Messaggio del clan al parroco del Parco Verde di Caivano che ha fondato il “Comitato per la liberazione dalla camorra”. Lui: “Sanno dove sono, possono venire ad uccidermi quando vogliono”. E il presidente Mattarella lo chiama

di Anonimo Napoletano

La camorra alza il tiro e minaccia direttamente la Chiesa, vista ormai come uno dei pochi baluardi che ancora combatte il crimine organizzato. Una bomba è stata fatta esplodere alle 4 di notte di sabato scorso davanti al cancello d'ingresso della parrocchia del prete anticlan don Maurizio Patriciello. È accaduto a Caivano, popolosa cittadina nell'hinterland settentrionale di Napoli. La chiesa si trova nel famigerato quartiere denominato Parco Verde, un enorme “supermercato” di droga a cielo aperto, dove il degrado sociale e la povertà hanno raggiunto livelli record. Proprio qui si è trasferito da pochi anni per esercitare il suo apostolato don Maurizio Patriciello, noto da tempo per le sue crociate contro il fenomeno dell'ecomafia e l'inquinamento della cosiddetta Terra dei Fuochi, e protagonista di tante battaglie contro i clan di malavita. 

Proprio in questa parrocchia ha sede il “Comitato di liberazione dalla camorra”, fondato l'estate scorsa da don Patriciello e da un manipolo di volontari. L'associazione non si occupa solo di Caivano e del Parco Verde, ma estende le sue iniziative a tutto l'hinterland a nord di Napoli, e principalmente nel confinante comune di Arzano. Qui domina uno dei più pericolosi clan della provincia partenopea, la cui roccaforte è un altro famigerato e degradato quartiere, la “167”. E proprio ad Arzano, una settimana prima, erano comparsi in giro per la cittadina dei manifesti funebri che annunciavano la morte, per il giorno 10 marzo, del comandante della polizia municipale Biagio Chiariello: una grave messaggio intimidatorio rivolto ad un altro baluardo della lotta alla camorra in queste zone dimenticate dallo Stato. Gli investigatori dell'Arma dei carabinieri sospettano che anche la bomba contro la chiesa di don Patriciello, possa venire dai boss della “167” di Arzano, infastiditi dall'attivismo del “Comitato per la liberazione dalla camorra”. Di certo, il bersaglio  principale era proprio il prete anticlan, e non è passata inosservata la scelta della data per l'attentato dinamitardo: il 12 marzo era proprio il giorno del compleanno di don Patriciello, e la bomba sarebbe stata uno sgradito “regalo” della malavita. 

Non aiutano gli investigatori le condizioni ambientali pesanti del Parco Verde. Nonostante si tratti di uno dei principali luoghi di spaccio di tutta la Campania, non esistono telecamere di sicurezza, e quindi nessun occhio digitale ha registrato l'arrivo o la fuga dei bombaroli del clan. Di testimoni oculari, poi, neanche a parlarne. Nonostante il boato debba aver svegliato mezzo quartiere, nessuno ha visto niente e nessuno ha nemmeno chiamato le forze dell'ordine o lo stesso don Patriciello (che non abita nella parrocchia ma in un'abitazione di un altro comune) per avvisarlo dell'esplosione. Tant'è vero che della bomba si è saputo solo alle otto del mattino, quando un collaboratore del parroco è andato ad aprire la chiesa. 

Lui, il parroco anticamorra, non si scompone più di tanto: “Intimidito? Sono dispiaciuto, questo sì. Dispiaciuto tantissimo, ma per loro che hanno intrapreso queste strade di morte, di sofferenza, di inciviltà e di prepotenza”. E aggiunge: “Cercano di dire di farci i fatti nostri perché quando tutto tace è sempre un bene (per la camorra, ndr), quando si alza la voce, e anche con il nostro Comitato lo stiamo facendo, si dà fastidio, c'è poco da fare. Quindi con queste antiche modalità si cerca di intimorire. Io lo so molto bene che, se qualcuno mi vuole fare del male, se hanno deciso di farmi male, potranno anche farlo. Sanno dove trovarmi, io sono sempre qui, nella mia parrocchia. Potranno uccidere anche il corpo, ma la profondità del tuo sentire, della tua fede, della tua sete di giustizia e dell'amore verso gli ultimi non la toglieranno mai”.

Colpire un prete sembra ricordare uno scenario più del Centro o del Sudamerica, piuttosto che di un Paese europeo. Ma non bisogna dimenticare che in Campania c'è stato un illustre e tragico precedente. Il parroco di Casal di Principe, don Giuseppe Diana, fu ucciso dal clan dei Casalesi proprio all'interno della sua chiesa, distante pochi chilometri da quella di don Patriciello. Anche in quel caso l'agguato avvenne in una data simbolica, la mattina del 19 marzo 1994, giorno dell'onomastico di don Diana. Anche per questo drammatico ricordo, la solidarietà a don Patriciello è arrivata da istituzioni, Chiesa e società civile. Persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha telefonato al parroco di Caivano per esprimergli vicinanza e solidarietà. Messaggi di condanna per la grave minaccia e di solidarietà al prete anti clan sono arrivati dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, dal sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, dal presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, dal Vescovo di Aversa, da parlamentari, ministri, e segretari di partito. La Commissione parlamentare antimafia ha annunciato che sarà nei prossimi giorni in visita a don Patriciello nella sua parrocchia. Resta invece da vedere se e quanto questo messaggio della camorra terrà lontani i fedeli di Caivano dal loro parroco.

“Se avessi voluto una vita comoda non avrei fatto il prete, continuo per la mia strada”. Poi vede il capo dei pm antimafia: “Mi ha promesso che verrà a Caivano a parlare con la gente, è un incontro che mi fa ben sperare”

“Io, poco fa, ho firmato il mio testamento”. Il giorno dopo la bomba fatta esplodere davanti al cancello della sua chiesa, a Caivano, hinterland di Napoli, ecco le parole pronunciate che il parroco don Maurizio Patriciello ha pronunciato ai microfoni del programma “Studio Mattina” di Canale 9. “Vi confido una cosa”, ha detto il prete anticamorra, “ho poco fa firmato il mio testamento. Abbiamo messo tutto in conto quando siamo diventati sacerdoti e continuo per la mia strada. Alcuni camorristi pensano che dovrei limitarmi a celebrare messa e benedire i loro figli quando vengono uccisi. Non è così, continuo il mio percorso mentre da queste parti continuano le stese di giovani pistoleri che terrorizzano i residenti a colpi di kalashnikov. Per quanto mi riguarda, se avessi voluto una vita comoda non avrei fatto il prete. Sono solo un povero parroco che annuncia il Vangelo”. Dopo la bomba, anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto sentire la sua voce e ha voluto manifestare la sua solidarietà con una telefonata al parroco, che così ha commentato: “Se il Presidente Mattarella si è scomodato per chiamare me, di domenica, vuole dire che la cosa evidentemente preoccupa anche lui e gli inquirenti”.

E tre giorni dopo l'attentato, don Patriciello è andato alla Procura di Napoli per incontrare il capo dell'ufficio inquirente, il magistrato Giovanni Melillo: “È un incontro che mi fa ben sperare”, ha detto dopo don Maurizio. Il procuratore capo di Napoli, fa sapere il parroco di Caivano, “mi ha chiamato sul telefonino per esprimermi la sua solidarietà e per comunicarmi che gli avrebbe fatto piacere ospitarvi. Così siamo venuti il tenente della nostra caserma di Caivano Antonio La Motta ed io. Con Melillo ci siamo confidati le rispettive visioni della di quello che succede a Caivano, nel Parco Verde, nella Terra dei Fuochi, anche lui è stato così caro da raccontare tante cose. Ma ciò che è più importante è che mi ha detto che sarà felice di venire a Caivano per dialogare e parlare con le persone”. 

“Io ritengo che questa sia una cosa importante - ha sottolineato il parroco - perché io credo nella comunione, che qualcuno chiama sinergia, tra le forze dell'ordine, i carabinieri e la polizia, la magistratura, la Chiesa e i cittadini”. Per don Maurizio è anche importante “smettere di dare troppa confidenza e anche il voto a certi politici che non hanno buone intenzioni”. 

“Io sono un prete che crede nella speranza - conclude il sacerdote - che è una virtù teologale: alla speranza non si può mai rinunciare. Qualche volta, scherzando, ho detto che siamo condannati a sperare e anche l'incontro di questa mattina in Procura mi fa ben sperare”.