Di Matteo Forciniti

Dall’Europa al Sud America, le conseguenze della guerra in Ucraina si annunciano pesanti con importanti rincari. In uno scenario globale caratterizzato da una forte incertezza e con l’assenza di qualsiasi protezione a livello regionale, una piccola nazione come l’Uruguay corre seriamente il rischio di essere travolta da questa ondata di instabilità.

È l’ennesimo aumento dei prezzi a preoccupare di più una popolazione già di per sé abituata a convivere con un alto costo della vita che potrebbe crescere ulteriormente nei prossimi mesi dopo l’offensiva portata avanti dalla Russia di Vladimir Putin. Ad annunciare questo scenario, negli ultimi giorni, sono stati analisti, produttori e commercianti uruguaiani che hanno lanciato l’allarme sul problema globale che a breve diventerà anche locale.

Grano, benzina, fertilizzanti, il rafforzamento del dollaro che può diventare una minaccia e le esportazioni bloccate: sono davvero tanti i problemi che si ritroverà ad affrontare a breve l’Uruguay e su cui nessuno è ancora in grado di rispondere.

Così come per il resto del mondo, tra le prime conseguenze della guerra c’è innanzitutto un forte aumento nel prezzo del grano tenero che si riverserà sulle farine e su tutti gli altri prodotti alimentari considerato che Russia e Ucraina detengono un quarto dell’intera produzione mondiale di questo cereale.

A lanciare l’allarme è stato il Centro de Industriales Panaderos del Uruguay che prevede un aumento del 20% sul prezzo della farina. “Noi non abbiamo altra modalità che trasferire l’aumento dei costi sui prodotti finali” ha spiegato il presidente Álvaro Pena a El País segnalando che la crescita dei costi ha già interessato altri prodotti per la panificazione come uova e grasso. “Il Centro non controlla i prezzi dei prodotti ma fornisce solo suggerimenti e ogni locale poi stabilisce i propri valori in base al proprio contesto e alle proprie esigenze. L’unico altro modo possibile per evitare gli aumenti è un intervento diretto del governo”.

Fernando Mattos, ministro dell’Allevamento, Agricoltura e Pesca, si è limitato ad assicurare l’impegno del governo nel seguire la situazione annunciando la creazione di un comitato che controllerà l’evoluzione dei prezzi di alcune materie prime condizionate dalla guerra. Il ministro ha affermato anche che “il conflitto, purtroppo, porterà una conseguenza indiretta sui costi di produzione della carne, in particolar modo di pollame e suino oltre che, ovviamente, un aumento nei prezzi dei prodotti del pane e degli oli vegetali”.

“A livello locale non abbiamo alcun modo di fermare l’aumento dei prezzi” ha riconosciuto Daniel Fernández, presidente del Centro de Almaceneros Minoristas, Baristas, Autoservicistas y afines del Uruguay (Cambadu). Farina, cereali e oli, sono queste le tre categorie a rischio secondo l’associazione di categoria: “Il prezzo della farina salirà a 60 o 70 pesos al chilo, quindi tutto ciò che c’è dietro quella linea aumenterà come pane e biscotti. Noi come sindacato non possiamo fare altro che aspettare fino a quando i prezzi si stabilizzeranno. Non possiamo dire al mulino o allo Stato di regolarizzare il prezzo della farina”.

Oltre alle materie prime e ai cereali, un aspetto fondamentale sarà dato anche dall’aumento del prezzo del petrolio che già in passato ha provocato diversi terremoti in Uruguay. Lo scenario internazionale è allarmante, negli ultimi giorni i prezzi sono saliti alle stelle. A peggiorare il panorama c’è poi l’aumento del costo dei fertilizzanti, altra voce importantissima per un’economia fortemente interessata dalla produzione agricola. Secondo il rapporto della società di consulenza CPA Ferrere i primi segnali si stanno già vedendo: l’urea granulare (un fertilizzante a base di azoto) è aumentato del 35% rispetto alla settimana precedente all’invasione russa.

Più che l’aumento dei prezzi, le preoccupazioni in Uruguay riguardano anche le esportazioni che potrebbero essere colpite dal clima di internazionale di incertezza e di isolamento verso il mercato russo. Per quanto le esportazioni uruguaiane verso la Russia rappresentino solo l’1,4% del totale, alcuni settori potrebbero soffrire maggiormente rispetto ad altri come nel caso dei latticini. Secondo i dati raccolti da Trademap, nel 2020 la Russia è stata la quarta destinazione di esportazione per il latte e i suoi derivati: il 18% del totale dei formaggi e il 52% del burrovenduto all’estero