PORTO FRANCO
di Franco Manzitti

 

Quella scritta che lampeggia sui tetti del centro di Genova, al quattordicesimo piano del grattacielo con le radici nei “caruggi”, al bordo di Piazza De Ferrari, non si spegnerà.

La Carige vive. Ora ha un nuovo padrone romagnolo, la Banca Bper, origine modenese, quarto grande polo bancario italiano, prossimo a diventare il terzo. Ma resterà Carige, nessuno cancellerà quella scritta su alcuna delle centinaia di filiali della banca dei genovesi e dei liguri e nessuno potrà cancellare l’anima all’Istituto che rappresenta la più antica tradizione in questo mestiere di tenere i soldi, farli fruttare, prestarli per iniziative di sviluppo e ricavarne energie per crescere.

Il lungo calvario di Carige è finito con un’operazione che avrà il suo closing il prossimo 30 giugno, ma l’accordo per rilevare l’80 per cento del capitale di Carige dal Fondo Interbancario è firmato.

Dopo il trenta giugno Bper potrà godere dei benefici fiscali delle imposte differite, 370 milioni, che insieme alla ricapitalizzazione permetteranno di coprire i costi di integrazione e ristrutturazione. La firma di Bper è di Piero Montani, dal 2021 amministratore delegato, un genovese  (e sampdoriano) che conosce bene Carige per esserne stato l’amministratore delegato durante la tempesta seguita alla drammatica uscita di Giovanni Berneschi e per avere pagato un prezzo pesante con il licenziamento in tronco subito per mano dell’allora azionista di maggioranza Vittorio Malacalza, che liquidò anche il presidente Cesare Castelbarco Albani.

Salvo poi perdere la causa che intentò loro per presunti danni subiti dalla banca a seguito delle loro decisioni.

La firma del Fondo Interbancario che completa e assicura tutta l’operazione è di Salvatore Maccarone: 1 euro simbolico per acquistare l’80% in mano a FTD, previa ricapitalizzazione a carico del Fondo  per 530 milioni.

Bper poi lancerà un’offerta pubblica di acquisto sul restate 20% del capitale. Il via del Fondo è stato dato all’unanimità.

In questo modo il fronte emiliano, guidato da Montani, gode dell’ingresso di 22 miliardi di attivi, 800 mila clienti, 12 miliardi di impieghi  e 380 filiali e  si conferma la quarta banca italiana con 2280 filiali e 5 milioni di clienti.

Facile sottolineare che in questo modo Bper “invade” la Liguria e una parte alta della Toscana. Insomma è la più accreditata inseguitrice di Intesa e Unicredit e insieme la candidata numero uno a diventare quel terzo polo bancario italiano.

Ma Genova e i genovesi che cosa guadagnano e cosa perdono con un accordo che, comunque, cancella la banca del territorio genovese, e fa perdere a Genova e la Liguria una delle più importanti imprese con le radici nella nostra città e una storia lunga e profonda, che ora in parte sanguina e in parte rappresenta il nostro sviluppo recente, economico, civile, sociale, culturale?

Cosa succederà di Carige, della Cassa di Risparmio, come era chiamata fino a qualche decennio fa?

La storia economica ha già spazzato via da Genova marchi come quello della Banca San Giorgio e del Banco di Chiavari. Un destino simile aspetta Carige, che è stata per decenni la banca di casa, dai semplici cittadini clienti a chi cercava su questo territorio uno sbraccio finanziario per le piccole e grandi attività?

Bisogna riconoscere che quella raggiunta da Giuseppe Boccuzzi, presidente, e da Francesco Guido,  amministratore delegato è la migliore soluzione possibile, anche se gli effetti dell’operazione saranno profondi.

Carige arriva a questo punto dopo una serie di tempeste che potrebbero costituire veramente la trama di un giallo finanziario in piena regola.

Si parte dalla massima espansione, con la creazione di Carige Italia, sotto la guida travolgente di Giovanni “Alberto” Berneschi, successore di Gianni Dagnino, salito al vertice da semplice impiegato, in quel fatale quattordicesimo piano,  e si arriva a rivendicare la guida della settima banca italiana.

Si arriva all’espansione territoriale con gli sportelli aperti ovunque. E al ruolo non solo bancario- finanziario di Berneschi, divenuto il deus ex machina genovese non certo limitatamente alla finanza.

Quel quattordicesimo piano del grattacielo si era trasformato in una specie di sancta-sanctorun, dove si approdava, tra saloni pieni di opere d’arte, su tappeti pregiati, negli uffici presidenziali, per chiedere e, eventualmente, ottenere o semplicemente raccomandare.

Dal politico più potente, dall’imprenditore più capiente al semplice cittadino risparmiatore…. Tutti potevano passare di lì.

Per anni e anni il vero potere era racchiuso in quella specie di scrigno prezioso, con vista sui tetti d’ardesia, davanti a quel signore che parlava spesso in stretto genovese, deciso e decisionista, determinato, ultrasicuro.

Poi all’inizio del 2010 è incominciata a arrivare la tempesta, sotto forma delle ispezioni della Banca d’Italia, una dopo l’altra a scoperchiare irregolarità inimmaginabili, che sembravano all’inizio  proprio la trama di un film e, invece, erano la realtà di inchieste giudiziarie esplosive, che aprirono capitoli di arresti eccellenti come quello di Berneschi stesso e perfino della moglie, di sequestri milionari, di gigantesche truffe con i racconti romanzeschi di viaggi all’estero degli amministratori Carige con valigie piene di banconote.

Le fondamenta di Carige hanno tremato a lungo per il terremoto che era incominciato allora e che ha visto susseguirsi un colpo di scena dopo l’altro. Per esempio l’arrivo, che sembrò salvifico, di Vittorio Malacalza, grande imprenditore, uno dei capitalisti più “liquidi” d’Italia e quel brusco cambio dei vertici (cui ne seguirono molti altri, tra i quali niente meno che un ex presidente della Corte Costituzionale, Giuseppe Tesauro, tra il 2016 e il 2018), poi gli aumenti di capitale a raffica, nel disorientamento dei piccoli azionisti travolti da cambiamenti epocali e imparabili, i rischi di fallimento,  i commissariamenti della Bce, la fuga dei correntisti e degli investitori……

Un vero cataclisma che ha fatto  tremare la città, le decine di migliaia di correntisti, larghi strati dell’imprenditoria, ma anche il “piccolo” dell’economia genovese,  commercianti, artigiani, appesi ai finanziamenti, ai mutui della banca-mamma.

Per tutti questi motivi dopo tante trattative, sussurri e grida sul destino finale, l’operazione che chiude una lunga fase di incertezza  appare come l’unica strada possibile.

Meglio questa soluzione di un intervento di grandi gruppi, magari stranieri, come poteva essere Credit Agricol o Bnp Paris (di cui si era parlato).  I colossi d’Oltre Alpe, ma anche i nostri, si muovono infatti con logiche che spesso portano alla cancellazione di ciò che viene acquisito, che viene diluito nell’entità maggiore. E così Carige sarebbe finita.

Invece oggi Bper nel suo comunicato dice chiaro: “La forte valenza strategica e industriale dell’operazione consentirà al gruppo di crescere in territori oggi limitatamente presidiati, consolidando il posizionamento competitivo……”.

Vuol dire che il destino di Carige sarà, almeno in una fase iniziale, quello di presidiare  il suo storico territorio, restando il punto di riferimento dei genovesi e dei liguri.

Resterà anche il marchio? Chi conosce Montani, genovese, con un curriculum incominciato in piazza De Ferrari, al Credito Italiano, giura di sì. In Liguria se dici banca dici Carige. E l’amministratore delegato del gruppo acquirente lo sa bene.

Si può allora concludere che il periodo più buio è finito.

Il tempo, le vicende diverse di questo terremoto finanziario, rapido e letale (basta anche pensare al dissolvimento dell’azionariato della Fondazione, che era arrivata a detenere il 42 per cento della banca) hanno fatto giustizia di molte sicurezze.

Per i Malacalza vale l’assioma che essere grandi imprenditori non vuol dire essere banchieri. Per Berneschi vale il concetto che diventare il numero uno significa mantenere il senso delle proporzioni e scegliere bene i compagni di viaggio.

Per i politici genovesi e liguri, un tempo protettori o interlocutori della Banca, resta la lezione che è pericoloso subordinarsi troppo al potere finanziario, delegandogli decisioni e strategie. Per l’ establishment economico e produttivo resta, invece, una lezione di moderazione nei giudizi sui salvagenti lanciati alla banca da equipaggi non attrezzati e sui rapporti da tenere con gli istituti di credito sul territorio: tra guerra e pace ci sono anche altre vie per confrontarsi.

Resta l’ultima questione in bilico: la capacità degli acquirenti di avere una lungimiranza strategica nel capire e valorizzare le forze attuali di Carige. E’ il discorso delicato che sta a cuore al sindacato e , più generalmente, all’occupazione genovese che una grande ristrutturazione può minacciare. Bisogna salvare i 3200 dipendenti, superstiti da tante, pesanti ristrutturazioni, i 380 sportelli, gli 800 mila clienti. I crediti deteriorati sono passati da 7 miliardi di euro a 500 milioni. Primi passi fuori dall’abisso. Quello di oggi è, forse, decisivo.