Flavio Briatore (foto: @livephotosport - Depositphotos)

di Franco Manzitti

Ci voleva Flavio Briatore, in coda sulla A10, la Ventimiglia Genova, autostrada tra le più tartassate d’Italia, insieme alla A26, da Genova a Gravellona Toce, passando per Milano, per far esplodere un problema chiave che sta crocifiggendo non solo la Liguria ma tutto il sistema infrastrutturale del Nord Italia e pure quello internazionale, collegato ai porti liguri.

Con cappellino e maglietta d’ordinanza il manager di Cuneo, diventato membro stabile dello star system mediatico, tra ristoranti, discoteche, resort, della Sardegna a Malindi, tra rilanci di pizze in via Veneto e aspre polemiche ovunque, si è autopostato mentre era fermo in coda sulla suddetta A10, in una di quelle code mortali che in una gimkana di cantieri stanno massacrando la Liguria. Stava impiegando sei ore per viaggiare da Montecarlo a Milano, con un tempo di percorrenza triplo rispetto a quello di routine in tempi normali.

I tempi normali in questa parte d’Italia sono ormai spariti a livello autostradale da oramai quattro anni: da quando è tragicamente crollato il Ponte Morandi, il 14 agosto del 2018, ore 11,36, trascinandosi dietro 43 innocenti e provocando un disastro immane.

Che non finisce più, non solo per le povere vittime, ma perché, malgrado la rapida ricostruzione del ponte crollato, il sistema autostradale ligure è saltato tutto intero.

Sui 300 viadotti e sulle oltre 200 gallerie di questo sistema si sono abbattute le inchieste giudiziarie, le normative europee mai applicate e mentre la pandemia svuotava nel tempo del lockdown il traffico, scattava un meccanismo micidiale di manutenzione di tutta la rete destinata a durare per almeno 8 anni.

Tutto da rifare, tetti delle gallerie, piloni dei viadotti, asfalto, barriere fono assorbenti. I concessionari delle autostrade, dalle società dove troneggiavano i Benetton (oggi usciti dalla scena autostradale con la loro concessione in altre mani) agli altri “padroni”, beccati in flagrante e inchiodati da un maxi processo, che si sta avviando al primo rinvio a giudizio di 60 imputati, hanno dovuto cominciare a “riparare” le autostrade che per loro erano la gallina dalle uova d’oro: traffico in aumento costante, profitti alle stelle, spese di manutenzione da ridere, dopo ispezioni fasulle, controlli addomesticati, relazioni inconsistenti e lavori seri rinviati in secula seculorum.

E così la rete ligure con il suo sistema fragile è uscita dal vuoto della pandemia riempiendosi di cantieri.

Un delirio che dura praticamente dall’estate del 2020 e che non ha un orizzonte temporale certo. Si parla di 2026, immaginando per allora le autostrade libere dalla trappola dei cantieri.

Il diktat giudiziario, insieme a quello delle normative europee ha prolungato i cantieri senza certezze. E con scarsa informazione.

In realtà la “sparata” di Flavio Briatore ha indirettamente denunciato una condizione che i viaggiatori del Nord Ovest italiano conoscono bene, che i liguri sopportano con danni incalcolabili, ma che non è sufficientemente conosciuta.

L’infoltirsi dei cantieri, gli inevitabili incidenti quotidiani provocano code sempre più lunghe.

Si è arrivati oramai a 28-30 chilometri e a tempi di percorrenza biblici. I cambi di corsia su percorsi che sopportano una cifra oscillante tra i 3 ei 5 mila Tir al giorno sono una specie di roulette russa. Ogni volta che entri ti giochi un frontale con un Tir e un tamponamento.

Si guida su piste strette per ore con i giganti della strada addosso , davanti e dietro e  che arrivano frontalmente a poca distanza. Ogni giorno un Tir si capovolge o invade l’altra corsia. Ogni giorno ci sono tamponamenti che creano blocchi di ore e ore.

Non solo: questo sistema collassato diventa tragicamente pericoloso nel caso in cui qualche ambulanza deve trasportare un malato grave in direzione di qualche ospedale.

Solo per miracolo non ci sono stati morti in autostrada in questa situazione, ma il rischio è evidente. E costante.

Quindi, altro che Briatore, al quale i responsabili dei cantieri hanno ironicamente risposto che lo condurranno a spese loro a visitare i cantieri per dimostrargli la loro efficienza! L’ispezione sullo stato di questi lavori eterni dovrebbe essere fatta dal presidente della Regione, Giovanni Toti, oggi molto più impegnato a cercare di costruire il suo partito di centro, che viaggia nei sondaggi nazionali sull’1 per cento, che cercare soluzioni a una emergenza che sta strangolando la sua Regione.

E insieme a lui dovrebbero partecipare i sindaci dei più importanti comuni liguri, tutti uniti nel cercare di conoscere bene le condizioni della rete autostradale, che è la linfa vitale del loro sviluppo e nell’organizzare un degno sistema di comunicazione che fornisca sempre i dati di questo traffico delirante.

Informare i viaggiatori e i cittadini diventa una necessità fondamentale.

Invece oggi entrare in una autostrada ligure è proprio come giocare alla roulette russa. Non sai cosa succederà. Più di qualche avviso sui display che annunciano i cantieri e i probabili numeri dei chilometri di coda non si viene a sapere, mentre ci si tuffa nell’inferno, magari facendosi un segno di croce e oramai controllando se si hanno scorte sufficienti di acqua, carburante e viveri nell’ipotesi di viaggi eterni.

Lo strangolamento della Liguria poi necessariamente straborda dalle autostrade alle altre vie di comunicazione, in primis la storica “Aurelia” che collega da un capo all’altro la Regione e che viene invasa dalle auto che fuggono dal serpente eterno che striscia in autostrada. Così anche la litoranea si intasa, bloccando il traffico nei paesi, nelle città della costa, inquinando, rallentando ogni trasferimento.

E’ come un gigantesco cappio che si stringe intorno a una regione turistica, di grandi porti, La Spezia, Genova, Prà Voltri, Savona, Vado Ligure e costretta a una orografia acrobatica, una striscia di terra tra il mare e le colline, una urbanizzazione invasiva che riduce spazi e strade.

In modo quasi beffardo i gestori dei cantieri offrono tempi quasi eterni, immaginando una soluzione finale dei lavori nel 2028. Un tempo eterno per riportare la situazione a quella che era prima del crollo del ponte Morandi, appunto agosto 2018.

Dieci anni di caos.  Dieci anni di caos per ripristinare una situazione che era già largamente insufficiente, al punto che l’usura delle infrastrutture aveva fatto crollare il Morandi, logorato da un traffico eccessivo e mai riparato nel suo lento e stra annunciato declino strutturale.

E aveva, questa insufficienza irresponsabile di manutenzione, messo in crisi tutto il resto della rete, come i lavori di oggi spiegano.

Ma nel 2028, dieci anni dopo, la Liguria sarà servita da un sistema largamente insufficiente, rappezzato ma scarso. In questi anni di crisi e in quelli precedenti nessuno ha pensato a opere nuove, non solo la famosa Gronda, una super tangenziale genovese che scaricherebbe il nodo della città capoluogo, già in parte finanziata e i cui cantieri non partono mai, ma anche le Aurelie Bis, le superstrade che svuotino queste autostrade.

Nessuno continua a programmare alternative, salvo l’ex ministro e oggi per la terza volta sindaco di Imperia, Claudio Scajola, ex delfino di Berlusconi, che si batte per far costruire la Albenga-Predosa, una autostrada che salverebbe il Ponente Ligure dagli intasamenti.

Ma anche questo progetto non ha ancora imboccato la fase esecutiva e, comunque, la sua realizzazione non potrebbe avvenire prima di sette, otto anni, un tempo insopportabile.

Nel frattempo tutti tacciono e aspettano magari qualche altro Briatore che si infuri, dopo ore di coda e faccia pubblicità a questo sconquasso.

Non basta nemmeno questo e qualcuno comincia a invocare un commissario speciale e addirittura l’intervento dell’Esercito per regolare una situazione che con l’estate diventerà esplosiva.