se si va assieme oppure no, Patuanelli ha iniziato a fare opposizione nel governo sull'ecobonus, qualcuno lì dentro comincia a teorizzare l'appoggio esterno a Draghi, e meno male che sono in altre faccende affaccendati. L'insuperabile Aldo Tortorella, dirigente del Pci di quelli colti, raffinati, col dono dell'ironia, coniò la formula di "vittime delle proprie macchinazioni" per quegli strateghi spocchiosetti che finiscono in braghe di tela. Qui le vittime sono certo quelli finiti a carte bollate, ma pure di chi, affamato di tornare al governo, li insignì del titolo di "punto di riferimento dei progressisti europei", costruendo una teoria di progresso su un'esigenza tattica.

Come spesso accade in un partito adattivo, dove erano tutti bersaniani (o quasi) fino all'arrivo di Renzi, tutti renziani (o quasi) fino all'arrivo di Zingaretti, tutti contro le larghe intese, poi tutti a favore, anche il bettinismo, malattia senile del comunismo, trova ormai come unico interprete solo l'autore. Provenzano, durante il Quirinale diceva fuoco e fiamme di Conte, Orlando non ne parliamo, Boccia è tornato al lettismo-riformismo. Almeno lui, Enrico Letta, una sterzatina rispetto alla fase della totale subalternità dell'epoca precedente, l'ha data, vuoi per cultura, vuoi perché ambisce a tornare a palazzo Chigi, vuoi perché c'è Draghi.

Però, ora gli frana lo schema della "coalizione", che non ha mai abbandonato, mica un dettaglio. Se il povero cronista prova a chiedere se qualcuno ha in mente un'iniziativa, gli rispondono, con l'aria di chi ti spiega il mondo: l'alternativa quale sarebbe? Guai a pensare che la crisi altrui può essere un'opportunità e che, in politica, l'alternativa è andarsi a riprendere i voti persi, riconquistare un popolo deluso, e così via, anche nell'ambito di un'alleanza gestita con spirito esigente.

Tre anni buttati. E se si votasse domani, per fronteggiare la destra, rispolverando il pericolo fascista - dove una fascista è quella che vai a trovare ad Atreju e l'altro è quello con cui sei al governo - la linea è una santa alleanza che, andando da destra verso sinistra prevede: Bonino, Calenda che non vuole Renzi e Conte, il Pd, Speranza, Fratoianni e i verdi di Bonelli, Conte, che non vuole Calenda, sempre se resta leader perché con Grillo non si sa mai, Di Battista no. Fotografia del fallimento del maggioritario che ha amplificato i mali per curare i quali era stato adottato: trasformismo, frammentazione, partiti personali.

Tre quarti di Pd, praticamente tutti tranne il segretario suggeriscono, anche dopo l'implosione dei Cinque stelle di tornare a quel proporzionale che, tra l'altro, è la richiesta che il Pd mise nero su bianco nel momento in cui accettava, in nome della ragion di governo lo scellerato taglio dei parlamentari, a proposito di subalternità. Rimasta lì. Prima o poi torneranno alla carica: Franceschini, Orlando, Provenzano, Orfini. C'è solo un problema, che il proporzionale è il sistema delle identità forti, dei partiti radicati, delle identità definite, cosa che il Pd non è più. Le ammucchiate sono contro, qui devi dire chi sei, mica solo che sei preoccupato. La gente, come noto, non vota la preoccupazione.