di Roberto Penna

L’attacco russo all’Ucraina non ha avuto giustificazioni valide sin da subito. Una ragione ci sarà se l’Europa, che solitamente fatica ad assumere posizioni univoche nelle crisi internazionali, è riuscita a parlare con una voce sola, peraltro in sintonia con gli Stati Uniti e il Regno Unito. Se un determinato fatto diventa evidente e incontrovertibile, sia nel bene che nel male, non può che avanzare un giudizio unanime che supera confini e barriere ideologiche. Il presunto allargamento eccessivo della Nato e i diritti degli abitanti russofoni della Crimea e della regione del Donbass, usati da Vladimir Putin per motivare l’aggressione militare all’Ucraina, si sono rilevati immediatamente come dei pretesti truffaldini, cavalcati per dare inizio a un qualcosa di più ampio rispetto alla sola smilitarizzazione di Kiev, indicata dal presidente russo.

La Federazione Russa già confina da anni in maniera diretta con l’Alleanza Atlantica. Pensiamo soltanto al confine con Estonia e Lettonia, entrambe appartenenti alla Nato, oppure, alla exclave russa di Kaliningradpraticamente circondata dalle “atlantiche” Polonia e Lituania. Se Putin avesse davvero avuto a cuore le sorti della popolazione della Crimea e delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk, si sarebbe prodigato in un negoziato internazionale volto a stabilire in modo duraturo lo status delle aree russofone dell’attuale Ucraina. Invece, lo si è poi capito, il Cremlino aveva pianificato fin dall’inizio, forse da anni, un intervento militare su larga scala, non limitato quindi al Donbass, bensì riguardante tutto il territorio ucraino. Quando Putin e il suo ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, poco tempo prima dell’invasione, ancora giuravano di voler perseguire i loro obiettivi attraverso canali diplomatici, di fatto già pensavano alla guerra. Il leader russo ha probabilmente sempre avuto l’obiettivo neo-imperialista di recuperare, con le buone o con le cattive, gran parte di quanto perduto da Mosca durante il crollo dell’Urss, ossia quelle Repubbliche già appartenute alla Unione Sovietica e diventate poi Stati sovrani a tutti gli effetti. Non ha mai accantonato questo disegno, pur non riuscendo sempre a passare dalla teoria alla pratica. Ha costantemente pensato a ciò anche quando è parso intenzionato ad avvicinarsi di più all’Occidente, soprattutto ai tempi di George Walker Bush in America e di Silvio Berlusconi in Italia.

La Russia deve essere fermata in Ucraina perché se l’aggressività putiniana dovesse alla fine spuntarla sulla tenace e coraggiosa resistenza guidata dal leader di Kiev, Volodymyr Zelensky, dopo potrebbero sentire sulla loro schiena il peso dello stivale di Putin, realtà come la Moldavia e la Georgia, le cui integrità territoriali vengono altrettanto messe in discussione da diverso tempo ormai. Sempre per mano russa, attraverso la Transnistria per quanto riguarda la Moldavia e le sedicenti Repubbliche di Abcasia e Ossezia del Sud per ciò che concerne la Georgia.

La voracità putiniana non si fermerebbe a Kiev. Certo, in Ucraina non tutto è andato secondo le previsioni e i piani del Cremlino. Si sperava in una guerra lampo e nella resa quasi immediata dell’esercito ucraino, oltre alla fuga del presidente ucraino Zelensky, ma si è verificato e si sta ancora verificando il contrario. Non solo le Forze armate, ma anche un numero consistente di civili hanno deciso di mettere in gioco la propria vita pur di sbarrare la strada all’invasore, e Volodymyr Zelensky da politico “ex-comico” è diventato un esempio di coraggio e tenacia rispettato nel mondo. Così, il blitz scellerato di Putin sta andando avanti ormai da dieci giorni, e le guerre che si trascinano troppo a lungo, senza fornire certezze a nessuno, uccidono lentamente l’aggredito, ma sfiancano anche l’aggressore per quanto esso possa essere potente. Vladimir Putin non aveva preventivato questa capacità ucraina di resistere e non immaginava che l’Occidente tutto, insieme a buona parte del mondo, si coalizzasse compattamente contro di lui.

I Paesi della Nato non possono intervenire militarmente almeno per ora – e qui il presidente americano Joe Bidennon ha detto affatto una sciocchezza – perché altrimenti saremmo davvero di fronte alla Terza guerra mondiale. Europa e Stati Uniti si limitano a rifornire di armi l’Ucraina e al momento, non potendoci essere un impegno diretto sul campo, questa è l’unica strada percorribile al fine di aiutare Kiev a difendersi. Chi si scandalizza, soprattutto per l’invio di armi da parte del Vecchio Continente, ma assicura di volere aiutare l’Ucraina, spieghi allora in quale altro modo potremmo sostenere l’aggredito di fronte all’aggressore.

Oltre all’appoggio militare, per così dire, indiretto, vi sono le sanzioni economiche. In altri contesti di crisi tale strumento non si è rivelato granché efficace e risolutivo, ma nel caso attuale le ritorsioni economiche di Washington e di Bruxelles hanno assestato duri colpi al sistema economico e finanziario della Federazione Russa, provocando il crollo del rublo, la chiusura della Borsa e il fuggi-fuggi di tante aziende straniere. Il potere putiniano si è sempre basato sulle immense fortune di un club di miliardari solidali con il regime, i cosiddetti oligarchi, ma le sanzioni occidentali stanno insidiando anche il mondo dorato di questi signori. Agli oligarchi interessa più il vil denaro che il prestigio imperiale perduto, quindi non è escluso che essi possano iniziare a domandarsi se valga la pena di credere in una guerra in cui gli oneri rischiano di superare i benefici, a maggior ragione se il conflitto dovesse protrarsi a lungo.

Putin sperava nella destituzione di Zelensky tramite un golpe militare interno all’Ucraina, ma anche il suo lungo e finora solido dominio del Cremlino può andare incontro a una implosione a causa di qualche spinta più domestica che esterna. Può darsi che questo Zar dei tempi moderni abbia già messo in conto tutti i possibili rischi e nulla possa seriamente spaventarlo. Pertanto, se così fosse, la Russia proseguirebbe il conflitto noncurante delle perdite umane, delle vittime civili, delle masse disperate di profughi, ma se l’invasione del territorio ucraino non ha avuto già dall’inizio ragioni plausibili, il perdurare ostinato della guerra cancellerebbe ogni logica e consegnerebbe a Vladimir Putin un cumulo di macerie, una nuova Cecenia per intenderci.

Al di fuori della Federazione Russa c’è voglia di mediazione, c’è l’intenzione di mettere la parola fine a questa guerra. A partire addirittura dalla Cina, che è pure l’unico alleato importante di cui può disporre ancora Putin. È interessante, in particolare, l’impegno profuso in queste ore da parte del premier israeliano Naftali Bennett. Speriamo ne esca qualcosa di buono, ma è certo fin d’ora, comunque finisca tutto questo, che nulla sarà più come prima fra la Russia putiniana e il resto del mondo, soprattutto l’Occidente. Anche in un quadro futuro di possibile allentamento di tutte le tensioni, incluse le sanzioni economiche, non ci si potrà più fidare di un leader che negozia e al tempo stesso non smette di bombardare, che dice di volere il dialogo, ma in realtà ha già in mente la guerra.