di Alessandro Camilli

 

La pubblicità è esplicita nel vantarne le caratteristiche, soprattutto quella che riguarda la materia prima, la pubblicità vanta che questa pasta (si tratta di una marca molto nota e diffusa) è fatta al cento per cento con grano italiano. Grano italiano, vale la pena di ripeterlo. Non una cosa ovvia visto che l’Italia, quanto a grano da destinare alla produzione di pasta, non è per nulla autosufficiente ed importa più della metà del grano duro che trasforma in pasta. La pubblicità e il marchio vanno presi sul serio, va preso per assolutamente certo che quella pasta è 100 per cento grano italiano. Però la stessa pasta annuncia e pratica aumento del prezzo di vendita. Perché? A causa della sopravvenuta mancanza di...grano russo!

In realtà il grano che scarseggerà (se non vi sarà semina e quindi raccolto) sarà quello ucraino. In realtà scarseggerà nei prossimi mesi e non ora. In realtà eventuali aumenti di prezzo vanno attribuiti al maggior costo dei trasporti e dell’energia in azienda. La scarsità del grano russo come ragione dell’aumento del prezzo della pasta 100 per 100 grano italiano è una auto confessione che qualcosa, più di qualcosa, accade nella formazione dei prezzi dei beni di consumo. Accade, purtroppo, che ad ogni crisi e tensione dei prezzi, parte rilevanti delle catene di approvvigionamento, distribuzione e vendita non solo si adeguano ma ne approfittano. Diciamo che…colgono l’occasione e nello “aumenta tutto” si tuffano e nuotano con abilità.

Altra segnalazione (anche quella della pasta viene dal quotidiano vissuto, difficile trovarne traccia nei comunicati ufficiali): in alcuni supermercati il sacchetto per portarsi via l’acquistato, la busta è passata da circa 10 cent a 16 cent. Aumento del 50 per cento. Tutti fabbricati i sacchetti con materie prime introvabili e relative scorte esaurite?

Racconta Aldo Cazzullo del Corriere della Sera una sua esperienza: Bologna, ristorante in centro spesso frequentato dal giornalista. Un vino bianco, in conto messo a 55 euro. Ricerca sul web del prezzo di quel vino: da 5 a 8 euro. E’ probabilmente un caso limite, ma in ogni negozio, di ogni tipologia merceologica, risuona lo “aumenta tutto”. E su questo vento viaggiano aumenti sfacciati e spudorati. Non tanto e solo nella quantità, quanto nella loro infondatezza. Aumentare il prezzo del tramezzino o delle scarpe in alcun modo può essere giustificato o ricollegato alla guerra o anche all’inflazione pre guerra. E allora? Allora commercianti vil razza dannata? No, questo no. Ma campioni del piangi e fotti questo sì, questo proprio sì.