Gente d'Italia

Manganelli in piazza e buio sulla rete ecco come Putin reprime il dissenso

 

 

di Federica Olivo

 

Repressione delle manifestazioni e internet silenziato. Per mettere a tacere il dissenso Putin usa due armi, che passano per la piazza e per la rete. Da un lato Mosca ha intenzione di disconnettersi dal sistema globale di internet entro l'11 marzo. Che, tradotto, significa isolamento digitale, difficoltà di inviare e ricevere informazioni ed elevato controllo da parte delle autorità. Dall'altro, nonostante i rischi che corrono, ci sono cittadini che continuano a scendere in piazza contro Putin e contro la guerra. Non solo a Mosca o a San Pietroburgo, ma in decine di città. Ieri, secondo l'Ong Ovd-info, considerata affidabile e presa come riferimento da Amnesty International, cortei hanno sfilato in 69 centri. Cortei più o meno piccoli, ma sempre significativi. Continuano le manifestazioni, ma si intensifica la repressione. Sempre secondo Ovd, nella sola giornata di ieri sono state arrestate circa 5mila persone. Dall'inizio delle proteste gli arrestati sono stati 13504. Giovani, ma anche reduci della Seconda guerra mondiale, donne ma anche bambini. Qualcuno sarà stato rilasciato, ma la maggior parte è ancora in stato di detenzione. E nessuno, o quasi, ha loro notizie: "Le ultime immagini ritraggono le persone arrestate quando salgono sui furgoni della polizia. Non sappiamo cosa succede nei luoghi dove vengono portate", spiega ad Huffpost Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. È difficile reperire notizie anche dai pochi che sono stati rilasciati: "Sono terrorizzati - spiega Noury - è possibile che abbiano anche lasciato il Paese". 

Il timore è che la violenza - fatta di pestaggi, alcuni anche ripresi, manganellate e taser - a cui si è assistito durante gli arresti si possa replicare anche in cella: "Il rischio - continua il portavoce di Amnesty - è quello di trovarci di fronte a uno scenario simile a quello della Bielorussia, con persone torturate e migliaia di pene detentive". C'è poi il tema delle condizioni di carcerazione: "C'è un problema di sovraffollamento delle carceri e per questo motivo potrebbero essere usate strutture di detenzione informali. Perché penitenziari e stazioni di polizia potrebbero non bastare". Ciò, naturalmente, fa calare ancora di più la nebbia sullo stato di salute di chi è trattenuto nelle strutture. Ovd-info fa in modo che il silenzio non piombi almeno sui loro nomi. Sul sito dell'ong sono riportate giorno per giorno le generalità delle persone arrestate e l'indicazione del luogo dove sono state portate. È un modo, se non altro, per avere contezza dei fatti. Per non perdere del tutto le tracce di chi ha sfidato il regime e ora rischia conseguenze dure.

I primi processi nei confronti delle persone arrestate inizieranno oggi,  9 marzo. Se finora, però, rischiano pene relativamente basse, per i reati tipici di cui vengono accusati - in questo caso pretestuosamente - i manifestanti, tacciati di essere vandali o teppisti, con l'introduzione della legge marziale lo scenario potrebbe complicarsi: "Con la nuova normativa potrebbero cambiare le imputazioni. Ad esempio, c'è il rischio che la norma sulle fake news, che prevede fino a 15 anni di carcere, possa essere applicata non solo nei confronti della stampa, ma anche nei confronti dei manifestanti che usano, su striscioni o cartelloni, espressioni vietate da Putin".

In un momento in cui abbiamo visto accadere l'impensabile, c'è un fatto che riaffiora nella mente di Noury: "Quando la Russia è stata sospesa dal Consiglio d'Europa, l'allora presidente Medvedev ha detto 'vorrà dire che possiamo ripristinare la pena di morte'. Lo aveva dichiarato sotto forma di minaccia e al momento non sembra il governo russo voglia andare in questa direzione. Però, in una situazione in cui l'impossibile diventa improbabile e l'improbabile diventa possibile, questo scenario non può essere escluso del tutto". Le proteste, per quanto represse, è difficile che si fermeranno del tutto: "Per ora manifestano contro la guerra - osserva ancora - ma se dovessero iniziare a tornare in patria tante bare di soldati deceduti nel conflitto, allora a scendere in piazza potrebbero essere anche le loro madri. E il dissenso potrebbe aumentare. Non siamo nell'Afghanistan degli anni '90, certe cose non si possono più nascondere".

C'è poi l'altro fronte, quello del web. Facebook è già stato bloccato, Twitter funziona a intermittenza, Tik Tok ha ridotto la sua attività. Ma il vero colpo all'informazione potrebbe arrivare di qui a pochi giorni, con l'autoestromissione dalla rete internet mondiale: "In questo modo cadrà il buio sulla comunicazione. Essere disconnesso dalla rete mondiale significa non sapere più nulla. Stiamo parlando di un tentativo di zittire il dissenso o con la repressione o con la mancanza di informazioni", osserva ancora Noury.

In una situazione che diventa sempre più complessa è davvero difficile immaginare vie d'uscita. Il rischio, sempre più concreto, è che la propaganda di Putin, in una Russia isolata e spaventata dalla repressione, abbia gioco sempre più facile. Per quanto ribaltare lo stato delle cose sia impossibile, qualcosa per arginare la deriva almeno proporre: "Amnesty ha chiesto al Consiglio dei diritti umani dell'Onu di attivare un monitoraggio sulla repressione. Potrebbe essere uno strumento utile, ma sarebbe necessario che le autorità facessero entrare gli osservatori, o che almeno consentissero un monitoraggio indipendente". Scenario, quest'ultimo, se non improbabile almeno difficile. 

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