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di Fulvio Abbate

Penso a Kiev, e un istante dopo provo vergogna per essere stato comunista. Osservo i crimini che in questo stesso momento sta compiendo l’armata russa di Putin in Ucraina e, appunto, non posso fare a meno di trovare osceno l’essere stato comunista. Sia detto senza neppure virgolettare. Leggere infine il sostegno politico che un ampio pezzo di mondo cosiddetto “antagonista”, ossia comunista o post, sta manifestando nei confronti di un criminale, mi appare del tutto irricevibile, altrettanto osceno, di più, infame. Così come le argomentazioni pretestuose che sempre spostano l’oggetto evidente della vergogna, del crimine, la presenza in carne e ossa delle vere vittime, dei morti lì sull’asfalto davanti agli edifici sventrati dai razzi a Kiev e nelle altre città ucraine. Argomentazioni tossiche di chi, appunto, minimizza, relativizza, mette tra parentesi i massacri in nome di una presunta complessità geopolitica che, in verità, si dimostra connivenza con la propaganda ufficiale nazi-comunista laureata d’infamia, dando seguito alle veline compilate dalla censura russa e della sua nomenklatura attuale.

Ravviso in alcuni individui, perfino di casa nostra, virtualmente presenti in piedi sui tank russi con il pugno chiuso sollevato, l’incancellabile ossessione paranoica per il “nemico di classe”, concetti interiorizzati sempre di segno comunista, nell’idea della militanza che si fa vigilanza e, in prospettiva, delazione. Plauso a sigle criminali come NKVD, GPU, KGB, STASI, FSB. Non dimentico l’istinto poliziesco, delatorio e diffamatorio dei comunisti, storicamente attestato nella loro praxis in difesa della propria determinazione statuale, di potere. Penso a quando, giorni della guerra civile spagnola, i trotskisti venivano tacciati d’essere “agenti socialfascisti” uomini di Hitler. Nella prospettiva della loro decimazione fisica. E intanto, i carnefici, rivolgendo ai semplici militanti del POUM, dicevano loro: “I vostri capi si sono venduti ai nazisti!” Un’infamia rimasta intatta nel modus operandi mentale. Su tutto, ragionando del presente, la convinzione che la prima responsabilità del conflitto in Ucraina appartenga all’Occidente e segnatamente sia il frutto avvelenato della politica, ai loro occhi criminale, degli Stati Uniti d’America, innalzando come prova storica il feticcio del popolo palestinese oppresso da Israele, così per implicitamente legittimare storicamente i massacri eventuali dell’armata russa in Ucraina.

Sono nato nel 1956, a dicembre, il massacro perpetrato allora dalle truppe sovietiche in Ungheria era già avvenuto. Il Pci di Togliatti, del quale sono diventato giovanissimo militante all’inizio degli anni Settanta, cui ho anche dedicato il mio primo romanzo oltre trent’anni fa, “Zero maggio a Palermo”, negando il valore di un possibile socialismo riformato da Imre Nagy, parlava di “fatti di Ungheria”, così per tacere che si trattava invece di una rivoluzione autoritaria e antisovietica. Non ho potuto dissociarmi allora, dalla culla, rimedio adesso davanti ai crimini che in nome e per ordine di Putin stanno avendo luogo. Crimini che ne sono la continuità sia pure sotto le insegne del nazionalismo sciovinista della Grande Madre Russia.

Mi vergogno di essere stato comunista, di avere semplicemente coabitato accanto a chi nutriva una modalità paranoica, prossima alla legittimazione della falsificazione, dell’infamia. Trovo oscene le parole di Oliviero Diliberto che dalla Cina, dove adesso lavora, riferisce le colpe del nodo Ucraino all’Occidente e alla Nato. Lo stesso Diliberto che quando in morte di Breznev fece listare a lutto la bandiera della federazione di cui era segretario in Sardegna. Trovo altrettanto ributtante la subcultura di certo mondo da centro sociale occupato autogestito che asseconda la versione falsa putiniana dei fatti. E il dato che molti di loro lo facciano con assoluta convinzione mi sembra assai più vergognoso, addirittura un’aggravante, rispetto a coloro che sono costretti alla difesa della politica criminale di Mosca perché nel libro paga di Putin.

Gli stessi che, decenni addietro, alle manifestazioni di piazza sollevavano le bandiere della ex Jugoslavia nella difesa del boia Milosevic, confortati anche dalle parole di Armando Cossutta. Provo orrore per il loro dispositivo mentale, che ho già definito paranoico, una questione, un nodo filosofico che va ben oltre l’etica, ma investe la piccineria di un pensiero autoritario che si ritiene in prospettiva palingenetico ossia destinato a trovare la fine più giusta della Storia. Rifiuto perfino di accettare la giustificazione consolatoria del “ma noi comunisti italiani eravamo diversi”. Anche nelle sezioni del Pci si continuava a coltivare il culto iconico di Lenin, tacendo che il sistema concentrazionario ha inizio con lui, sebbene sia stato il suo successore, Stalin, a normarlo.

Provo orrore al pensiero dell’esistenza sebbene residuale del piccino partito stalinista di Marco Rizzo, che ancora adesso difende l’infamia stalinista sempre a partire dal medesimo dispositivo mentale autoritario. Per onestà verso il mio sentimento di vergogna devo aggiungere però d’avere iniziato a provare orrore verso un certo mondo il pomeriggio del Primo Maggio del 1972, assistendo al modo in cui una signora allora sovietica, moglie di un funzionario comunista locale, imponeva ad un gruppo di cittadini sovietici in viaggio in Sicilia di restare al freddo, quando le fu chiesto per quale motivo non farli salire subito sulla nave che li avrebbe riportati verso il proprio paese, così rispose con tono piccato poliziesco: “Il comunismo è ordine!” Proprio quella sera ho cominciato a smettere di essere comunista, come ho anche raccontato in un pamphlet sul conformismo di sinistra pubblicato 15 anni fa. Si sappia che il mio disprezzo per la signora è ancora adesso intatto. Mi vergogno d’essere stato comunista.

Putin ha appena minacciato Finlandia e Svezia e i nazi-comunisti di casa nostra accusano l'Occidente d'essere responsabile dell’accaduto.

Nessuno spegnerà tuttavia il mio bisogno di ironia anche davanti all’infamia. Come ha appena scritto un amico, Carlo Grosoli, sulla mia pagina Facebook: “Ai loro occhi questa guerra è stata scatenata dal generale Custer per cambiare gli assetti geopolitici mondiali e favorire un nuovo secolo americano. La catena di comando sarebbe stata: Custer-Kennedy-Johnson-Clinton-Cheney-Obama-Biden. Ma come, non lo vedete tutti?”. No, vediamo semmai la vostra miseria morale. Mai più comunisti. Con le parole di Albert Camus: “Mi rivolto, dunque siamo”. La libertà è insindacabile.