(foto depositphotos)

di Anonimo Napoletano

Valanghe di soldi dell'Unione europea negli ultimi decenni anni non sono servite a migliorare la situazione economica del Meridione d'Italia. Anzi. Il divario tra il Sud del Belpaese e le zone più sviluppate del Continente sta drammaticamente aumentando. Qui, come in Grecia, Portogallo e parte della Spagna, è scattata quella che gli economisti definiscono la “trappola dello sviluppo intermedio”. Vale a dire che una regione svantaggiata, a seguito di investimenti pubblici comincia a crescere ma solo fino ad un certo punto, dopo di che la tendenza si arresta o addirittura si inverte, come nel caso del Mezzogiorno, e si cade nel declino e nella stagnazione. A denunciare questo fenomeno è stata la commissaria europea alla Coesione, Elisa Ferreira, in occasione della presentazione dell'ottavo Rapporto sulla Coesione e lo Sviluppo dell'Unione. Vediamo i dati.

Se la provincia di Bolzano tra il 2001 e il 2019 ha avuto una crescita del Pil procapite dello 0,63%, la Lombardia dello 0,17%, l'Emilia Romagna dello 0,02% e la Basilicata, unica eccezione nel Meridione, dello 0,42%, le regioni del Sud hanno avuto tutte un calo: Molise (-0,50%), Sicilia (-0,48%), Campania (-0,41%). Vale a dire che, nonostante i massicci investimenti dei Fondi europei, il Pil procapite è peggiorato, la ricchezza è diminuita. La regione che va peggio è la Calabria. Qui il Pil procapite è stato inferiore al 75% della media dell'Unione europea per un periodo di 19 anni. Campania, Abruzzo, Sicilia e Sardegna hanno avuto un Pil inferiore alla media Ue, tra il 75 e il 100%, per oltre 15 anni. Mentre Basilicata e Puglia hanno avuto un Pil pure inferiore alla media Ue tra il 75 e il 100% ma per un numero di anni compreso tra 10 e 14 anni.

Al contrario, Valle d'Aosta, Lombardia, Liguria, Toscana e Umbria hanno avuto un Pil superiore alla media europea per un periodo di 15-19 anni, mentre Trentino Alto Adige, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche e Lazio registrano un Pil superiore alla media europea per un periodo di 10-14 anni.

Cosa vogliono dire questi numeri? Che i Fondi europei di coesione non producono risultati in termini di aumento di ricchezza? Nel Sud Italia è così, ma sarebbe sbagliato attribuire le responsabilità ai Fondi europei. Lo studio presentato dalla Commissaria Ferreira, al contrario, dimostra che in altri Paesi, in particolare nell'Est Europa, i Fondi funzionano bene e fanno registrare un aumento dei Pil procapite. «Dal 2001 -spiega la Commissione- le regioni meno sviluppate dell’Europa orientale stanno recuperando terreno rispetto al resto dell’Ue. Allo stesso tempo, tuttavia, molte regioni a reddito medio e meno sviluppate, in particolare nell’Europa meridionale e sudoccidentale, hanno sofferto una stagnazione o un declino economico».

Perché questo doppio binario? La prima risposta è proprio nella cosiddetta “trappola dello sviluppo”. Il Meridione d'Italia, per esempio, si trova ad avere meno competitività dei Paesi dell'Est quanto a costo del lavoro, e meno produttività dei Paesi del Nord quanto a rendita del lavoro. Ragion per cui gli investimenti privati vanno altrove. Ma non basta. È la stessa commissaria europea a puntare il dito contro i governi locali e a parlare di errate strategie di investimento fatte fino ad ora nel Sud Italia.

In primo luogo, è avvenuto che alcuni Stati membri, in presenza di Fondi europei, hanno ridotto i propri investimenti pubblici nelle aree depresse. Cioè a dire, invece di sommarsi, gli investimenti europei si sono sostituiti a quelli dei singoli Stati. Sono ancora una volta i numeri a parlare. Nel periodo 2007-2013 i Fondi Ue costituivano il 34% degli investimenti pubblici totali (vale a dire che il 66% li metteva lo Stato nazionale). Invece, nel periodo 2014-2020 i Fondi Ue hanno rappresentato il 52% degli investimenti pubblici totali. Vuol dire che gli investimenti degli Stati membri si sono ridotti.

Ferreira ha anche sottolineato che questa “trappola” è causata dalla tendenza in certi Stati membri, come l'Italia, a concentrare in pochi poli nazionali l’ulteriore sviluppo economico, invece che decentralo in tutto lo spazio territoriale del paese. Ed è importante anche, dopo che sono stati già raggiunti livelli medi di reddito, spostare gli investimenti dalle infrastrutture di base al finanziamento della formazione altamente qualificata, dell’innovazione, del miglioramento della qualità dei servizi e delle amministrazioni locali (la “governance”).

«Nel Sud Europa – ha spiegato Ferreira – le regioni hanno cominciato da livelli di reddito molto bassi e inizialmente hanno beneficiato di un aumento delle infrastrutture. Gli investimenti sono stati incanalati verso la costruzione di strade o di altre infrastrutture di base come per esempio in campo sanitario. Questo crea una forte spinta allo sviluppo, come oggi si vede chiaramente nei paesi dell’Est, dove c’è un costo del lavoro relativamente basso che attrae gli investimenti. Ma quando si raggiungono livelli di Pil procapite più alti, diciamo il 75% della media Ue, quando questa prima fase dell’investimento primario è completata, ci devono essere ulteriori riflessioni, più elaborate, nella nostra strategia di sviluppo per passare alla fase successiva». Questo, nel Mezzogiorno d'Italia non è accaduto.