di Pietro Di Muccio de Quattro

Se io fossi Adolf Putin, darei un’occhiata al bignami di storia prima di muovere i soldatini la sera in camera per allenarmi. La cattiveria da sola non basta a rimettere il mondo a posto, perché le nazioni e i popoli sono resistenti alle cannonate ed ai carri armati, lo so. Però m’è rimasto poco tempo. Devo passare alla storia. Anzi, entrare nella storia. Finora non mi è riuscito perché non sono stato terribile come i miei idoli imperiali. Di morti ne ho fatti a migliaia, in blocco oppure individualmente. Sarà per l’educazione impartita dal Kgb che mi vengono meglio gli avvelenamenti e gli assassini mirati, in patria e all’estero. Penso che l’opposizione sia una fisima delle degenerate democrazie liberali, imbelli e inconcludenti, tutte chiacchiere e diritti umani, che io sconosco. Mi si confanno i diritti disumani. Con il petrolio e gas che mi ritrovo, con i miliardi che ho messo da parte per la vecchiaia, non dovrei preoccuparmi più di nulla e godermi gli ultimi anni di vita. In questo mi rivolgerei al mio amico Silvio per consigli.

Vivo blindato. Sono protetto contro tutto e tutti. Resto isolato giorno e notte. Addirittura copulo a distanza. Una vitaccia, altro che satrapo onnipotente! Insomma mi proteggo perché, lo confesso, il mio ideale è raggiungere Lenin nella teca di cristallo e giacere mummificato accanto a lui. In eterno. Tuttavia, sono indeciso se costruirmi sulla Piazza Rossa un mausoleo tutto per me. Certo non farò la fine di Stalin interrato sotto le mura del Cremlino. Lì troppo freddo e umido per le mie ossa. Invece da imbalsamato mi conserverei asciutto a temperatura costante.

Se io fossi Adolf Putin, pur con tutto il bene che mi voglio, avrei comunque dubbi sul presente e sul futuro, nonostante la vita mi abbia sorriso, anzi proprio perciò. Me l’hanno insegnato i miei amici cinesi, nonostante le nostre vecchie ruggini territoriali sul fiume Ussuri. Nostre per dire. Io non sono più comunista, nemmeno loro. Conservano il nome per indispettire il veterocomunista in me, che sono diventato tra i più ricchi al mondo e bacio le pile ortodosse. Ma eccola, l’etica praticata dietro la Grande Muraglia. Quando le cose gli vanno bene, il cinese si domanda: “Chi mi dice che è davvero un bene?”. Quando gli vanno male: “Chi mi dice che è davvero male?".

Sicché, se fossi Adolf Putin oppresso più di Amleto dai dubbi instillatimi dalla morale cinese, andrei a rovistare negli archivi del Cremlino alla ricerca del carteggio tra Stalin e Tito, due comunisti puri e duri che perciò si detestavano e, facendo mostra di gareggiare in durezza caratteriale e purezza ideologica, in realtà cercavano di accoppiarsi e scamparsi la pelle, reciprocamente. Il compagno Stalin aveva inviato vari sicari ad assassinare il compagno Tito, come fece con il compagno Trockij spaccandogli il cranio. Ma non gli riuscì con Tito, che li intercettò tutti e li uccise. Stufo di sterminare i sicari, scrisse a Stalin pressappoco così: “Compagno, se non la smetti di spedire scherani ad ammazzarmi, io te ne invierò uno solo e non ne serviranno altri”. Stalin capì. Tito gli aveva parlato nella lingua che il tiranno sovietico comprendeva meglio. Vissero sereni e contenti, d’allora in poi. Morirono vecchi a letto.

Manterrei il segreto assoluto su tale esplosivo carteggio, se fossi Adolf Putin. Sarebbe l’unico modo per campare tranquillo. Uccidere avversari, conquistare popoli, assoggettare nazioni non mi esporrebbe al rischio che Tito fece correre a Stalin. I miei ignari nemici democratici, dopotutto, pretendono di fermarmi colpendomi sul portafoglio soltanto.