di Ugo Magri

 

A differenza di come lo raffigurano i russi, il governo italiano non è un nido di falchi. Al massimo, una tana di volpi. Vecchie volpi democristiane costrette a muoversi circospette per non finire in pellicceria. Prendiamo Draghi: tutto lo si può definire tranne che guerrafondaio. Chi lo danneggia è la retorica bellicista di certi suoi trombettieri mediatici, cui piace immaginarlo in pose eroiche da condottiero, facendo un regalo alla propaganda di Putin e un dispetto a lui che di “ducesco” ha poco; anzi col passare del tempo sempre più ricorda, nelle scelte e nei modi, perfino in certe posture, il “divo” Giulio Andreotti; il quale, tra “tirare le cuoia” e “tirare a campare”, non aveva dubbi, delle due sceglieva senz’altro la seconda.

Da quando è scattata l’invasione, il premier ha brillato per prudenza verbale. Diversamente da Luigi Di Maio - che sull’onda dello sdegno aveva dato della bestia al presidente russo - Draghi ha sempre dichiarato lo stretto necessario, distinguendosi nel non farsi notare. Sobrio nelle condanne. Continente nella comunicazione. È andato in Parlamento a riferire sulla guerra perché dileguarsi sarebbe stato vergognoso (stando a certe voci, il Quirinale l’ha aiutato a non commettere l’errore). Ma né alla Camera né poi il premier s’è concesso divagazioni. Zero avvertimenti alla Russia o proclami sopra le righe. Atlantico quanto basta per restare intruppato nell’alleanza, allineato e coperto sulle sanzioni cosicché nessuno in Europa o in America potrà mettere in dubbio la lealtà italiana. Però rinunciando a proporre Roma per improbabili mediazioni tra Kiev e Mosca; accontentandosi di ospitare gli abboccamenti tra Usa e Cina; lasciando ad altri, agli Scholz e ai Macron, il privilegio dei riflettori; restando sempre un passettino indietro, senza partecipare a certi summit e senza nemmeno offendersi perché ci escludono. Quando piovono bombe, meglio le retrovie.

Se n’era accorto Zelensky, che aveva reagito con sdegno quando l’ex presidente della Bce aveva mostrato freddezza su certe specifiche ritorsioni, in particolare puntava i piedi (insieme con i tedeschi) sull’esclusione della Russia dal sistema di pagamenti SWIFT; ma poi tutto si è appianato dopo il tweet ironico del presidente ucraino e la telefonata di Draghi che, come pegno della ritrovata amicizia, aveva deciso di mandare armi a Kiev; però meno di altri Paesi e comunque (l’ha rivelato “Il Fatto”) attingendo soprattutto ai fondi di magazzino: missili anticarro quasi dismessi, mitragliatrici su modelli obsoleti della seconda guerra mondiale. Nulla di cui l’armata russa si possa impensierire. E allora, perché se la prendono con il ministro Guerini?

Lo attaccano per aprirci una crepa in casa. Come noi ci illudiamo che gli oppositori di Vladimir vengano allo scoperto, detronizzando lo Zar, così a Mosca si aspettano lo stesso dagli amici loro in Italia. Li sollecitano a entrare in azione contro il governo additando nel titolare della Difesa un bersaglio tipo Luciana Lamorgese. Perfino un bebè capirebbe che vogliono destabilizzarci. Se non ci sono ancora riusciti è proprio perché Draghi ha scelto di volare basso, quasi rasoterra; lasciando al Papa e al presidente della Repubblica l’onere di additare i valori, di incarnare la coscienza morale, di dare voce allo sdegno democratico mentre lui si concentra su cose meno nobili però indispensabili per rassodare il fronte interno tipo: garantire le forniture di petrolio e metano per non ritrovarci al buio (quanto al freddo, ci salverà il riscaldamento globale); imporre un tetto ai prezzi del gas su iniziativa dei cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna); riprendere le estrazioni che i grillini avevano bloccato; sfruttare a fondo i gasdotti che, sempre loro, avevano osteggiato.

E poi bloccare le accise, ampliare i ristori, liquidare il Green Pass, concentrarsi sull’economia di guerra. Sostituire i virologi coi generali. Creare nuovi mostri al posto del Covid. Gettare gli oligarchi russi in pasto al voyeurismo nazionale. Tenere unito un Paese saturo di cattive notizie, dalla psiche mutevole e con scarsa vocazione guerriera, garantendo l’unica vera cosa che ai più interessa: la ripresa economica, cioè gli sghèi. Infine l’impresa più ardua, disinnescare Matteo Salvini che è il vero missile ipersonico puntato sull’Italia.

Draghi l’ha difeso da Enrico Letta che, in un attacco di imprudenza, aveva sfidato il Capitano a sfasciare l’Europa; quindi l’ha isolato da Giorgia Meloni; infine gli ha gettato un’esca sulla flat-tax che, nel linguaggio della politica, suona come invito a comportarsi bene. Se Salvini abboccherà, lo scopriremo vivendo. Ma la mossa, tipicamente andreottiana, segnala che la sbornia del Quirinale è alle spalle e Super Mario ha ritrovato il gusto di governare.