Putin
Vladimir Putin (foto: Depositphotos)

Quando si uccide un giornale si uccide la democrazia. Questo è un fatto incontrovertibile. Ne sono testimoni secoli di storia. La prima mossa di qualsiasi dittatore è quella di silenziare, perseguitare, imprigionare e, nel caso di Putin, uccidere, direttori e giornalisti scomodi, perché scrivono la verità. In un’antica favola, l’imperatore racconta al popolo schiavizzato di essersi vestito con abiti nuovi, visibili soltanto a chi condivide i suoi ordini. Come il bambino della favola, che dice la verità, la stampa deve poter gridare: “il re è nudo”, senza che nessuno le tappi la bocca. La democrazia, sia pure imperfetta, è la migliore forma di governo che l’uomo sia riuscito a darsi. La sopravvivenza della democrazia si basa sull’informazione pluralistica, che mette a disposizione dei cittadini l’analisi di tutte le sfaccettature di quanto succede. Il popolo che vive in un regime democratico si nutre di informazione. Il popolo degli elettori deve avere accesso a tutte le informazioni che consentono di scegliere i propri rappresentanti. Il popolo, se viene tradito dai governanti attraverso false informazioni, scende in piazza e protesta, a costo del carcere e della vita, perché una vita senza libertà non è degna di essere vissuta. La bellissima Costituzione italiana, scritta da giganti della politica sulle macerie della dittatura nazifascista e della II Guerra mondiale, sancisce all’Art. 21: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. L’Art. 21 è inserito nella Parte prima: “Diritti e doveri dei cittadini”, Titolo primo: “Rapporti civili”, della Costituzione. Proprio per questo, nel definire i criteri di assegnazione dei contributi ai quotidiani degli italiani all’estero, il Parlamento e il Governo hanno previsto l’acquisizione di pareri delle rappresentanze degli utenti, che garantissero l’esistenza, la distribuzione e la lingua prevalente nei testi pubblicati. E null’altro, perché Parlamento e Governo si sono ben guardati dal consentire le censure di parte e le condanne editoriali vietate dalla Costituzione. Nelle dittature viene instaurato un regime di assoluta propaganda e censura castrante di qualunque sussulto di opinioni e idee contrarie al potere autocratico. Quanti intellettuali, giornalisti, scrittori sono finiti nei campi di sterminio o sono stati mandati al confino o condannati all’esilio dai tiranni del mondo? Dall’Ottocento a oggi sono nati molti dittatori, grandi e piccoli: pesci grossi nell’oceano e pesci piccoli nelle pozzanghere. Tutti loro hanno tentato di uccidere la stampa, molti ci sono riusciti e molti sono finiti male, ma lo scempio era fatto. L’ultimo esempio di questi tentativi di sopraffazione del “nemico”, colpevole di presentare tutte le interpretazioni dei fatti, è il quotidiano La Gente d’Italia, potenzialmente assassinato nella maniera più volgare, creando le condizioni per far cessare parte dell’ossigeno che l’aiuta a essere presente in edicola tutti i giorni. Con il parere contra legem emesso dal Com.It.Es. di Montevideo, La Gente d’Italia rischia di dover chiudere, con conseguente gravissimo danno prima di tutto a quegli stessi che stanno condannando a morte il quotidiano, su cui non potranno più apparire in fotografia, né far pubblicare le proprie informazioni alla comunità. L’unica salvezza consiste nella sanatoria, ancora possibile, da parte di Sua Eccellenza l’Ambasciatore, che certamente può, e dovrebbe, non solo spiegare la legge al Com.It.Es., ma anche inviare il proprio parere a Roma testimoniando la verità dei fatti, vale a dire l’esistenza del giornale, la sua distribuzione e la percentuale di articoli scritti in lingua italiana.

(Carlo Cattaneo)