Vladimir Putin e Xi Jinping (Depositphotos)

di MAURIZIO GUAITOLI

Quali sono oggi i veri rapporti tra Cina e Russia? L’ultimo numero del The Economist dedica la copertina e l’editoriale di punta al “The alternative world order” che costituisce il vero obiettivo geopolitico della coppia sino-russa. Certamente non si tratta (come vorrebbe una certa propaganda) di un’amicizia senza limiti tra le due potenze asiatiche, ma di un più deciso avvicinamento della Cina alla Russia in funzione antiamericana per accelerare il declino Usa, ritenuto rapido e inevitabile da entrambi. L’intento comune è di affermare la superiorità dei loro regimi autoritari rispetto alle democrazie, considerate deboli e corrotte.

Anche se la Cina non si esporrà più di tanto per sostenere l’economia russa in grande affanno a causa delle sanzioni occidentali, dato che i finanziamenti in dollari da parte delle sue banche rischiano di essere restituiti in rubli super-svalutati. Meglio, quindi, surrogare l’Occidente nelle forniture energetiche, pagando il barile russo di petrolio un quarto del suo valore di mercato (25 dollari, contro i 100 e passa della sua quotazione attuale). E qui, visto che se ne parla spesso e in termini non del tutto appropriati, vale la pena soffermarsi su alcune definizioni fondamentali che riguardano le due tipologie di dispotismo. Si intende per Democratura (esempi attuali la Russia di Vladimir Putin; la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan; l’Iran di Ali Khamenei) la crasi di democrazia e dittatura con cui si denotano quei regimi formalmente costituzionali ma di fatto oligarchici.

Per la prima componente (quella costituzionale), sono garantite elezioni a suffragio universale per eleggere un Parlamento e un presidente; mentre il secondo aspetto indica che il potere sostanziale è detenuto da chi esprime il potere centrale, impenetrabile a controlli esterni per la mancanza di una equilibrata balance-of-power. L’Autocrazia (esempio storico: la Russia degli Zar. Attuali: la Cina di Xi Jinping; Corea del Nord di Kim Jong-un), invece, è una forma di Governo dello Stato assoluto in cui un singolo individuo, sovrano o autocrate, detiene un potere illimitato che non condivide né con i ministri, né con le classi dirigenti. Un imperatore può ereditare il potere, ma viene considerato un autocrate, invece che un monarca, quando nelle sue mani si concentra un potere eccessivo.

Anche una Repubblica sotto dittatura può essere una Autocrazia. Ciò detto, l’obiettivo geostrategico di Xi sul medio-lungo periodo è di realizzare un’alternativa concreta (una sorta di Via della Seta geopolitica di impronta confuciana) all’ordine mondiale liberale dell’Occidente post 1989. Ma i due dispotismi divergono diametralmente nelle rispettive tipologie imperiali, essendo la Russia assimilabile a una tellurocrazia (un impero di terra e del territorio) mentre la Cina appare più simile a una talassocrazia, o impero dei mari, per la sua propensione al commercio e all’apertura verso l’esterno. Quindi, mentre l’ideologia neo-zarista di Mosca tende ad annettere territori per garantire la sua sicurezza esterna, viceversa Pechino esprime una spiccata predilezione a dominare il mondo con i commerci e a divenirne globalmente l’ente regolatore e il monopolista d’eccellenza, creando sudditanza e dipendenza in tutti gli altri partner e concorrenti. Paradossalmente, l’Occidente rischia che siano le democrazie illiberali a dominare proprio quel mondo che noi stessi abbiamo creato, avendo commesso il terribile errore storico di credere nell’assimilazione soft, via commerci e rapporti di scambio, del nostro modello liberal-democratico da parte di Russia e Cina, e Paesi islamici grazie all’omologazione delle regole comuni di Mercato e dei consumi globali.

Eravamo, cioè, convinti che anche regimi illiberali come quelli dei due grandi Paesi asiatici, che hanno ospitato due visioni del comunismo storico, avrebbero definitivamente sottoscritto una perenne alleanza di interessi con l’Occidente. Per accorgerci, poi, che questa frequentazione tra noi e loro non è mai stata di tipo ideologico ma prettamente strumentale, avendo l’Occidente regalato immense risorse economiche ai suoi due contendenti planetari, cosa che ha consentito loro di ricercare la via più efficace e idonea per ricostruire su nuove basi la perduta potenza imperiale.

Così, la Russia ha introdotto nella nostra cittadella fortificata, contraddistinta da egoismi nazionali e gretti interessi materiali, numerosi Cavalli di Troia, che è andata pazientemente costruendo nei decenni successivi al 1991, favorendo al massimo la dipendenza dei Paesi europei dalle sue forniture di gas e petrolio. Agenti di influenza di tale strategia si trovano soprattutto in Germania, tra gli ex Cancellieri tedeschi, come il socialdemocratico Gerhard Fritz Kurt Schröder, divenuto membro del Consiglio di Amministrazione del più potente conglomerato energetico russo, Rosneft che ha interessi nel Nord Stream 1 e 2, a loro volta strenuamente sponsorizzati e voluti da Angela Merkel (una sorta di quinta colonna putiniana!) nei suoi sedici anni di interregno. A questa storica deriva filorussa ha posto definitivamente fine l’aggressione di Putin all’Ucraina, che ha risvegliato (finalmente, si direbbe, vista l’enorme importanza che riveste l’evento in termini geopolitici!) il Colosso dormientedella Germania, come lo definisce il numero citato di The Economist, nel suo “Pacifist no more”.

Oggi, sorprendentemente (visto che ad agire e prendere la decisione clamorosa del riarmo è un Governo rosa-verde di social-democratici ed ecologisti), è proprio Berlino a suonare il campanello d’allarme contro la tellurocrazia russa, contrapponendosi a essa come ex impero continentale altrettanto tellurocratico. Da qui nasce la decisione del Governo Scholtz di finanziare l’ammodernamento e il potenziamento dell’esercito tedesco (ridotto da decenni a ben povera cosa!) con 100 miliardi di euro di stanziamenti straordinari, che avvicinano la spesa totale per la difesa al fatidico 2 per cento del Pil, misura da sempre invocata e auspicata dagli ultimi tre presidenti Usa.

Ma come funziona questo nuovo ordine mondiale al quale si stanno predisponendo la Democratura russa e l’Autocrazia cinese? Il settimanale inglese la vede così: Xi e Putin intendono suddividere (di nuovo!) il mondo in sfere di influenza, in cui la Russia vuole avere la parola finale sulla sicurezza europea, mentre la Cina dominerebbe l’Est Asia, anche grazie all’isolazionismo americano. E, naturalmente, questo nuovo ordine sarebbe sideralmente differente da quello fondato sui valori universali cari all’Occidente, come i diritti umani, che Mosca e Pechino ritengono un grimaldello ideologico manovrato dalle democrazie per destabilizzare dall’interno i loro rispettivi regimi.

Per cui entrambi si industrializzano a rappresentare quegli stessi valori come vestigia di un passato al tramonto di un sistema liberale razzista e instabile. Solo che, alla lunga, questa amicizia pericolosa è destinata a costare cara alla Russia, che rischia in futuro di giocare un ruolo ancillare rispetto al grande gigante asiatico, molto più avanzato tecnologicamente e con una rete commerciale enormemente più estesa di quella russa, limitata quasi esclusivamente all’esportazione di petrolio, gas e materie prime. Putin, pertanto, farebbe bene a tornarsene a casa e a copiare molto meglio di quanto abbia fatto finora il modello di sviluppo occidentale.